I giorni di Dante: il Conte Ugolino (tra realtà e leggenda) e l’altorilievo di Pyrgi nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

di Nica FIORI

La bocca sollevò dal fiero pasto / quel peccator, forbendola a’ capelli / del capo ch’elli avea di retro guasto”.

Questi versi del XXXIII canto dell’Inferno sono talmente noti che qualunque italiano di media cultura sa chi li ha scritti e a chi si riferiscono.

Il personaggio del conte Ugolino della Gherardesca, un nobile pisano (1210-1289) che passò dai ghibellini ai guelfi, è indubbiamente uno dei più famosi della Divina Commedia. Dante lo colloca tra i traditori della patria nell’Antenòra, la seconda zona del IX cerchio dell’Inferno in cui i dannati sono imprigionati nel ghiaccio. Ugolino appare alla fine del canto XXXII, sepolto in una buca insieme a Ruggieri degli Ubaldini, arcivescovo della stessa città di Pisa, della quale il conte ebbe la signoria negli ultimi anni della sua vita. Il conte sta sopra l’arcivescovo e gli addenta crudelmente la nuca, come è stato magistralmente illustrato da Gustave Doré (Inferno, 1861) (foto 1).

1 Gustave Doré, Inferno XXXII, v.130-132

Quando Dante gli si rivolge chiedendogli la ragione di un tale odio, Ugolino (nel canto XXXIII) racconta al poeta la sua terribile storia, di come Ruggieri lo avesse ingannato e attirato in una trappola per imprigionarlo con quattro figli in una torre semibuia (la Torre della Muda) e di come, dopo vari mesi di prigionia, in seguito a un fosco sogno premonitore fatto da lui una notte, il mattino dopo l’uscio della torre fu inchiodato e a lui e ai figli non fu più portato alcun cibo (foto 2, 3 e 4).

2 Joshua Reynolds, Il Conte Ugolino e i figli nella torre, 1773

L’atroce agonia dei prigionieri durò circa sei giorni, durante i quali Ugolino vide morire i figli uno a uno senza poter far nulla per aiutarli; per due giorni aveva brancolato sui loro cadaveri chiamandoli per nome, poi il digiuno aveva prevalso sul dolore: “Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno”. Un verso questo che è stato interpretato in due modi, nel senso che il conte soccombette alla morte per inedia, oppure che, cieco e impazzito per la fame, si cibò della carne dei figli morti: interpretazione che nasce dal fatto che qualche verso prima sono i figli stessi a offrirsi al padre, prospettando l’ipotesi che egli mangi le loro carni (“… tu ne vestisti queste misere carni e tu le spoglia”). Alla fine del suo racconto, il cui scopo è infamare la memoria di Ruggieri, Ugolino torna ad addentare il cranio dell’arcivescovo, per vendicare ferocemente con il suo eterno rodimento un’eterna fame.

Le vicende storiche non sono andate, in realtà, come le racconta Dante.

Se ne sono accorti già i primi commentatori della Commedia. Dei quattro “innocenti” con i quali il conte fu rinchiuso alla Muda, due – Nino detto il Brigata e Anselmuccio – non erano figli suoi, ma suoi nipoti; e gli altri due – Gaddo e Uguccione – non erano affatto di “età novella”, come scrive Dante, avendo entrambi superato la cinquantina. Sono inesattezze che appaiono strane considerando che l’incarceramento avvenne nel 1288, quindi in un’età contemporanea all’Alighieri.

Appare ragionevole pensare che egli mescoli realtà e finzione romanzesca per rendere più suggestivi  gli effetti drammatici e inumani della vicenda. Il suo intento non è quello di riabilitare la memoria del conte o di risarcirlo per l’ingiustizia subita, dal momento che lo include tra i traditori, quanto piuttosto quello di sfruttare la sua orribile vicenda personale per biasimare le lotte politiche che dilaniavano i Comuni dell’Italia di fine Duecento, e in particolare Pisa, colpita da una dura invettiva al termine dell’episodio e da lui definita “vituperio delle genti” (foto 5).

5 Incisione medievale di Pisa

Quanto al presunto cannibalismo da parte di un uomo che doveva avere quasi ottanta anni al momento della morte, non c’è nessuna prova storica, ma assume con Dante i colori di una vaga leggenda. Una leggenda che può essere riallacciata a un mito greco reso immortale da Eschilo nella tragedia dei Sette a Tebe (o I Sette contro Tebe, 467 a. C.) e molto noto nel mondo classico.

Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, diretto da Valentino Nizzo, in occasione del Dantedì del 25 marzo 2021, ha pensato bene di ricordare il Sommo Poeta mettendo a confronto la vicenda del conte Ugolino con una delle opere più importanti del Museo, l’altorilievo di Pyrgi (terracotta policroma, 470-460 a.C.), ricomposto da molteplici frammenti, dove è raffigurato in primo piano il greco Tideo mentre addenta il cranio di Melanippo (foto 6).

6 Altorilievo del frontone posteriore del tempio A di Pyrgi
7 Leucotea, terracotta policroma, da Pyrgi, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

L’altorilievo è quello del frontone del lato posteriore del tempio A di Pyrgi, l’antico porto di Caere (Cerveteri). Il tempio, da collocare nella località di Santa Severa (comune di Santa Marinella), era dedicato a Thesan-Leucotea, la bianca dea dell’aurora, della quale il museo etrusco espone una splendida testa (foto 7).

L’eccellente lettura dei versi 1-78 del XXXIII canto dell’Inferno, fatta dal multiforme artista Oreste Baldini, è stata introdotta dalla dott.ssa Maria Paola Guidobaldi, Conservatrice delle collezioni del Museo, che ha illustrato quanto raffigurato nell’altorilievo, ovvero le storie di due personaggi del mito tebano, Tideo e Capaneo, e l’antefatto. Siamo a Tebe, dove Eteocle e Polinice, i due figli maledetti di Edipo, che dovevano alternarsi ogni anno nella guida della città, lottano per il potere. Eteocle, dopo il suo anno di regno, ha rifiutato di cedere il trono al fratello ed è quindi assediato con i tebani nella città, mentre fuori i guerrieri provenienti da Argo, alleati del fratello Polinice, ne tentano l’assalto.

Come avviene sempre nei miti greci, gli dei assistono allo scontro e intervengono. E infatti al centro della scena Zeus, irato, ha il braccio alzato nell’atto di scagliare il suo fulmine contro Capaneo (un guerriero alleato di Polinice), che ha bestemmiato contro gli dei. Tra i due c’è un altro personaggio anonimo che assiste alla scena (foto 8).

8 Altorilievo di Pyrgi ( part. ) con Zeus a sin. e Capaneo a destra

Sulla sinistra appare invece Atena che si allontana disgustata alla vista di Tideo (un altro alleato di Polinice), che, pur ferito a morte, azzanna il cranio di Melanippo, il suo avversario tebano col quale si è scontrato presso la porta Crenidiana, e ne mangia il cervello (foto 9).

9 Altorilievo di Pyrgi, part. con Tideo e Melanippo
10 Altorilievo di Pyrgi, part. con Atena

La dea ha in mano l’ampolla con la pozione che avrebbe dato l’immortalità al suo protetto Tideo, ma, inorridita dall’atto di cannibalismo, lo lascia morire (foto 10). La nudità di Tideo e Capaneo sottolinea la bestialità dei loro atti e la loro punizione è la punizione di ogni comportamento improntato al disprezzo degli dei e delle leggi degli uomini (hybris); in chiave politica è una condanna della tirannide di cui i protagonisti sono simbolo e in particolare si vuole condannare il precedente regno tirannico di Thefarie Velianas nella città di Caere.

Tornando all’Inferno, vediamo come nel XXXII canto Dante nota i “due ghiacciati in una buca, / sì che l’un capo a l’altro era cappello; / e come ’l pan per fame si manduca, / così ’l sovran li denti a l’altro pose … ” e trova del tutto naturale fare un confronto con Tideo:

non altrimenti Tideo sì rose / le tempie a Menalippo per disdegno, / che quei faceva il teschio e l’altre cose”.

Il fatto che Dante abbia scritto Menalippo, invece di Melanippo, è dovuto al fatto che egli non leggeva il greco e ha pertanto usato il nome latinizzato, che sicuramente conosceva attraverso la Tebaide di Papinio Stazio (ca. 92 d.C.), un poema epico in 12 libri che ricalca nella lunghezza l’Eneide virgiliana. Lo stesso Stazio, che Dante considerava come uno dei suoi maestri, appare negli ultimi canti del Purgatorio e gli fa da guida. Viene introdotto nel XXI canto, fra i penitenti che scontano il peccato di prodigalità nella V cornice. Nel momento in cui ha cessato di espiare la pena, si verifica un forte terremoto (segno della fine della pena). Dopo aver spiegato il perché del terremoto a Dante e Virgilio, saputo di avere davanti il suo amato Virgilio, Stazio si china a rendergli omaggio abbracciandone i piedi e poi racconta di essersi fatto cristiano dopo aver letto la IV egloga delle Bucoliche, in cui è profetizzato l’avvento di un “puer”, che nel Medioevo era interpretato come Cristo.

11 Spilla Castellani con Dante in micromosaico

Il Museo di Villa Giulia ha ulteriormente celebrato il Dantedì 2021 postando su facebook un video (testi e voce di Maria Paola Guidobaldi) dedicato alla spilla in micromosaico a fondo oro con il Ritratto di Dante, custodita nella collezione degli Ori Castellani (foto 11). La spilla, opera di Luigi Podio, è stata realizzata nel 1865 in occasione del sesto centenario della nascita di Dante.

Riprende il ritratto che pochi anni prima (1840) era stato scoperto tra gli affreschi giotteschi venuti alla luce nella cappella della Maddalena del palazzo del Podestà di Firenze (Bargello) e sarà in mostra nel Museo del Bargello dal 23 settembre 2021 al 9 gennaio 2022 per l’esposizione “La mirabile visione. Dante e la Commedia nell’immaginario simbolista”.

Nica FIORI  Roma 28 marzo 2021