di Mario URSINO
La celebre opera di Marcel Duchamp (1887-1968) [figg. 1-2], Fountain fu resa nota per la prima volta sul n. 2 della rivista americana Dada “The Blind Man”, del maggio del 1917, fondata dallo stesso Duchamp insieme a Beatrice Wood (1893-1998), (seduta su un toro, come nell’iconografia del Ratto di Europa) [Fig.3], artista e ceramista, e allo scrittore Henri-Pierre Roché (1879-1959), autore del noto romanzo Jules e Jim, dal quale fu tratto l’altrettanto noto film del regista François Truffaut nel 1962, magistralmente interpretato da Jeanne Moreau, Oskar Werner e Henri Serre.
Il ready-made Fountain, ovvero Orinatorio capovolto [fig. 4], apparve dunque sulla rivista sopra citata in una foto dal titolo The exhibit refused by the Independents del famoso fotografo Alfred Stieglitz (1864-1946), fondatore di “Camera Works”, nel suo studio sulla Quinta Strada a New York, che prese poi il nome di “Gallery 291”.
Nella primavera del 1917 Duchamp aveva inviato l’opera alla mostra della Society of Independent Artists, tenutasi al Grand Central Palace di New York [fig. 5], figurandola come un lavoro di un certo R. Mutt, come appare dalla firma apposta sull’oggetto; Duchamp non si rivelò come autore, poiché faceva parte della giuria [fig. 6], che però si rifiutò di esporla. E Duchamp si dimise.
Sul n. 2, che fu anche l’ultimo numero della rivista “The Blind Man”, venne riprodotta in copertina un’altra opera di Duchamp, Macinatrice di cioccolato 2, del 1914 [figg. 7-8], oggi al Philadelphia Museum of Art, divenuta poi uno degli elementi del suo più complesso Le grand Verre, 1915-1923 [fig. 9], anch’esso nel Museo di Philadelphia. All’interno della rivista, oltre alla citata foto di Stieglitz, e, tra i vari articoli, figura il poemetto Medusa (in “The Blind Man, n.2, May 1917, p.10,) [fig. 10] del dadaista Picabia (1879-1953).
Inoltre venne difesa l’artisticità della fontana in un articolo di Louise Norton (1888-1941),
The Richard Mutt case, ma suppongo anche con parole dello stesso Duchamp, laddove si legge: “Se Mr. Mutt abbia fatto o no con le sue mani non ha importanza. Egli l’ha SCELTA. Ha preso un comune oggetto della vita. L’ha collocato in modo tale che un significato pratico scomparisse sotto il nuovo titolo e punto di vista; egli ha creato una nuova idea per l’oggetto” (in “The Blind Man”, cit, pp. 4-6) [fig. 11].
L’opera, secondo la giuria, era “immorale e volgare”; ma nella difesa di cui sopra, si legge anche: “Ora la fontana di Mr. Mutt non è immorale, ciò è assurdo, non più di quanto sia immorale una vasca da bagno. E’ un’immagine che si può vedere ogni giorno nella vetrina di articoli idraulici”. Difatti Duchamp l’aveva acquistata presso la fabbrica “J. L. Mott Iron Works”, appunto nello stessa primavera del 1917, da qui, secondo talune interpretazioni, il fatto che l’artista l’abbia firmata “R. Mutt”, o, secondo altre fonti, pare che egli si sia ispirato anche a dei personaggi di noti cartoons dell’epoca, “Mutt and Jeff”.
Ma vedremo più avanti come un’opera dada e nonsense verrà convincentemente spiegata (come. cioè, essa sia tutt’altro priva di significato) in un lontano articolo di Maurizio Calvesi dal titolo Il sesso della Gioconda, (in “Art & Dossier”, n.31, gennaio 1989, pp.30-34)
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Ma tornando alla storia di questo ready-made, forse uno dei più famosi del mondo, cui si deve tanta arte del XX e persino del XXI secolo, va ricordato che questo primo esemplare del 1917 andò subito disperso e pare che lo stesso Stieglitz l’avesse gettato nella spazzatura. Ma la perdita non fu grave, poiché l’Orinatoio è un oggetto fungibile, e come tale può tranquillamente essere replicato, se lo fa stesso artista che gli ha conferito l’idea. Per di più Fountain, così come è stato acquistato, non ha subito alcun intervento da Duchamp, che lo ha semplicemente capovolto e firmato. Egli comunque ha realizzato anche “ready-made rettificati”, secondo talune pertinenti osservazioni della critica, e l’esempio in questo caso più calzante è l’altrettanto famosa Ruota di bicicletta del 1913 (originale anch’esso perduto) e di cui esistono sei repliche realizzate dall’artista: una ruota di bicicletta è fissata capovolta su uno sgabello di legno verniciato di bianco che funziona come base per una scultura [fig. 12]. Nel caso di Fountain, Duchamp cominciò a replicarla nel 1950 [fig. 13]. Se ne contano 16 autorizzate e controllate dall’artista (firmate “R. Mutt” e che si datano fino al 1964); la prima replica fu esposta nel 1953 alla Sidney Gallery di New York [fig. 14], in una mostra dada]; e questo esemplare oggi si conserva nel Philadelphia Museum of Art. Le altre repliche si trovano in tutti i maggiori musei di arte contemporanea, a partire dal più consistente nucleo del Philadelphia Museum of Art, alla Tate Modern di Londra, al Centro Pompidou di Parigi e alla nostra Galleria Nazionale d’Arte Moderna [figg 15-16-17].
Nel nostro museo si contano di Duchamp ben 14 ready-made, pervenuti alla Galleria grazie al generoso donativo nel 1977 di Arturo Schwarz (1924), famoso gallerista amico di Duchamp, che fece conoscere al pubblico italiano le opere del più singolare artista del Novecento internazionale, allestendo a Milano nel 1964, presente Duchamp, la storica mostra presso la Galleria Schwarz. L’anno dopo, nel 1965, Duchamp fu anche a Roma, in via Condotti, dove espose le sue opere presso lo “Spazio Gavina” (non più esistente), con un allestimento del celebre architetto Carlo Scarpa (1906-1978).
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Ed ora veniamo al significato di Fountain, firmato “R. Mutt”. Quest’opera, come in tutte le opere genericamente definite “dada”, dovrebbe rientrare nella categoria della poetica del nonsense, gioco di parole associate a ludiche espressioni di immagini e oggetti prelevati della vita quotidiana e reale. Ma così non è nel caso di Fountain, osserva lucidamente Maurizio Calvesi che di Marcel Duchamp è profondo studioso da lunga data (l’ultimo suo grande lavoro sull’artista è recentissimo, ma purtroppo ancora non reso noto). “Sia de Chirico che Duchamp – ha scritto Calvesi – erano cultori del «non-sense», espressione ripetuta dal Metafisico nei suoi scritti e che trova corrispondenza nei giochi verbali, solo apparentemente del tutto insensati, del Dadaista: il «non-sense», cela un senso profondo.” Già nel suo libro del 1975, Duchamp invisibile, Calvesi sosteneva “che il Dadaismo duchampiano non era quello che si reputava, ovvero pura manifestazione di non-senso, come valore di drastica e paradossale libertà; ma che il non-senso del suo frasario celava, appunto, ermeticamente, un sistema organico di riferimenti ai luoghi del mito, della filosofia, dell’alchimia…”
E’ in questa luce che lo studioso affronta e svela il significato più profondo dell’Orinatoio, Fountain, che tanto fa sorridere il comune visitatore del museo d’arte contemporanea.
Calvesi parte dalla firma, “R. Mutt”: “Basta anteporre il cognome all’iniziale (R, che si pronuncia «er») per avere «Mutter», ovvero «madre» in tedesco. «Urinal», per il leggendario alchimista Flamel [si tratta di Nicolas Flamel, 1330-1418, autore del Le livre des figures hiéroglyphiques, ndA.] è il vaso o «aludel» o fontain dell’opus, cioè poi «le Ventre et la Matrice». Ventre – continua Calvesi – alchemicamente materno, grembo con connotati androgini.”
E allora per sintetizzare la puntuale ermeneutica calvesiana, dobbiamo guardare Fountain capovolto, dalle forme del bacino femminile, che mostra l’imboccatura del tubo quale orifizio e, nel medesimo tempo, con significato ermafrodita, la protuberanza del fallo. E ancora lo studioso ci informa che Freud nel suo testo su Leonardo, ad un certo punto fa riferimento a una ad una dea egiziana, il cui nome si pronuncia “Mut” [fig.18], e che questa dea-madre avesse caratteristiche androgine, poiché “veniva generalmente rappresentata dagli Egiziani con un fallo”. Del resto, conclude Calvesi nel suo illuminante saggio che Duchamp conoscesse o meno il testo di Freud su Leonardo ha poca importanza, poiché l’altra dissacrante opera del geniale dadaista, l’ultra-nota Gioconda con i baffi, 1919, [fig. 19], pure analizzato da Freud, è, al di là dell’ilare gioco di parole l.h.o.o.q., associato all’immagine, rimanda appunto allo svelamento, come in Fountain, dal non-senso al senso profondo delle due opere che appunto alludono all’ermafrodismo come figura ancestrale e archetipa che l’artista riversa nella contemporaneità.
di Mario URSINO Roma giugno 2017