di Giulio de MARTINO
Hidetoshi Nagasawa. L’arte fra la terra e il cielo
La scultura, tra le arti visive, è quella che dialoga più intensamente con gli elementi tellurici e aerei: se è polimaterica e astratta le sue forme velano a mala pena le strutture amorfe dei materiali e le forze del Pianeta. Spesso le installazioni scultoree, anche quelle Site specific, si pongono in urto con l’ambiente architettonico che le ospita e conservano un elemento enigmatico che il critico dell’arte può contribuire a svelare.
Le sculture materico-concettuali di Hidetoshi Nagasawa che si vedono al Palazzo Reale di Napoli (fino al 10 marzo 2020), oltre alla dissonanza e alla integrazione fra le culture d’Oriente e di Occidente, sortiscono l’effetto di introdurre la rudezza e la cogenza dell’ambiente terrestre nei decorati e sontuosi spazi della reggia borbonica. La mostra non è amplissima, ma propone opere significative e consente uno sguardo d’assieme sul lavoro di Nagasawa.
Gli spazi coinvolti sono l’ampia corte interna della Reggia sovrastata da un riquadro di cielo azzurro, il primo ripiano dello scalone monumentale, la parete ascendente di sinistra decorata in marmo rosa, il corridoio marmoreo del primo piano.
Le opere di Nagasawa lì disposte sono il Pozzo nel cielo realizzata e modificata nel periodo 1995-2014 (200x1000x1000 cm); il Groviglio di quanta, del 2014 (525x40x40 cm); Barca, del periodo 1983-1988 (60x350x80 cm) di ottone e carta; e Matteo Ricci, del 2010, che è composta da otto elementi in marmo di Carrara e acciaio (50x360x360 cm) disposti in forma di croce asimmetrica. Nel corridoio longitudinale si vede una selezione di opere grafiche in cera, carboncino, lamine metalliche.
Il titolo complessivo della mostra è Hidetoshi Nagasawa. Sotto il cielo e sopra la terra ed è a cura di Anna Imponente, direttore del Polo museale della Campania, con Paolo Mascilli Migliorini, direttore di Palazzo Reale, e con la collaborazione della Fondazione “Cassino Museo D’Arte Contemporanea” e il contributo di Ryoma Nagasawa.
Il grande artista giapponese Hidetoshi Nagasawa (Tonei, Manciuria, 1940 – Ponderano, Biella, 2018) è nato in Cina, ma si è formato come architetto in Giappone. Giunse in Italia a ventisette anni per trascorrervi poi tutta la vita. Vi arrivò dopo un lungo viaggio in bicicletta, intrapreso nel 1966, attraverso l’Asia, la Turchia e l’intera penisola: da Brindisi a Milano, per inserirsi nel fervido ambiente dell’arte rappresentato allora da artisti quali Enrico Castellani, Luciano Fabro, Mario Nigro e Antonio Trotta.
Nagasawa è stato molto popolare nell’ambiente dell’arte e della cultura: ha effettuato installazioni e mostre in tutto il mondo, ha preso parte a varie edizioni della Biennale di Venezia e, nel 1992, ha partecipato a Documenta Kassel. È stato invitato anche al “Festival di Filosofia” di Modena il 18 settembre del 2010 e, in quella occasione, ha esplicitato i presupposti della sua formazione interculturale che gli hanno schiuso l’orizzonte dei linguaggi artistici del secondo Novecento. Se le culture da cui si sente permeato sono due, quella antica giapponese e quella neoclassica italiana, il linguaggio delle sue sculture è unico: quello transnazionale e transculturale dell’arte contemporanea.
Per giungere alla comprensione del linguaggio di Nagasawa – rispettando la cautela e l’umiltà con cui lui stesso esplicitava il suo progetto artistico – occorre partire dal concetto plurale del MA (o kan) che in giapponese indica l’intervallo di spazio e di tempo che separa (e unisce) due oggetti o che distanzia (e unisce) due combattenti nelle arti marziali. Tale nozione sistemica del «vuoto» permette di correlare ogni opera d’arte all’insieme ambientale in cui è innestata.
Eguale importanza va attribuita allo stato meditativo del buddhismo – che Nagasawa chiamava anche «dormiveglia» o «penombra» – stato mentale alternativo alla contrapposizione di veglia e sonno e di luce e ombra. Il Śūnyatā è il vuoto che si determina nella mente che medita e che le consente di liberarsi dai contenuti molesti e occasionali da cui è abitualmente invasa. Comprendiamo quanto sia stata decisiva per Nagasawa la condizione di libertà in cui si è venuto a trovare rispetto ai dogmi e ai presupposti della mentalità europea sia in campo artistico, sia religioso, sia tecnico-scientifico. L’Occidente visto dal di fuori è stato il campo transculturale in cui ha operato.
Per scrivere della mostra partiamo dal disegno polimaterico intitolato “Cielo e terra” in cui due lamine curve di rame indicano il sopra e il sotto separati dall’ampio spazio bianco della tela. Lo spazio bianco è il MA in cui opera l’artista. Il disegno fa venire in mente anche i “Paesaggi anemici” di Mario Schifano. La visione delle sculture di Nagasawa dovrà quindi concentrarsi sullo spazio vuoto da esse occupato e rapportarlo all’ambiente contestuale che le circonda. Va anche notato che il linguaggio di Nagasawa è puro segno – conforme la concezione buddhista – e non è mai rappresentativo. Non ambisce a conglobare dentro di sé l’oggetto a cui si riferisce: questo resta, invece, saldamente esterno ai materiali e alle forme, soltanto alluso e indicato da essi, mai interiorizzato e descritto.
Nell’ampia corte del palazzo le grandi travature del Pozzo nel cielo sorreggono una rete. Poggiano pesantemente al suolo, ma reggono ciò che è lieve e traforato. Non osano sfidare il cielo azzurro, quanto piuttosto lo invitano a discendere.
La linea curva è assente dall’obelisco sconnesso del Groviglio di quanta. Qui i blocchi di pietra multicolore provano ad elevarsi in verticale, ma si piegano, vacillano, restano in un equilibrio precario. Siamo di fronte ad architetture che cedono all’ambiente, che si fermano lungo lo slancio della loro elevazione.
La Barca di filo di ottone, sospesa alla parete della scalinata, ricorda la “La barca di Qi Bai Shi e Leonardo”, la scultura in bronzo che Wu Weishan, il più grande scultore cinese contemporaneo, nonché direttore del Museo Nazionale d’arte della Cina, ha esposto nel 2012 a Palazzo Venezia a Roma. La barca allude al viaggio tra due mondi culturali compiuto da Nagasawa. È disegnata con materiale scultoreo, ma lo assottiglia fino a farlo diventare linea: un’idea – quella del trasformare la materia dura e greve in una forma agile e evanescente – che ritorna nella croce di bastoni marmorei di Matteo Ricci.
Qui l’elemento concettuale è congiunto alla scultura da un largo intervallo metaforico. Il gesuita padre Matteo Ricci (1552-1610) fu in Cina dal 1598 e, con l’approvazione dell’Imperatore Wan Li, poté introdurvi il culto cristiano. Nagasawa adesso depone sul pavimento 8 lunghe e robuste barre di marmo con un’anima di acciaio e le dispone in forma di croce irregolare: intrecciandole sopra e sotto al modo dei bastoncini dello shangai. È il cammino inverso, che dalla Cina porta all’Europa, quello compiuto da Nagasawa, per deporvi un groviglio di segni che pesano sul pavimento come un gioco di dei.
Giulio de MARTINO Napoli 5 gennaio 2020
INFORMAZIONI MOSTRA
MOSTRA: Hidetoshi Nagasawa. Sotto il cielo e sopra la terra
SEDE: Palazzo Reale – Piazza del Plebiscito 1, Napoli
DURATA: 10 dicembre 2019 – 10 marzo 2020
ORARI: dal giovedì al martedì, dalle ore 9.00 alle ore 20.00 (ultimo ingresso 19.00); mercoledì chiuso