di Nica FIORI
“A Caere si trovano pitture anche più antiche: e chiunque le esamini accuratamente potrà confermare che nessuna arte raggiunse la perfezione più rapidamente di questa”.
Con queste parole Plinio il Vecchio nella sua Historia naturalis e più esattamente nel libro XXXV, dedicato ai colori minerali, ci fa sapere dell’esistenza di pitture di grande perfezione formale, anteriori a quelle templari di Roma e di Ardea, a Cerveteri (Caere per i Romani), la città che, secondo lo storico Dionigi d’Alicarnasso, era “la più prospera e popolata dell’Etruria”. Sono proprio le pitture su terracotta ceretane, esposte nella mostra “Colori degli Etruschi. Tesori di terracotta alla Centrale Montemartini” a farci riscoprire il primato culturale e artistico di questa città etrusca (la cui necropoli della Banditaccia è dal 2004 patrimonio dell’umanità) e il suo ruolo di ponte privilegiato con i Greci e con il Mediterraneo orientale.
Fino al 2 febbraio 2020 possiamo ammirare a Roma una straordinaria selezione di lastre parietali figurate e decorazioni architettoniche a stampo in terracotta policroma, rientrate in Italia grazie all’azione di contrasto del traffico illegale di reperti archeologici dell’Arma dei Carabinieri e alla diplomazia culturale del MIBAC.
Ancora una volta, dopo la realizzazione delle mostre “L’arte di salvare l’arte”, ospitata al Quirinale, e “L’arte ritrovata”, nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini, viene messa in luce l’attività dei Carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio culturale (TPC), in occasione dei 50 anni della sua fondazione. Risale all’inizio del 2016 il recupero nel porto franco di Ginevra di un’ingente quantità di reperti archeologici sottratti illegalmente all’Italia, tra i quali spiccavano per la loro rarità più di mille frammenti parietali dipinti a colori vivaci con motivi geometrici e figure di uomini e animali, conservati in casse senza alcun ordine coerente.
Grazie alle loro caratteristiche tecniche e alla raffinatezza di esecuzione, questi frammenti, frutto di scavi clandestini e quindi del tutto privi di dati di contesto, sono stati riconosciuti dagli studiosi della Soprintendenza come provenienti dall’antica Cerveteri, i cui pannelli di terracotta dipinta (sul tipo dei leukomata greci, che erano tavole di legno dipinte e affiancate per ornare le pareti degli edifici più importanti), erano noti finora solo da pochi esemplari, in particolare le cosiddette lastre Campana conservate al Louvre e le lastre Boccanera del British Museum.
Il rientro di queste terrecotte dalla Svizzera in Italia è coinciso con quello di altri analoghi reperti dalla Danimarca, a seguito di un importante accordo di cooperazione culturale internazionale siglato tra il MIBAC e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Una prima fase di studio e ricerca condotta su questi materiali, datati tra il 530 e il 480 a.C., è culminata in una mostra e in un convegno internazionale di studi, organizzati dalla Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale presso il Castello di Santa Severa (Santa Marinella, Roma) nel giugno 2018, a cui ora fa seguito l’edizione romana della mostra, nella sede capitolina della Centrale Montemartini, ampliata e aggiornata grazie alla presentazione degli ultimi risultati delle ricerche.
Le lastre, prima del loro assemblamento e restauro, sono state sottoposte a esami tecnico-scientifici finalizzati a ottenere informazioni relative alla datazione, ai materiali utilizzati e alla tecnica esecutiva. Gli esami hanno confermato l’autenticità delle lastre, che a Caere venivano prodotte conformando l’argilla entro telai di legno o casseforme. Dopo una prima fase di essiccazione si applicava un rivestimento di argilla depurata, di color bianco-avorio, sul quale venivano tracciate con una punta sottile le linee di riferimento per l’esecuzione delle cornici decorative e delle raffigurazioni, prima di applicare a pennello i colori costituiti da miscele argillose diluite; tra le sostanze utilizzate vi erano l’ossido di manganese per il nero e le sfumature di grigio, e i composti del ferro per i gialli, le gradazioni di rosso e di arancio. Per ottenere contemporaneamente tutte le colorazioni era sufficiente una sola cottura di tipo ossidante a circa 850-900°.
“Realizzate su pannelli di terracotta distinti e giustapposti a formare fregi continui ed applicati alle pareti di costruzioni di prestigio (quali edifici pubblici, templi, dimore gentilizie e tombe), le lastre dipinte di Cerveteri ci restituiscono un repertorio di temi cari all’immaginario delle élites degli aristocratici etruschi… “
come scrive Leonardo Bochicchio nel catalogo, a partire da quei miti greci, che a volte si distaccano dalle iconografie tradizionali perché rivisti in chiave ideologica.
Tra i numerosi frammenti di lastre dipinte recuperati a Ginevra, databili agli inizi del V secolo a.C., sono state riconosciute scene delle celebri fatiche di Eracle (in particolare quelle relative al Leone di Nemea, all’Idra di Lerna e alla Cerva cerinite), il cui ciclo doveva decorare un luogo di culto di Cerveteri dedicato all’eroe-dio,
“più antico della canonizzazione del ciclo delle dodici fatiche a Olimpia e collegato invece iconograficamente alla serie delle imprese di Eracle scolpite sulle metope dello Heraion del Sele”,
sempre secondo L. Bochicchio, per la presenza di una rara raffigurazione di Silenomachia di Eracle. Numerose ceramiche attiche ed etrusche, pure relative al mito di Eracle, ribadiscono il successo della sua figura di eroe che lotta con le sue sole forze contro le ingiustizie. Citiamo tra le altre un’anfora attica a figure nere dei Musei Capitolini (Collezione Castellani), dove si vede Eracle nudo che lotta contro il leone Nemeo al cospetto di Atena,
e un cratere attico a figure rosse firmato dal famoso Eufronio,
restituito nel 2010 dal Metropolitan Museum of Art di New York, che raffigura Eracle mentre avanza contro Kyknos, già a terra ferito.
Un altro tema mitico è quello della “dea nuda”, che trae spunto dalla lastra che, sebbene molto rovinata, mostra una giovane donna rivolta a destra, vestita solo di un velo trasparente e di un diadema dal quale i capelli ricadono sulle spalle. La donna tocca con la mano destra un giovane coperto da un chitone e armato di lancia, mentre alle spalle della donna è una figura femminile con un panno arrotolato, forse il vestito della donna nuda.
Anche se accanto è esposta una statua di Afrodite nuda, non dovrebbe essere lei la divinità raffigurata. Più probabilmente in questa scena si fa riferimento a uno dei due miti relativi a cacciatori che spiarono la nudità di una dea. Il più noto è quello di Atteone, che, dopo aver visto Artemide nuda, venne da lei trasformato in cervo e fatto sbranare dai suoi stessi cani da caccia, mito ricordato in mostra anche da un imponente ma frammentario altorilievo frontonale in terracotta, sequestrato dai carabinieri a Campione d’Italia. L’altro mito è relativo a Tiresia, che venne reso cieco da Atena, sempre per averla spiata al bagno, anche se poi la dea della Sapienza gli diede il dono della profezia. Questa attribuzione potrebbe essere la più attendibile, perché sembra di cogliervi il riferimento alla nascita della “chiaroveggenza”, che tanta importanza aveva nel mondo etrusco (basti pensare alle importanti figure degli Auguri e degli Aruspici).
Pure presente è il mito di Medusa uccisa da Perseo, al centro delle tre lastre ritrovate a Cerveteri nel 1940 e restaurate dalla Soprintendenza per questa mostra. Anche se scarsamente visibili, le lastre mostrano tre Gorgoni. Medusa, in particolare, oltre che mostro, è vista come madre, perché è raffigurata con due piccole Gorgoni tra le braccia: evidentemente si tratta di una rivisitazione del mito in ambito etrusco.
Di grande fascino è la sezione Danze e giochi, comprendente due differenti serie di lastre, che mostrano scene frammentarie con danzatori e suonatori di lira di entrambi i sessi (da notare che la suonatrice di lira, che era impensabile in Grecia, era raffigurata a Cerveteri). Un altro tema presente è quello degli atleti, particolarmente caro al mondo greco e agli aristocratici etruschi che ad esso si richiamavano. In particolare ci colpisce l’immagine, anche questa volta frammentaria, di un lanciatore di disco, che probabilmente si completa con quella del suo allenatore (ma presente solo in copia, perché l’originale si trova al J. Paul Getty Museum di Los Angeles).
Il valore dei guerrieri, altro tema importantissimo nella cultura aristocratica del mondo antico, è testimoniato da alcuni reperti, sia pure frammentari, raffiguranti eroi e guerrieri. Fa piacere scoprire che un frammento di lastra sequestrato a Ginevra, raffigurante un guerriero, si è potuto ricongiungere con un frammento conservato a Cerveteri che ne completa la cornice superiore. Un altro frammento, restituito dal museo di Copenaghen, ci colpisce perché evidenzia in un guerriero la presenza di un solo schiniere (evidentemente una gamba era protetta in battaglia dallo scudo e quindi non era necessario il secondo schiniere).
E parlando di guerra, non poteva mancare una vetrina con armature bronzee (corazze, elmi e schinieri), pure recuperate dai carabinieri in una precedente operazione, restaurate ed esposte insieme, anche se cronologicamente non coeve.
Seguono le terrecotte architettoniche di templi ceretani. Sono state restituite dalla Danimarca delle lastre di rivestimento eccezionali per la vividezza dei colori e la resa dei dettagli, con una straordinaria decorazione ad altorilievo, composta da due fregi contrapposti con cavalieri armati in movimento verso sinistra e una corsa di carri verso destra. Le lastre erano infisse con chiodi per rivestire le due travi montanti del frontone di un tempio, i cui decori sono dati da sime rampanti decorate a meandro e arricchite da fiori/stella e piccoli volatili, un’antefissa femminile e vari frammenti di tegole di gronda con motivi floreali e acroteri a forma di sfinge. Tra gli altri materiali sono esposti anche tre gruppi acroteriali con Menadi e Satiri danzanti,
restituiti dal museo di Copenaghen e dal Getty Museum, per la prima volta riuniti ed esposti insieme.
L’ultima sezione riguarda il recentissimo scavo (2017-18) della Soprintendenza nell’area urbana dell’antica Caere, sul pianoro di Manganello, a un centinaio di metri dal santuario dedicato a Uni, la dea corrispondente alla fenicia Astarte e alla romana Giunone. Ricomposto da più frammenti è lo strano manufatto in terracotta (VI secolo a.C.) con un corpo a tronco di cono e base quadrata, decorato con delfini e interpretato come probabile base di un louterion (bacino fittile). Un frammento, ritrovato nello stesso scavo, raffigurante un Sileno ubriaco, ha svelato durante il restauro un’iscrizione incisa con la firma dell’artista, mimetizzata in una fascia chiara tra una banda rossa e un’altra nera e visibile solo con una luce radente. Il pittore temeva il castigo divino per il suo eccesso di orgoglio e per questo avrebbe raffigurato il sileno ubriaco, come a ribadire che quella firma fosse un atto non pienamente consapevole e quindi non punibile. La lastra (fine VI sec. a.C.) rappresenta per ora un unicum con questo soggetto in Etruria ed è messa a confronto con un piatto attico a figure rosse (490-480 a.C.) raffigurante un Sileno itifallico danzante.
Nica FIORI Roma Luglio 2019
La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla SABAP (Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale), con il patrocinio della Regione Lazio.
Il progetto scientifico e la cura sono di Alfonsina Russo, Claudio Parisi Presicce, Leonardo Bochicchio, Daniele Federico Maras e Rossella Zaccagnini.
“I colori degli Etruschi. Tesori di terracotta presso la Centrale Montemartini”
Musei Capitolini alla Centrale Montemartini, via Ostiense 106, Roma 11 luglio 2019 – 2 febbraio 2020. Orario: 9-19; lunedì chiuso. Ingresso: € 11 (€ 10 per i residenti); ridotto € 10 (€ 9 per i residenti); gratuito per i possessori della MIC card e per gli aventi diritto. Catalogo Gangemi editore