di Claudio LISTANTI
Le proposte di opere musicali del periodo compreso tra il XVII e il XVIII secolo sono oggi sempre più frequenti e coinvolgono nell’ascolto un numero sempre più importante di ascoltatori/spettatori che seguono con enorme passione i programmi dedicati alle composizioni di questo periodo, inseriti con sempre maggior frequenza nei cartelloni delle stagioni concertistiche e dei teatri lirici e riprodotte nelle numerose edizioni discografiche dedicate a questo genere di musica.
Nell’ambito di questo glorioso periodo della storia della musica un ruolo importante, per la parti esclusivamente vocali, è stato ricoperto dai ‘castrati’ la cui abilità vocale influenzò la produzione operistica di quei tempi al punto di rendere, praticamente, ineseguibili molti capolavori dell’epoca anche se comunque giunti fino a noi grazie ad esecuzioni basate su una sorta di ‘modernizzazione’ o ‘attualizzazione’ di quel particolare modo di cantare che ci consente di apprezzare quel tipo di repertorio. Con questo nostro contributo vogliamo sintetizzare i contenuti della prassi esecutiva di oggi proponendo anche una riflessione sulla base dell’unico contributo discografico ai noi giunto dell’ultimo ‘castrato’ ancora esistente all’inizio del ‘900.
La selvaggia pratica della castrazione ha avuto il suo sviluppo partendo dalle civiltà orientali nelle cui corti era diffusa l’usanza di utilizzare uomini ‘eunuchi’ soprattutto per controllare i ginecei. Questi individui, per essere condotti a tali condizione erano sottoposti ad interventi di mutilazione dell’apparato genitale che avveniva nell’età prepuberale come in quella puberale. Nel primo caso, l’intervento chirurgico che modernamente chiamiamo orchiectomia, aveva l’effetto di bloccare l’evoluzione delle caratteristiche vocali del fanciullo, impedendo così quel cambiamento chiamato ‘muta’ che consentiva alla voce di rimanere ‘infantile’ mentre la cassa toracica e la capacità polmonare facevano registrare il normale sviluppo. Tale caratteristiche mettevano il cantante nelle condizioni di abbinare delicatezza del timbro alla potenza sonora per divenire veri e propri fenomeni canori, cantanti dai contorni soprannaturali.
In Italia, patria indiscussa della musica e dell’opera, i castrati, che si possono definire anche evirati cantori oppure più semplicemente ‘musici’ come li chiameremo in seguito per usare un termine meno brutale, furono utilizzati nei secoli XVII e XVIII con sempre maggiore frequenza e con parti vocali molto impegnative e di grande effetto che li resero elementi insostituibili per le esecuzioni.
Ad accrescere la crudeltà di questa pratica c’è da dire che la sua attuazione coinvolgeva anche problemi di carattere sociale. L’età ottimale per evirare un fanciullo era quella di otto-nove anni, comunque prima della ‘muta’ della voce. Erano frequentemente coinvolti bambini provenienti dai ceti meno abbienti, per lo più da famiglie numerose che si trovavano in regime di povertà, o si semi povertà, che con questo sistema si sgravavano dei relativi impegni economici per il mantenimento.
Inoltre questi mutilanti interventi chirurgici venivano sovente praticati non solo da cerusici ma, anche, da mestieranti come ad esempio il barbiere, ma sempre in precarie condizioni igieniche con la possibilità di emorragie incontrollate per cui il rischio di infezioni era altissimo. In una epoca come quella nella quale gli antibiotici non erano stati ancora scoperti, l’eventualità della morte del fanciullo non ero poi così raro. A questa atrocità se ne aggiungeva sovente un’altra, il mancato effetto dell’evirazione che rendeva inutile l’intervento ma definitiva la menomazione. Inoltre, pur in presenza di un’operazione riuscita, non tutti i bambini divenivano cantanti fuoriclasse anzi, questo era il risultato meno frequente. Infatti i ‘musici’ passati alla storia sono una minima parte del totale dei fanciulli costretti a sottomettersi a questa pratica.
Per quanto riguarda lo sviluppo e la preparazione dei ‘musici’ Napoli fu la città fondamentale per questo genere di cantanti. Nella città borbonica esistevano i cosiddetti ‘Conservatori’, istituti pubblici a scopo benefico nei quali venivano ospitati giovani poveri per essere tolti dalla strada e donare loro la possibilità di imparare un mestiere. Tra le materie in oggetto c’era anche la Musica che con il passare del tempo assunse un ruolo preminente nei programmi di insegnamento. In quell’epoca a Napoli esistevano ben quattro conservatori: “I poveri di Gesù Cristo”, “La pietà dei turchini”, “Sant’Onofrio a porta Capuana” e “Santa Maria di Loreto”. Dura era la disciplina che gli allievi dovevano osservare: orari ferrei per quanto riguarda la sveglia la mattina ed il coricarsi la sera, limitate quantità di cibo, riscaldamento invernale del tutto assente. I ‘musici’ furono accettati senza problemi al loro interno, anzi ad essi fu riservato un trattamento meno severo. In questi conservatori insegnarono musicisti tra i più grandi del momento: maestri illustri come Alessandro Scarlatti, Tommaso Traetta, Niccolò Jommelli e Nicola Antonio Porpora solo per fare qualche nome.
La preparazione del cantante era molto accurata. Si partiva dagli esercizi di respirazione per consentire l’introduzione nei polmoni della indispensabile quantità d’aria. Stesso approfondimento per armonia e contrappunto così come appropriati esercizi per la realizzazione della parte vocale a partire dalle fioriture per finire a tutti quegli abbellimenti, trilli, vocalizzi, forte, piano, pianissimo e messa di voce, peculiarità della ricchezza delle linee vocali del canto barocco.
Oltre a Napoli molte altre città ebbero scuole musicali e di canto di grande livello. Ma l’altra grande piazza era Roma, dove imperava la Cappella pontificia vero epicentro europeo della musica sacra. Nella città eterna i ‘musici’ avevano anche un altro grosso vantaggio, quello costituito dal divieto per le donne di salire sul palcoscenico del teatro d’opera e, quindi, erano privilegiati per l’interpretazione delle parti femminili.
I ‘musici’ nel XVII e XVIII secolo erano vere ‘stelle’ dello spettacolo d’opera, del tutto paragonabili alle ‘star’ della musica rock di oggi. Erano amati ed idolatrati dal pubblico intero, uomini e donne; le loro apparizioni teatrali erano attesissime e seguite da tutti con la massima partecipazione con serate che spesso finivano in veri e propri trionfi.
Le cronache del tempo ci dicono che possedevano una voce ‘angelica’ dalle straordinarie sfumature realizzate con semplicità e naturalezza riuscendo a realizzare impalpabili ‘pianissimo’ e raggiungere con la massima veemenza ed incisività i ‘forte’ più travolgenti. La loro estensione vocale raggiungeva le tre ottave che partiva dal registro grave per arrivare disinvoltamente a quello acuto, riuscendo in certi casi a ad arrivare anche oltre. Tutte qualità che consentiva grande facilità nel realizzare con un unico fiato la mitica ‘messa di voce’ con il canto che cresce d’intensità fino al fortissimo per scendere poi, gradatamente, fino al pianissimo. Effetti il cui vigore, oggi, è del tutto a noi sconosciuto. La loro eccellente preparazione musicale consentiva al cantante di essere anche straordinario ‘improvvisatore’ che poteva deliziare il pubblico con strabilianti variazioni alla linea vocale con interventi che potevano variare ogni sera offrendo al pubblico degli effetti sorprendenti. A seconda delle caratteristiche del timbro di voce erano suddivisi in ‘sopranisti’ e ‘contraltisti’ con una preminenza per il primo genere.
Al pari delle primedonne il ‘musico’ era anche imprevedibile nei comportamenti e capriccioso; bastava un nonnulla o una quisquiglia per scatenare stranezze, stravaganze e fisime che davano il via a discussioni e litigi fin quando i desideri non erano del tutto esauditi. Numerose erano anche le loro storie amorose. Molte dame dell’epoca ebbero, anche ben corrisposte, un ‘musico’ come amante. L’evirazione comprometteva il sistema riproduttivo dell’uomo ma in molti casi la libido non scompariva del tutto per cui si potevano avere rapporti evitando ogni tipo di ‘sorpresa’. Si consideri anche il fatto che, soprattutto nell’aristocrazia, l’insoddisfazione delle dame era frequente visti i matrimoni imposti e la spesso consueta significativa differenza di età tra i coniugi.
Molti sono i ‘musici’ la cui fama ed importanza interpretativa vocale è giunta fino a noi. Per citarli tutti sarebbe necessario produrre un trattato in merito. Ci limiteremo a citare alcuni le cui figure sono senz’altro rappresentative di questa particolare specie di interpreti vocali. Iniziamo da Carlo Broschi, la personalità più celebre e rappresentativa di questo genere di cantanti. Come tutti i ‘musici’ aveva un soprannome (altra particolarità di questa epoca) quello di Farinelli. Contrariamente a quanto accedeva di frequente fu uno dei pochi di origini nobili ma fu un cantante veramente strabiliante in quanto a resa sonora come dimostra un aneddoto raccontato da Charles Burney, musicista e storico della musica inglese vissuto nel ‘700. Nel 1722 ci narra che il diciassettenne Farinelli intraprese un duello di bravura con una tromba
“Dopo aver separatamente amplificati un suono, ognuno mostrando la potenza di propri polmoni cercando di superare l’altro in brillantezza e forza, dovevano eseguire insieme un crescendo e un trillo per terze, che venne tenuto così a lungo che tutti e due sembravano stremati; e infatti il trombettista, ormai senza più fiato, si fermò, pensando tuttavia che anche il suo avversario fosse stanco e che la gara fosse incerta; a quel punto Farinelli con un sorriso, dimostrando di essersi soltanto divertito per tutto quel tempo, ripartì tutto a un tratto sullo stesso respiro con rinnovato vigore e non soltanto gonfiò la nota e la fece trillare, ma eseguì delle divisioni rapidissime e difficilissime e non fu interrotto se non dalle acclamazioni”.
L’episodio è citato ne Gli Evirati Cantori di Patrick Barbier testo molto importante dal punto di vista storiografico; ci fa capire, al di là di possibili esagerazioni nel racconto, la specificità delle caratteristiche vocali di questo genere di cantanti.
Altro grande ‘musico’ dell’epoca fu Francesco Bernardi soprannominato Senesino per le sue chiare origini senesi. Fu un contraltista dalla voce di uno splendido colore scuro, famoso in Inghilterra per le sue virtù divenne uno dei preferiti di Georg Friedrich Händel per il quale fu protagonista in tre prime assolute; il Giulio Cesare in Egitto del 1724, Orlando nel 1733 e di Rodelinda nel 1725 nella quale interpretò il personaggio di Bertarido.
Come non ricordare il pugliese Gaetano Majorano, soprannominato Caffarelli o Caffariello, in onore del suo maestro Caffaro che ne scoprì le doti canore e lo avviò alla specializzazione presso Nicola Porpora uno dei geni dell’epoca del quale sostenne il ruolo di protagonista nel Tiridate, dimostrando nella sua carriera di aver assorbito l’insegnamento del grande Porpora che portava ad esibire una linea vocale all’apparenza facile ma agile e ferma con una efficace predisposizione al canto ‘legato’. Coevo di Farinelli con il quale era in aperta concorrenza, la figura di Caffarelli è nota anche perché citato nel Barbiere di Siviglia di Rossini quando, durante la cosiddetta scena della lezione di canto uno dei protagonisti, Bartolo, ne ricorda le interpretazioni dei ‘suoi tempi’ come contrapposizione alla musica di spirito più moderno cantata da Rosina.
Con il passare del tempo e, soprattutto in vista della grande stagione musicale dell’800 lo stile dei ‘musici’ si adattò ai tempi proprio come contenuto nella scena del Barbiere rossiniano poco prima citata. Sotto questo aspetto è da ricordare Luigi Marchesi, milanese nato nel 1754, che divenne protagonista in opere di fine ‘700, un periodo caratterizzato dal progressivo abbandono del virtuosismo spinto per approdare ad un canto più teatrale e drammatico. Marchesi, infatti, arrivò a cantare nella Ginevra di Scozia andata in scena al Teatro Nuovo di Trieste nel 1801 di Giovanni Simone Mayr, musicista famoso oltre che per le sue doti di compositore anche perché fu uno dei maestri di Gaetano Donizetti.
L’avvento del ‘Romanticismo’ spazzò via i ‘musici’ dal teatro d’opera il cui canto non si coniugava più con il nuovo stile che prepotentemente avanzava. A tal proposito ricordiamo la figura del marchigiano Giovanni Battista Velluti da molti considerato l’ultimo ‘musico’ del teatro d’opera italiano. A tal proposito è da porre in evidenza il fatto che il Velluti partecipò alla prima esecuzione di Aureliano in Palmira di Gioacchino Rossini che andò in scena alla Scala di Milano nel dicembre del 1813 sostenendo il ruolo di Arsace. Il ventunenne Rossini rimase deluso dalla sua interpretazione, certo non per le sue doti vocali ma per i continui abbellimenti introdotti che appesantivano l’esecuzione. Rossini è certamente uno degli innovatori dell’800 che contribuì in maniera determinante al cambiamento del modo di comporre e di rappresentare l’opera ed il suo giudizio, in un certo senso, fu determinante per il percorso di questa trasformazione.
Ma l’arte dei ‘musici’ non si spense definitivamente perché nella piazza di Roma grazie alla sede pontificia ed alle esecuzioni di Musica Sacra per questi cantanti ci fu sempre un ruolo determinante favorito anche dal perdurare dell’ostracismo verso le partecipazioni in pubblico delle voci femminili una ipocrisia che permetteva il perdurare dell’atroce pratica dell’evirazione. Alla fine dell’800 e con l’avvento del XX secolo i ‘musici’ scomparvero dalla Cappella Sistina.
Per chiarire quanto prima detto vogliamo porre all’attenzione dei nostri lettori alcuni contributi sonori, utili per spiegare con più incisività il fenomeno.
I castrati nel teatro d’opera di Angus Heriot uno dei più interessanti libri scritti sull’argomento riporta al suo interno un giudizio di Johan Quantz, musicista tedesco del ‘700, sull’arte e lo stile di Francesco Bernardi detto Senesino:
“Aveva una voce di contralto potente, chiara, uguale e dolce, – dice Quantz – con intonazione perfetta e un trillo stupendo. Cantava da maestro e nella dizione non aveva rivali. Sebbene non sovraccaricasse mai gli adagi con troppi ornamenti, pure emetteva le note originali e quelle più importanti con la massima raffinatezza. Cantava gli allegri con gran fuoco, faceva rapidi gorgheggi di petto in modo articolato e piacevole. Il suo contegno si adattava bene alla scena, e il suo modo di muoversi era nobile e naturale allo tempo stesso. A questa qualità univa una figura maestosa sebbene il suo aspetto e il suo comportamento si addicessero meglio alla parte di un eroe che non in quella di un amante”.
Ad oggi è impossibile avere artisti così completi e per esecuzioni di opere del ‘700 occorre fare una scelta. Qui prendiamo come esempio l’aria ‘Empio, dirò, tu sei,’ cantata da Giulio Cesare nel primo atto di Giulio Cesare in Egitto, parte scritta da Händel per il Senesino.
Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare in Egitto Atto I Aria: Empio, dirò, tu sei, (Giulio Cesare)
Testo
Empio, dirò, tu sei, /togliti a gli occhi miei, /sei tutto crudeltà. Non è da re quel cuor, /che donasi al rigor, /che in sen non ha pietà.
Audio 1
La soluzione, forse migliore (ma questa è una cosa soggettiva), è affidarla al contralto che possiede una voce piuttosto grave e potente, molto incisiva nelle agilità anche se il tipo di vocalità di questo tipo di cantante ne limitano un poco la resa. Qui la proponiamo nell’interpretazione del contralto Sonia Prina, affermata specialista per questo repertorio.
Sonia Prina, Contralto
Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone
Registrata nel settembre del 2011 al Musikfest Bremen.
https://www.youtube.com/watch?v=05kzLQliCJI
Audio 2
Altra soluzione adottata è quella dell’utilizzo del controtenore. Con questa soluzione si rinuncia alla potenza vocale ma si guadagna con gli abbellimenti ed i virtuosismi che vengono realizzati con più naturalezza e facilità. Anche qui uno specialista, il controtenore tedesco Andreas Scholl
Andreas Scholl, Controtenore
Concerto Copenhagen diretta da Lars Ulrik Mortensen. Produzione Royal Danish Theater, Copenhagen Registrazione del settembre del 2005 .
https://www.youtube.com/watch?v=cI9nDGOfoOg
Audio 3
Infine una terza soluzione. Quella del baritono, una voce naturale le cui affascinanti sfumature possono dare al personaggio quei caratteri ‘maschili’ necessari per rappresentare un personaggio come Giulio Cesare per di più alle prese con l’affascinante Cleopatra. Nell’audio proposto la parte vocale è affidata al baritono tedesco Dietrich Fischer-Dieskau, uno dei più grandi cantanti del ‘900. Mette in evidenza una pronuncia italiana molto convincente abbinata ad un fraseggio piuttosto elegante e raffinato. Anche in questo caso manca un po’ di quella potenza vocale necessaria ad approfondire i caratteri di questo immenso personaggio haendeliano nonostante il cantante, da grande professionista, dedichi estrema cura alla difficile linea vocale. Inoltre si tratta di una esecuzione di circa mezzo secolo fa e si avverte una direzione d’insieme che seppur molto elegante, risulta un po’ datata e priva di impeto e determinazione.
Dietrich Fischer-Dieskau. Baritono
Münchener Bach-Orchester diretta da Karl Richter
℗ Deutsche Grammophon GmbH, Berlin (1970)
https://www.youtube.com/watch?v=CwGgrpPytwk
In conclusione, dopo questi tre ascolti, si può affermare la validità di ognuno di essi e che, per avere un Giulio Cesare completo, occorrerebbe un cantante che sintetizzi i tre modi di canto in uno. Realizzando ciò forse potremmo avvicinarci con minore approssimazione a come poteva essere l’interpretazione vocale di un cantante come Francesco Bernardi detto Senesino e di conseguenza quella dei più grandi ‘musici’ della storia.
L’unica registrazione di un ‘musico’ effettivamente esistito.
Come accennato poco prima in questo articolo l’arte vocale dei ‘musici’ continuò a Roma fino alla fino alle porte del ‘900 quando il Vaticano decise di non avvalersi più della partecipazione di questi cantanti nelle esecuzioni corali della Cappella Sistina. Grazie a questo elemento, oggi, possiamo ascoltare alcune registrazioni dell’ultimo ‘musico’ della Sistina, Alessandro Moreschi, nato a Monte Compatri vicino Roma nel 1858 e scomparso nel 1922. Sono registrazioni di brani solistici e corali effettuate su cilindri di cera in due periodi, tra il 3 e il 5 aprile 1902 grazie alla Gramophone & Typewriter Company di Londra, tramite Frederick William Gaisberg e l’11 aprile 1904 sotto la direzione di William Sinkler Darby, per un totale di diciassette tracce.
Tutte queste registrazioni sono state raccolte in un Cd dal titolo Alessandro Moreschi The Last Castrato edito dalla Pearl Opal (CD 9823) testimonianza discografica di enorme importanza storico-musicale. Il disco, ovviamente, risente della primordiale tecnica di incisione ancora imperfetta. Alessandro Moreschi, inoltre, era un cantante di una certa fama ma certo non una stella di prima grandezza come abbiamo prima citato anche perché, per motivi anagrafici, non si dedicò al teatro d’opera dove i musici scomparvero nella prima metà dell’800 ma alla Musica Sacra in un repertorio comprendente per lo più composizioni ottocentesche. All’ascolto, comunque, si può apprezzare la vocalità, il modo di cantare e di emettere suoni del cantante così come il timbro della voce.
Di questo Cd abbiamo scelto due brani, a nostro giudizio del tutto significativi per la nostra indagine.
Audio 4
Gioacchino Rossini Petite Messe Solennelle Crocifixus
Registazione 11 aprile 1904
Alessandro Moreschi Musico
https://www.youtube.com/watch?v=q6C8i4HPIL0
Questa esecuzione, pur presentando varie imprecisioni, alcune dovute anche alla tecnica di incisione ed anche alla velocità di riproduzione, mette in risalto una voce ‘angelica’ e ben calibrata nelle emissioni anche se, purtroppo, non riusciamo ad avere una idea del volume di suono. Quest’ultimo aspetto è poco comprensibile anche nelle incisioni più moderne che a maggior ragione sono, o possono essere, manipolate.
Audio 5
Bach-Gounod Ave Maria
Registrazione 11 aprile 1904
Alessandro Moreschi Musico
https://www.youtube.com/watch?v=lmI_C-S0Abg
Anche per questa incisione sono valide le osservazioni fatte per l’audio n. 4. Questa ci sembra, però, la più omogenea di tutto il disco non solo per le indiscutibili difficoltà della linea di canto superate, a nostro avviso con una certa classe vocale ma anche perché la voce riesce ad essere più chiaramente ed inequivocabilmente sovrannaturale regalando all’ascoltatore un effetto acustico di straordinaria poesia.
Claudio LISTANTI Roma 15 novembre 2020