di Fabrizio TONELLI
I Landi di Bardi. Arte, politica, società e mecenatismo nel pieno del Rinascimento padano: nuovi studi*
A Bardi, nell’alto Appennino piacentino, è documentata già nel IX secolo una struttura fortificata, che più tardi assunse un impianto castellano vero e proprio. Passò di mano fra vari signori, finché poco dopo la metà del XIII secolo Ubertino Landi di Piacenza, uomo di punta del gotha ghibellino di Lombardia, conte e parente di re Manfredi di Sicilia, lo comprò pezzo a pezzo dai vecchi proprietari e ne fece la roccaforte del suo vasto dominio nelle alte valli del Ceno e del Taro.
Però quel che oggi s’ammira a Bardi è un maniero del Rinascimento a tutti gli effetti (figg. 1-4), come denunciano di primo acchito i suoi caratteri architettonici e com’è logico attendersi in base alle antiche cronache: dalla metà del ’200 alla metà del ’400, infatti, i Landi ne furono signori in modo assai discontinuo e tutt’altro che pacifico, la rocca cambiò violentemente padrone più volte e subì feroci assalti, certo non uscendone illesa.
Solo dal 1448 il conte Manfredo IV Landi detto il Postumo (fig. 5a) recuperò Bardi definitivamente e i suoi discendenti lo possedettero senza interruzione per oltre due secoli, facendone il centro politico e amministrativo di una signoria a se stante, inizialmente mediocre, poi cospicua fino al 1578, anno del loro crollo politico. Più precisamente, dopo la morte del Postumo nel 1488, i suoi tre figli ressero in condominio i feudi fino al 1491, quando decisero la spartizione, originando tre linee comitali distinte: Corrado quella di Rivalta, Pompeo di Compiano, Federico di Bardi (fig. 5b), ciascuno con molti altri beni allodiali e signorili sparsi fra città, pianura, collina e montagna. Nel 1532-35 i Landi di Bardi assorbirono per via matrimoniale il contiguo feudo di Compiano e quello ubertoso di Alseno in pianura, nel 1551 v’aggiunsero per concessione cesarea il vasto feudo di Borgotaro, confinante a Compiano, col titolo di principi imperiali, e tentarono invano d’acquistare Pontremoli al di là del crinale appenninico, per avere lo sbocco a mare. Ma nel 1578 si videro strappare Borgotaro e completamente i beni di collina, pianura e città dal duca di Parma e Piacenza Ottavio Farnese, che li ridusse nei soli feudi di Bardi e Compiano, con divieto di transito nell’intero territorio del ducato farnesiano. Nel 1679 i principi Landi s’estinsero nei genovesi Doria, che nel 1682 vendettero i due ultimi castelli al duca Ranuccio II Farnese.
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Un castello del Rinascimento per ospiti illustri
All’alba del Cinquecento il colto piacentino Gian Domenico da Roncovero elogiava, dopo esservi stato ospite, «la rellucente et gallante rocha de Bardi, giolia preciosissima in queste montagne», in un’inedita lettera del maggio 1502 spedita al conte Federico e a sua moglie Caterina Pallavicino di Cortemaggiore, padroni del castello. I due coniugi vantavano in famiglia esempi di committenza di prim’ordine: a Piacenza abitavano nel palazzo privato più bello della città, commissionato da Manfredo il Postumo, padre di lui, ad alcuni dei migliori collaboratori milanesi di Bramante, quali Giovanni Battagio, Agostino Fonduli e Giovanni Pietro da Rho, mentre il padre e il fratello di lei, i marchesi Gian Ludovico e Orlando Pallavicino, avevano chiamato da Milano e Cremona ingegneri, architetti, decoratori e scultori per trasfigurare il villaggio contadino di Cortemaggiore in una piccola città su impianto a maglia ortogonale all’antica, con la corte marchionale organizzata in due sedi vicine ma ben distinte, una castellana, una palaziale, interpretando con accortezza il suggerimento di Leon Battista Alberti sui differenti tipi di residenza convenienti al principe tiranno e al principe giusto.
Dieci anni dopo, Marcantonio Landi (fig. 5c), figlio di Federico e Caterina, era ancora intento a ingentilire l’ospitalità di Bardi e comandava, stando a un inedito documento dell’aprile del 1524, di «conzare quelli roseti del giardino da basso como quello di rocha, aciò, venendo li amicii nostri, ritrovano le cosse ordinate alla civille in quelli lochi». A stimolarlo nell’incivilimento della fortezza era la moglie Costanza Fregoso, cresciuta a Urbino, in una delle corti più raffinate d’Italia, intima di mecenati e dotti illustri del Cinquecento: suoi fratelli erano il doge di Genova Ottaviano Fregoso e l’arcivescovo di Salerno Federico Fregoso, suo amico e forse primo amore Pietro Bembo. Costanza e i suoi fratelli sono fra i protagonisti del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, altro loro amico di gioventù, che immortalò le serate brillanti al palazzo di Urbino.
Ai primi bollori estivi del 1534, il conte Agostino (fig. 5d), figlio di Marcantonio e Costanza, tentava di strappare il Bembo all’afa padovana per averlo ospite nei propri castelli, decantandogli la frescura delle sue valli alte e il «molto bene a starsi per questi caldi nel suo Appennino», tanto che l’autore degli Asolani, impedito a raggiungerlo subito, si doleva «a non ci essere anch’io con vostra signoria» e assicurava d’aver «già deliberato, se Nostro Signore Dio mi donerà sanità a quel tempo, di venirvi a vedere questo settembre prossimo».
Scomparsi prematuramente Agostino e la moglie Giulia Landi di Compiano, i loro orfani Manfredo e Claudio (fig. 6a-b) furono tutorati dal longevo conte Giulio Landi, fratello di Marcantonio e zio di Agostino stesso, che nel 1557 li collocò adolescenti alla corte del re di Spagna, ove rimasero cinque anni, per farli educare secondo i costumi dei cavalieri spagnoli, legare d’amicizia coi giovani della nobiltà iberica, sposare possibilmente con fanciulle del sangue o della corona. Un inedito carteggio svela che il re e la regina in persona, nel salone delle feste del palazzo madrileno, presenti i Grandi di Spagna e il conte Giulio, unirono il 28 giugno 1562 le mani del giovane principe Manfredo e di Juana de Córdoba y Aragón, nobilissima damigella della regina. Disgraziatamente Mafredo morì poco dopo, in procinto di rientrare in Italia con Juana e il conte Giulio, il quale, per scongiurare il ritorno a Bardi con un corteo funebre anziché nuziale, orchestrò col re l’immediato subentro del cadetto Claudio nei titoli, nei beni e nel letto del defunto fratello. Perciò si stabilì a Bardi nel 1564 una principessa spagnola, pupilla di Filippo II e cugina del duca di Sessa, governatore di Milano.
Il gotha italiano ed europeo era ormai l’ambiente dei matrimoni combinati per i giovani principi Landi, cosicché nel castello di Bardi, entro la fine del secolo, fecero la loro comparsa gl’immensamente ricchi Spinola di Genova e i Grimaldi signori di Monaco: il principe Federico (fig. 6c), figlio di Claudio e Juana, impalmò infatti nel 1597 Placidia Spinola, sorella del marchese Ambrogio, banchiere e tesoriere del re di Spagna, mentre Maria Landi, sorella di Federico, sposò nel 1595 Ercole I Grimaldi, i cui figli, rimasti presto orfani dei genitori, vennero affidati alla tutela dello zio Federico e trascorsero alcuni anni nel suo castello.
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Capolavori e collezioni in castello
Se costanti duravano l’incanto del paesaggio e la frescura estiva di Bardi, coi quali Agostino aveva solleticato il Bembo, l’opulenza della dimora era invece aumentata e nel 1617 ben due pubblicazioni a stampa la esaltavano. Nelle stanze s’erano raccolti dipinti, oggi in gran parte dispersi, di Botticelli (fig. 7), Raffaello, Tiziano, Antonio Campi, Sofonisba Anguissola, Giovan Pietro Lomazzo e Giambattista Castello detto il Bergamasco; da Roma e Venezia s’erano fatti venire disegni per le argenterie; dalle botteghe milanesi s’erano comprate oreficerie, cammei, cristalli e armature da parata cesellate; da Faenza e Urbino le maioliche; dalle Fiandre tappezzerie e arazzi. Asportate queste collezioni nel 1682, il caso ha risarcito il paese con una pala dipinta da Parmigianino per una chiesa di Viadana (fig. 8), che oggi sta nell’arcipretale di Bardi e passa erroneamente, nella meno avvertita letteratura sul castello, per un residuo della quadreria dei Landi.
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Tesi correnti sulla storia del castello di Bardi
Con tutto questo si è lontani dal conoscere la storia artistica e architettonica della rocca di Bardi, non solo perché il riepilogo appena delineato si basa su fonti inedite, bensì perché dal 1914 vengono ripetute sulla sua storia supposizioni arbitrarie, spacciandole per verità accertate, in assenza di qualsiasi ricerca scientifica.
Nella pubblicistica corrente si ritiene che l’impianto dell’intero castello sia duecentesco e risalga al conte Ubertino I Landi e che la parte più alta e nobile del complesso, ossia la piazza d’armi e il quartiere residenziale signorile con la corte d’onore, sia stata più tardi ricostruita sull’antico impianto, in due campagne di fabbrica distanziate fra loro di oltre cent’anni: a cominciare l’ammodernamento sarebbe stato il conte Manfredo il Postumo fra il 1450 e il 1488, a proseguirlo a cavallo del ’500 e del ’600 il suo tris-nipote, principe Federico Landi, perfino con aggiunte volute da sua figlia Maria Polissena dopo il 1630 (fig. 9). Questa tesi, coniata a capriccio da Leopoldo Cerri nel 1914 e mai più revocata, poggia su basi propriamente false e su altre inabili allo scopo. Recentemente è stata avanzata l’idea di una fase intermedia, non meglio specificata, voluta negli anni ’70-’80 del ’500 dal principe Claudio Landi, padre di Federico.
Tali congetture mancano non solo di appoggi documentari e archeologici, bensì pure stilistici. Al contrario, l’indagine sullo stile, quando la si eserciti, reclama una diversa cronologia per le parti più auliche del castello, vista l’incompatibilità dei caratteri architettonici all’epoca preconizzata.
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La ricostruzione avviata dal conte Federico Landi figlio del Postumo?
Una generica datazione medievale, o meglio pre-rinascimentale, può riferirsi unicamente alla fondazione del maschio del castello (figg. 10-11), in virtù del fatto che la sua pianta è ruotata rispetto agli assi planimetrici degli edifici circostanti, tutti d’età moderna, come ha osservato per primo nel 1972 Carlo Perogalli. In ogni caso, non esiste finora alcuna prova capace di circoscrivere l’esatto momento della sua costruzione.
Circa la prima fase di ricostruzione rinascimentale, relativa alla torre cilindrica nord-occidentale e ai due lati del maniero convergenti su di essa, accomunati dal cornamento di ronda aggettante su beccatelli lapidei trilobati (figg. 10, 12-13), l’idea che ne sia stato committente Manfredo il Postumo è una semplice congettura, priva di riscontri decisivi: gli archivi tacciono una qualunque sua attività edile a Bardi e i
caratteri architettonici sono inabili a fornire un termine cronologico stringente, poiché calzano pacificamente agli ultimi anni di vita del Postumo, agli anni del condominio dei suoi tre figli (1488-91) e a quelli del governo solitario del conte Federico dopo la spartizione dei castelli coi fratelli (1491-1515). Semmai occorre dire, in base ai documenti, che la classifica delle preferenze residenziali di Manfredo vide Bardi all’ultimo posto, dietro a Piacenza, Rivalta, Compiano, Milano, quella dei suoi figli nel triennio condominiale si ridusse a Rivalta e Piacenza, mentre a partire dal 1491 Federico fu il capostipite della linea comitale dei signori residenti propriamente fra Bardi e Piacenza e per lui s’hanno inedite prove archivistiche di lavori in castello dal 1491 al 1502. Con Federico e sua moglie Caterina nei documenti bardigiani si menziona per la prima volta il «palatium» della rocca, compaiono la «salla magna nova» e scalpellini all’opera. E si capisce perché nel 1502 Gian Domenico da Roncovero poteva ammirare «la rellucente et gallante rocha de Bardi, giolia preciosissima in queste montagne».
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Stile: sbarramento cronologico insormontabile per i principi Claudio e Federico
Alla committenza del principe Claudio Landi e a quella di suo figlio Federico è interdetto il fulcro del quartiere nobile, con la facciata sulla piazza d’armi, la scalinata ad ali, la corte d’onore e l’attuale sala grande (figg. 10, 14-16).
Sono tutte opere che non denunciano in alcun modo la svolta stilistica michelangiolesca intervenuta nell’architettura milanese-lombarda alla fine degli anni ’50 e in quella dei ducati farnesiani alla fine degli anni ’70, in tempo quindi per dovercela attendere in programmi architettonici di principi piacentini fra il 1565 e il 1630, tanto più dei principi Claudio e Federico, che vantavano nella capitale lombarda la fama di mecenati perfettamente à la page, commissionando lì e assai più raramente a Genova, vesti, ritratti, suppellettili, arredi e generi di lusso. Per quale motivo dunque Claudio e ancor più Federico, che teneva palazzo a Milano dal 1591, avrebbero dovuto promuovere il rinnovo del proprio castello con un progetto frusto e avulso dagli sviluppi dell’architettura lombarda?
Le fonti disponibili, alcune già note, permettono di capire che Claudio e Federico intervennero in verità ai margini del quartiere nobile ormai esistente: Claudio aggiunse il nuovo oratorio e la torre dell’orologio sull’angolo nord-est della residenza, fece lavorare all’interno e alla copertura dell’antico maschio e si concentrò per il resto sul rafforzamento delle strutture difensive e sul miglioramento delle infrastrutture (costruzione di una cisterna, ammodernamento della cucina, lastricatura della strada interna alla rocca); suo figlio aggiunse invece nuove stanze padronali sull’angolo sud-ovest, allestì nuove cucine, risistemò l’area intorno al vecchio maschio alle spalle del portico della corte d’onore, ampliando il giardino meridionale, e per il resto operò all’esterno del quartiere nobile, proseguendo la fortificazione del maniero e facendo costruire i nuovi corpi di fabbrica sui lati est e sud della piazza d’armi. È una gratuita boutade il ruolo avuto dalla principessa Maria Polissena in piena età barocca, cui sono stati inconsultamente riferiti la scalinata e il portale d’accesso alla corte d’onore.
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Due fonti antiche non collimanti
La sottaciuta fonte del Cerri per affibiare al principe Federico la corona di mecenate massimo nel castello di Bardi è la descrizione edita nel 1617 da Francesco Piccinelli, nella quale non è fatta una sola parola della committenza degli altri Landi:
una rocca per molte ragioni illustre …; attorno stanno le torri ed i bastioni; dentro, stanze magnifiche, cenacoli, abitazioni, la sede per accogliere i principi splendidamente adorna …; vi sono mulini, cisterne ed officine e tutto ciò ch’è utile per la guerra …, e giardini, fontane, grotte, pitture, viali, poggioli, portici, una spezieria di quintessenze, come si dice, e altre preziosissime cose, … una biblioteca in via di sistemazione, che comprende ogni sorta di libri, specialmente di cosmografia … tre esposizioni d’armi: la prima di spade e di lame, la seconda di schioppi a rotella e la terza di schioppi a cui si accosta una cordicella accesa …, una chiesa piamente e magnificamente provvista per la celebrazione quotidiana dei divini misteri.
Nelle pubblicazioni recenti è stato automatico affiancare al Piccinelli l’iscrizione del principe Federico nell’acciotolato pavimentale della «grotta» presso il maschio e gli affreschi sulle volte delle nuove stanze sud-occidentali, che sono in parte commemorativi della sua tutela politica sul principato Grimaldi di Monaco e in parte basati su incisioni edite nel 1617 nel Libro della descritione in rame de i stati et feudi imperiali di don Federico Landi, una ricca raccolta di tavole curata dal pittore cremonese Carlo Natale.
Il punto è che il Libro della descritione in rame è corredato da un breve testo non firmato, ripreso in larga misura, ma non del tutto, da quello sincrono del Piccinelli, e le note suplettive smascherano le omissioni del Piccinelli. Pure qui è rispettato l’ovvio omaggio al feudatario regnante e al suo protagonismo, però l’inaugurazione dei nuovi lavori in castello è fatta risalire a suo nonno Agostino: «il prencipe Agostino l’abellì, fortificò et ampliò molto di fortezza e appartamenti».
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Un’assenza impossibile fra i mecenati di Bardi: Agostino Landi
Non v’è necessità d’entrare negli archivi per trovare le prove di lavori cospicui negli anni ’30-’50 del ’500, finora insospettati. Il vaglio scientifico dello stile architettonico e delle peculiarità progettuali del quartiere residenziale in castello consente infatti di captare elementi molto specifici, capaci di circoscrivere la sua cronologia al ventennio fra la metà degli anni ’30 e la metà delgli anni’ 50. Tale periodo è ulteriormente convalidabile con prove e circostanze già note, poiché intercetta sia la data 1544 inserita in uno dei fregi monocromi affrescati nelle stanze nobili (fig. 17), sia la disponibilità di un committente d’eccezione quale fu appunto Agostino Landi (fig. 18), il padrone di Bardi dagli ultimi giorni di luglio 1529, data di morte di suo padre, al 18 marzo 1555, data della propria morte.
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Agostino Landi, primo principe di Valtaro
Nel 1547 Agostino fu uno dei protagonisti della congiura nobiliare che eliminò il duca Pierluigi Farnese e consegnò Piacenza a Carlo V: ciò gli valse immediatamente la nomina a governatore imperiale pro tempore di Borgotaro e lo strapotere in Piacenza. Nella primavera del 1551, la promessa d’un suo determinante appoggio militare all’imminente assedio imperiale di Parma, che avrebbe dovuto assicurare il definitivo predominio asburgico in Lombardia e l’estinzione del ducato dei Farnese ribelli all’Impero, gli valse concessioni di Carlo V più ampie, cioè la dignità senatoria di Milano con le relative esenzioni fiscali, il raddoppio dei feudi appenninici, con l’infeudazione vera e propria dell’intera giurisdizione di Borgotaro a titolo di principato imperiale trasmissibile ai primogeniti, la conferma della contea-baronia di Compiano, l’elevazione di Bardi in marchesato e, nel 1552, il titolo d’illustre nel protocollo dell’impero e il privilegio di zecca. Ma continuò ad essere Bardi la capitale della compagine feudale dei Landi.
Agostino fu il secondo uomo più ricco dell’intera provincia piacentina dagli anni ’30, in virtù del matrimonio con la cugina Giulia nel 1532 e dell’eredità del cognato Cesare, morto nella spedizione imperiale tunisina del 1535; fu l’uomo più potente di Piacenza e uno dei più eminenti della Lombardia asburgica dal 1547, in virtù dell’adesione alla strategia anti-farnesiana di Carlo V; fu il più ricco feudatario piacentino (non il secondo) dal 1551, grazie all’investitura di Borgotaro.
Ora, se si considera ch’egli recuperò la massima estensione dei feudi, rilanciò il casato sulla scena politica europea e ottenne il rango principesco, sarebbe inspiegabile se proprio lui avesse disertato l’impegno della munificenza, tanto più nel suo castello avito, come vorrebbe invece la pubblicistica corrente su Bardi, silente al riguardo.
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Interessi vitruviani e architettonici di Agostino
Non solo il profilo politico di Agostino, bensì pure quello culturale rende di per sé implausibile la sua latitanza edile nelle residenze di famiglia. Il conte si fece spedire da Padova nel 1536 un’edizione del trattato di Vitruvio, insieme alla Tavole di Tolomeo e alle Rime del Bembo. Nel 1542 Claudio Tolomei indirizzò da Roma a lui, quale persona interessata precipuamente, una celebre lettera per illustrargli in dettaglio il programma di studi su Vitruvio e sull’architettura antica dell’Accademia della Virtù («il vostro disiderio significatomi per l’ultime lettere… dunque avendo già disteso tutto l’ordine di questo nuovo studio d’architettura, ve lo mando come desiderate e chiedete…»), lettera che lo stesso Tolomei diramò a stampa nel 1547. Documenti inediti chiariscono che il conte Agostino aveva soggiornato a Roma nel 1539, ospite del cardinale Alessandro Farnese, intorno al quale gravitavano i letterati più impegnati negli studi antiquari, come il Tolomei, Marcello Cervini, Paolo Giovio e Francesco Maria Molza. Erano quasi tutti amici stretti di suo zio Giulio Landi, vissuto con loro alla munifica corte del cardinale Ippolito Medici fino al 1535, cosicché fu il conte Giulio a fornire al nipote per l’occasione le commendatizie necessarie, insieme alle istruzioni di gusto bernesco sulle regole da osservare negli svaghi romani: «guardatevi da le puttane che son fallite et da le troppo grandi et ambitiose, et fugite i garzoni che non fanno netta cucina. Del resto datevi piaceri et conservatevi. Fate amicitia con messer Claudio Tolomei, col Molza et con messer Bino et una qualunche sera date lor cena per me, chiamandomi qualche volta sotto la tavola».
Altri documenti inediti attestano che proprio le competenze in materia architettonica, valsero ad Agostino nel 1539 la nomina a deputato del comune di Piacenza sopra l’impresa d’ammodernamento delle mura cittadine.
In un inventario della biblioteca del castello di Bardi, fatto redigere dal principe Federico Landi nel 1596, sono elencati vari trattati rinascimentali di antiquaria, numismatica, epigrafia, architettura e storia artistica, comprese le Vite del Vasari, ma confrontando quest’inventario del 1596 con documenti precedenti, è facile intendere che nella biblioteca del principe Federico erano incorporati anche i volumi acquistati dai suoi predecessori e alcuni segnatamente da suo nonno Agostino, ad esempio «un libro di diversi disegni di pittura, con grotesche», che corrisponde a una raccolta commissionata a Roma da Agostino negli anni ’50. Difficile, quindi, che al primo principe di Valtaro non si debba l’acquisto dei trattati d’architettura stampati entro il 1555 presenti nell’inventario del 1596.
Del resto, alla committenza architettonica di Agostino si devono restituire interventi nel palazzo piacentino e nel castello di Compiano, oltre ad alcune intenzioni poi non realizzate, come quella di un tempio a pianta centrale con al centro il proprio sepolcro da erigere a Bardi o Compiano, e quella di una villa con giardino da costruire entro le mura di Piacenza.
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Figlioccio del Bembo, pronipote di Federico da Montefeltro, nato ad Urbino
Sul fronte culturale e artistico Agostino potè avantaggiarsi di molte circostanze favorevoli: l’educazione classica di buon livello, quotidianamente sorvegliata da un istitutore reclutato da sua madre ad Urbino e patrocinata in età universitaria dal Bembo in persona, suo padrino di battesimo, che l’ospitò in casa propria a Padova nel 1527-28, quando i genitori lo mandarono a seguire i corsi presso lo Studium patavino; i molti viaggi fin da giovane, anche fuori Italia; l’affiancamento dello zio paterno, conte Giulio Landi, colto e letterato, oltre che sperimentato uomo di governo, frequentatore delle corti d’Italia e d’Europa; i plurimi contatti, tramite il Bembo e il conte Giulio, con scrittori e uomini dotti, da Apollonio Merenda all’Aretino, dal Doni a Paolo Giovio, da Claudio Tolomei a Luca Contile; le parentele con l’alta aristocrazia milanese, dai Trivulzio ai Tolentino, dai Gallerati ai Visconti Borromeo, agl’immancabili Pallavicini, tutti committenti di rispetto; il salto politico della maturità, che gli guadagnò, oltre al rango di principe dell’impero e al raddoppio delle ricchezze, l’introduzione nel club degli uomini più influenti del regime imperiale in Italia e la familiarità di Andrea Doria e dei Gonzaga, collezionisti e protettori d’artisti eccellenti.
Ma in fondo il senso estetico di Agostino era nato sotto una buona stella: benché dai moderni profili biografici non si sappia, il suo bisnonno fu il duca di Urbino Federico da Montefeltro e alla corte feltresca Agostino vide la luce il 5 maggio 1510, stando a nuove fonti.
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Le prime due fasi di fabbrica documentate per Agostino a Bardi negli anni ’30 e ’40
Entrando infine negli archivi, si riesce a precisare l’iniziativa di Agostino in castello. Gli si devono anzi riferire, in base a nuovi documenti, tre distinte campagne d’opera impegnative, scalate in tre decenni consecutivi. La prima, durata dal 1533 al 1537, coinvolse pure l’architetto piacentino Fredenzio Tramello e si concentrò sul potenziamento delle fortificazioni della rocca e sulla ricostruzione dell’edificio d’accesso alla parte più interna del castello (figg. 19-20),
con il ponte levatoio, il grande portone, l’androne voltato in muratura, il corpo di guardia e le stanze superiori, ma non trascurò la sistemazione di un giardino presso un pozzo non meglio specificato, ch’è senz’altro il giardino meridionale del quartiere nobile presso l’antico maschio, e da venezia si procurò il progetto per una fontana. La seconda campagna di lavoro, nel triennio 1543-45, servì a completare e decorare le stanze padronali già esistenti nella parte alta della rocca, cioè quelle dei lati nord e ovest dell’attuale cortile d’onore, che verso l’esterno formano i due fronti castellani convergenti sulla torre circolare d’angolo, caratterizzati dal coronamento aggettante su beccatelli lapidei a triplice sbalzo. A questa fase risalgono: 1) i fregi a monocromo affrescati nelle stanze, come dimostra la data 1544 inserita in uno di essi (fig. 17, 21-23);
2) tre dei superstiti soffitti lignei a cassettoni con mensole intagliate (figg. 21-22), che per tipologia struttiva e stile s’inseriscono perfettamente nel panorama dei soffitti allora in uso in Lombardia e classificati dal cremonese Alessandro Capra nel suo trattato; 3) plausibilmente le due mostre di camini, uniche superstiti delle quattro che ancora esistevano a inizio Ottocento in queste stanze (fig. 24); 4) la realizzazione di un nuovo giardino o l’ampliamento di quello già esistente; 5) il progetto per una fontana, fatto fare a Venezia. Da nuovi documenti si viene a sapere che il conte chiamò da Piacenza un architetto, un pittore e un maestro scalpellino, i nomi dei quali però non sono esplicitati nelle carte ritrovate.
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Una proposta per gli affreschi monocromi nelle stanze nobili
Si potrebbe riferire l’esecuzione degli affreschi al piacentino Giacomo Cassano e a suo figlio Rolando, che numerosi documenti inediti del 1532-1555 dimostrano esser stati fedelissimi familiari e pittori di fiducia di Agostino Landi, attivi per lui anche in città: è un’ipotesi solamente indiziata da tali carte d’archivio, priva per ora di possibili riscontri stilistici, poiché dei due artisti non si conoscono opere certe utili al paragone. In tutti i casi, visto l’esplicito debito dei fregi bardigiani allo stile degli affreschi di Pordenone e di Bernardino Gatti in S. Maria di Campagna, non è da escludere che il conte Agostino abbia richiesto agli incaricati d’eseguirli su cartoni commissionati al Gatti, astro del panorama artistico piacentino in quegli anni: non per nulla dieci anni più tardi lo stesso Landi farà eseguire gli affreschi a grottesche nella nuova sala da Rolando Cassano sulla base di disegni commissionati appositamente a Roma.
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La terza fase dei lavori negli anni ’50
L’ultima e più aulica campagna di lavoro fu condotta nel 1552-1555, dopo l’elevazione di Agostino al rango principesco e senatorio, e conferì un nuovo assetto monumentale a tutta la parte alta del castello. Al quartiere residenziale nobile s’aggiunsero la facciata prospettante sul piazzale d’armi appositamente spianato ad una quota più bassa (fig. 14), la scalinata d’accesso a cielo aperto (fig. 25), il cortile d’onore con portico a colonne sul lato sud (figg. 15-16), la grande sala su quello nord (figg. 26-27), il giardino meridionale recintato ai piedi dell’antico maschio, la cantina scavata sotto alla nuova sala. È l’assetto ancor’oggi vigente, rispettato dagli ampliamenti promossi successivamente dai principi Claudio e Federico, figlio e nipote di Agostino.
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Lombardino
Ricondurre i progetti e le decorazioni del quartiere nobile agli anni ’40-’50 del Cinquecento ha conseguenze significative dal punto di vista critico e storico. Critico, perché nell’età di Agostino Landi opere del genere risultano aggiornate sulla migliore cultura architettonica e artistica del tempo, mentre nell’età del principe Claudio Landi sarebbero attardate e in quella del principe Federico superate. Storico, perché s’ottiene l’esatta cronologia delle fasi costruttive in rocca, si restituisce la competenza al vero committente e s’orienta con buone chances di successo la ricerca dei nomi degli architetti e degli artisti coinvolti.
Nel 1552 Agostino, ormai principe imperiale e senatore milanese, s’avvalse del più affermato progettista della capitale ambrosiana, Cristoforo Lombardino, per rinnovare il quartiere nobile del castello di Bardi. Ad assicurarlo sono circostanze storiche, inediti indizi documentari e più d’ogni altra cosa la perfetta rispondenza delle opere bardigiane all’inconfondibile stile architettonico del maestro milanese: argomenti di una prossima anticipazione su questa stessa rivista.
Il principe e l’architetto morirono entrambi a Milano nel 1555, rispettivamente il 18 marzo e il 30 settembre o 1° ottobre. Stando ai documenti, i lavori a Bardi erano pressoché ultimati.
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Virgilio
DEUS NOBIS HAC OTIA FECIT, un Dio ci ha donato questi ozi, campeggia a Bardi nell’epigrafe sopra al portale d’accesso alla corte d’onore. È una citazione dall’egloga I, 6 delle Bucoliche e calza perfettamente ai gusti letterari di Agostino.
Il ramo d’oro col motto SI TE FATA VOCANT compariva sul verso di una medaglia coniata per Augustinus de lando princeps vallis tari, quindi dopo il maggio 1551, della quale oggi resta solo il disegno e più nessun esemplare. Anche qui un verso virgiliano, questa volta dal VI libro dell’Eneide, dove la Sibilla Cumana suggerisce ad Enea di cogliere il ramo d’oro per entrare e tornare indenne dall’Ade, e l’avverte che gli sarà facile soltanto se a ciò davvero lo chiama il destino.
A distanza di tanto tempo, siamo ormai negli ultimi anni di vita del principe, egli era ancora appassionato di Virgilio, come quando da giovane, triste per il coatto abbandono di Padova e degli studi a causa della precoce morte del padre, che l’aveva costretto a rimpatriare ed assumere le prime responsabilità domestiche, scriveva all’amico letterato Apollonio Merenda, vagheggiando di rincontrarsi presto per leggere tutta l’Eneide con lui, che gli rispondeva: «non solo l’Eneida et tutto quel che a vostra signoria sarà in piacere che vediamo insieme, a me sarà di somma gratia che si faccia, ma sarò contentissimo et pregherò di gratia vostra signoria che ella ordini et dispensi il tempo et le hore a suo piacere, che io non farò se non quanto ella vorrà».
Quella di Agostino per Virgilio era una passione condivisa con suo zio Giulio, che in un’inedita lettera spedita il 28 giugno 1539 da Piacenza al nipote a Roma, lo sollecitava a cercare, con il tramite di Francesco Molza e del Tolomei, una copia della traduzione in volgare del II libro dell’Eneide condotta a suo tempo dallo scomparso cardinale Ippolito Medici, di cui Giulio era stato per lunghi anni famigliare nell’Urbe: «veda la signoria vostra se la può, per via del Molza, havere il secondo di Virgilio tradotto da la felice memoria del mio padrone, over per via di messer Claudio Tolomei».
Non si capirebbe fino in fondo la cura trentennale di Agostino per la remota rocca di Bardi, se non si tenesse pure conto del violento sentimento anti-urbano, anti-cortigiano, trasudante dalle sue lettere e dai fatti della sua vita, sentimento che si nutrì dell’orgoglio atavico di libero padrone di castelli, cui Virgilio prestò l’ammanto arcadico.
Fabrizio TONELLI settembre 2018
APPENDICE: ALBERO GENEALOGICO DEI LANDI DI BARDI DISCENDENTI DI MANFREDO IV DETTO IL POSTUMO
Non compresi nella raccolta delle Famiglie celebri italiane di Pompeo Litta, i Landi non dispongono ancora oggi di un albero genealogico completo e affidabile almeno nelle scansioni generazionali; in particolare quello di Vignodelli Rubrichi 1974 è oberato di svarioni dal Medioevo all’evo moderno; quelli desunti da Fiori 1979 recano errori e omissioni soprattutto nelle generazioni medievali, quello di Tocci 1985 tav. 7 (che parte da Manfredo il Postumo) e quello allegato a De Rosa 2008 sono difettosi soprattutto nelle generazioni moderne.
L’albero pubblicato qui di seguito, limitato al ramo dei Landi che dominò su Bardi e alle generazioni da Manfredo il Postumo in poi, si basa interamente su dati documentari certi, editi e inediti.
Legenda dei simboli:
∞ significa: sposata, sposato con
* Questa è l’anticipazione di una ricerca in corso sul castello di Bardi. Ho presentato la prima volta i risultati sulla committenza di Agostino Landi in un incontro promosso a Bardi dal Centro Studi della Valle del Ceno il 17 aprile 2010. Ringrazio per l’aiuto: Letizia Arcangeli, Giuseppina Bacchi, Antonella Barazzoni, Valentina Bocchi, Alberta Cardinali, Federica Dallasta, Davide Gasparotto, Roberto Lasagni, Silvio Leydi, Alessandro Mascherucci, Giuliano Masola, Stefano Migliorini, Floriana Petracco, Anna Riva, Edoardo Rossetti, Antonio Russo, Rossana Sacchi, Alessandra Talignani, Lucia Togninelli, Vito Zani.
Com’è noto, Bardi ha fatto sempre parte della provincia piacentina dal punto di vista politico ed ecclesiastico, e piacentini sono stati i suoi signori fino all’età tardo-farnesiana; solo nel 1923, per referendum, il comune di Bardi è passato nella moderna provincia di Parma, restando tuttavia in diocesi di Piacenza. Le sue vicende storiche, feudali e monumentali non hanno nulla a che a fare con quelle parmensi.
FONTI INEDITE CONSULTATE
Si trovano in:
Archivio Cantù-Faganello a Compiano;
Archivio Doria Pamphili a Roma (fondo Landi, serie Carteggio e serie Pergamene);
Archivio parrocchiale di Bardi;
Archivio storico comunale di Bardi;
Archivio di Stato di Milano (Carteggio sforzesco; Cancellerie delle Stato; Senato, Interinazioni; Privilegi; Registri delle Cancellerie dello Stato; Famiglie; Feudi imperiali; Feudi camerali; Notai di Milano);
Archivio di Stato di Parma (Mappe e Disegni; Mappe del Patrimonio dello Stato; Notai di Borgotaro; Congiure e confische; Feudi e Comunità; Ufficio dei Confini; Famiglie; Casa e corte farnesiana; Carteggio farnesiano interno; Carteggio farnesiano estero; Epistolario scelto; Gonzaga di Guastalla; Raccolta Storica; Raccolta Ronchini);
Archivio di Stato di Piacenza (Notai di Piacenza, Comune di Piacenza);
Biblioteca Palatina di Parma (Carte Micheli; Manoscritti Parmensi);
Biblioteca comunale Passerini-Landi di Piacenza (Manoscritti comunali; Manoscritti Pallastrelli).
Elenco bibliografico in ordine cronologico
Con * s’indicano fonti antiche o precipue edizioni di fonti; con @ titoli riguardanti la storia architettonico-monumentale del castello di Bardi
[1] * 1526-1542, Bembo Pietro, Lettere, 4 voll., edizione critica a cura di E. Travi, Bologna 1987-1993, con indici [vol. 1, 1492-1507 (1987); vol. 2, 1508-1528 (1990); vol. 3, 1529-1536 (1992); vol. 4, 1537-1546 (1993)] [la prima lettera conservata ai Landi è del 1526.11.25 da Padova a Caterina, sorella di Agostino; l’ultima è ad Agostino del 1542.0819 da Roma]
[2] * 1542, P. Aretino, Lettere. Libro II, Venezia 1542; ed. a cura di Paolo Procaccioli, Roma, Ed. Salerno, 1997 (Edizione nazionale delle opere di Pietro Aretino, 4, Lettere, vol. 2), ad indicem.
[3] * 1542, C. Tolomei, Al conte Agostino de’ Landi [lettera da Roma, 1542.11.14], in C. Tolomei, De le lettere di M. Claudio Tolomei lib. sette, Venezia, Giolito, 1547, ff. 81r-85r; riedizione in C. Tolomei, De le Lettere di m. Claudio Tolomei libri sette. Con nuoua aggiunta ristampate, & con somma diligenza corrette, Venezia, Giolito, 1549, ff. 102v-107v (ed. critica in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, 3 voll., Milano-Napoli 1971-1977, vol. 3, 1977, pp. 3037-3046; ed. critica in Lettera al conte Agostino de’ Landi. Lettera a Gabriele Cesano, a cura di S. Benedetti e T. Scalesse, in E. Cataneo, G. Barozzi da Vignola, Trattati, a cura di E. Bassi, S. Benedetti, R. Bonelli, L. Magagnato, P. Marini, T. Scalesse, C. Semenzato, M. Walcher Casotti, Milano 1985, pp. 33-76)
[4] 1617, C.Natali = Libro della descritione in rame de i stati et feudi imperiali di don Federico Landi …che hor uiue nel 1617 … Diuerse monete batute da detti principi, e che, si battano ancora. Imprese della casa, e, marchi de caualli della sua razza. Raccolte, dessignate & intagliate per Carlo Natale pittor Cremonese, s.l. (Cremona?), s.d. ma 1617; testo non firmato; alcune incisioni firmate da Leon Palauicino; edizioni in facsimile: 1) Descrizione degli stati e feudi imperiali di Val di Taro e Val di Ceno, Compiano, Compiano arte storia, 1977 (stampa: Sala Bolognese, A. Forni); 2) Lo Stato Landi di Val Taro e Val Ceno, con prefazione e commenti di E. Rulli, Compiano arte storia, Centro culturale, 1997
[una prima edizione, a quanto pare costituita solo dalle tavole illustrative, senza testo d’accompagnamento, fu pubblicata nel 1615: la citano ad esempio Poggiali 1757-1761, vol. IX, 1761, p. 295, in merito alle rappresentazioni delle monete e medaglie dei Landi, Cerri 1900, p. 46, Credali 1978, p. 265, nota 17]
[5] * 1617, F. Piccinelli, Ad Bernardum Landolum ubi amoenissimae Tari et Ceni valles breviter pinguntur (lettera da Milano, 1 agosto 1617), in Francisci Piccinelli mediolanensis Opuscola, Milano, «apud Jacobum Lantonium», 1617, pp. 608 segg.
[6] * 1757-1766, C. Poggiali, Memorie storiche della città di Piacenza, 12 voll., Piacenza 1757-1766 (per i Landi e i loro feudi: voll. 5-11, ad indicem; riproduzioni delle monete e medaglie dei Landi in vol. 9, 1761, tav. 4, inserita in corrispondenza di pag. 296)
[7] * 1789, C. Poggiali, Memorie per la storia letteraria di Piacenza, 2 voll, Piacenza, 1789 (pp. 116-129, Conte Agostino Landi; pp. 195-214, Conte Giulio Landi; pp. 130-154, Conte Costanzo Landi)
[8] * 1853, A. Ronchini, Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel R. archivio dello Stato, Parma 1853, pp. 15-43, 47-50, 54-55, 57-62, 69-89, 127-128, 132-133, 529-531, 535-536
[9] * 1864, A. Ronchini, Delle relazioni di Tiziano coi Farnese, in «Atti e memorie delle RR. deputazioni di storia patria per le province modenesi e parmensi», vol. 2, 1864, pp. 129-146
[10] * 1863, L. Pigorini, Memorie storico-numismatiche di Borgotaro, Bardi e Compiano, Parma 1863 (anastatica, Milano 1975)
[11] @ 1914, L. Cerri, Il castello di Bardi, Piacenza 1914 [è l’inventore della tesi di una staffetta mecenatistica nella ricostruzione del castello di Bardi, rimasta congelata per oltre cent’anni fra il conte Manfredo il Postumo e il principe Federico Landi con sua figlia Maria Polissena; il Cerri basò l’erronea tesi su un argomento presuntivo (Manfredo il Postumo è il committente della ricostruzione di palazzo Landi a Piacenza, ergo lo è pure di quella del castello di Bardi), un argomento falso non appoggiato a documenti (Manfredo il Postumo e poi il principe Federico con la propria figliola sono gli unici Landi che abitarono stabilmente a Bardi, mentre tutti gli altri disertarono la residenza), una fonte encomiastica dell’epoca del principe Federico, cioè il libretto di Piccinelli del 1617 (nella quale in verità si fa solo il nome del principe vivente e si dà risalto ai suoi meriti mecenatistici, senza per questo negare esplicitamente l’apporto dei suoi predecessori)]
[12] 1923, E. De Giovanni, Il territorio di Bardi e di Boccolo de’ Tassi annesso alla provincia di Parma, in «Bollettino Storico Piacentino», 18, 1923, p. 188
[13] * 1927, G. Micheli, Le valli del Taro e del Ceno nella descrizione del Piccinelli: 1617, Parma 1927, pp. 21-27
[14] 1954, G. Drei, I Farnese. Grandezza e decadenza di una dinastia italiana, Parma 1954; ed. riveduta a cura di M. Galli, Parma 2009, ad indicem
[15] @ 1955, A. Ghidiglia Quintavalle, I castelli del Parmense, Parma 1955, pp. 94-97
[è la prima che rilevi la data 1544 nel fregio monocromo di una delle stanze nobili, pur senza trarne alcuna conseguenza]
[16] @ 1961, A. Ghidiglia Quintavalle, Vestigia d’arte nel castello di Bardi, in Per la Rocca di Bardi: seduta in onore di S.E. Monsignor Antonio Samoré, Bardi 17 settembre 1961, «Archivio Storico per le province parmensi», s. IV, vol. XIII, 1961, pp. 51-56
[17] @ 1961, E. Nasalli Rocca, La Rocca di Bardi, in Per la Rocca di Bardi: seduta in onore di S.E. Monsignor Antonio Samoré, Bardi 17 settembre 1961, «Archivio Storico per le province parmensi», s. IV, vol. XIII, 1961, pp. 25-49
[18] @ 1967, S. Maggi, C. Artocchini, I castelli del Piacentino nella storia e nella leggenda, Piacenza 1967, pp. 741-748
[19] 1968, G. Fiori, Le sconosciute opere piacentine di Guiniforte Solari e di Gian Pietro da Rho: i portali di S. Francesco e del palazzo Landi, in «Archivio Storico Lombardo», serie IX, v. 5-6, 1966-1967 [ma 1968], pp. 1-15
[20] @ 1972, C. Perogalli, Castelli e rocche dell’Emilia Romagna, Milano 1972, pp. 129-132 [pur attenendosi all’indimostrata bipartizione di committenza conte Mafredo/principe Federico, è l’unica scheda scritta da uno storico dell’architettura professionista]
[21] 1974, Fumagalli = V. Fumagalli, Il castello di Bardi: nascita di un borgo militare, Bardi 1974 (2ª edizione: Bardi 1982)
[22] * 1975, P. Pellizzari, La Biblioteca del principe Federico Landi secondo un inventario del 1596, in Momenti nella storia della Val Ceno, Bardi 1975, pp. 45-56
[23] @ 1979, G. Capacchi, Castelli parmigiani, Parma 1979; 4ª ristampa Parma 1989, pp. 109-115 [introduce l’errore sulla provenienza della pala del Parmigianino dalla quadreria dei principi Landi (p. 112)]
[24] 1979, G. Fiori, Landi, in Di Groppello Gustavo, Fiori Giorgio, Manfredi Carlo Emanuele et alii, Le antiche famiglie di Piacenza e i loro stemmi, Piacenza 1979, pp. 250-260
[oblitera però uno dei tre conti di nome Manfredo, appartenenti a tre generazioni distinte fra ’300 e ’400, distribuendo le notizie che lo riguardano fra gli altri due]
[25] * 1982, R. Vignodelli Rubrichi, Appunti per una storia della rocca di Bardi, in: Saggi e testimonianze in onore di Francesco Borri, Parma 1982, pp. 263-271 [nelle date non è stato considerato lo stile dell’Incarnazione, cosicché tutti i documenti datati fra il 1 gennaio e il 24 marzo vanno spostati all’anno successivo rispetto a quello indicato da Vignodelli]
[26] * 1984, R. Vignodelli Rubrichi, Fondo della famiglia Landi. Archivio Doria Landi Pamphilj: regesti delle pergamene, 865-1625, Parma 1984 [vi sono alcuni gravi errori; ad esempio, fra i documenti dell’epoca di Agostino Landi sono senz’altro erronee le date di quelli schedati al n°. 3113 (1526.09.11) e n°. 3114 (1526.11.09, privilegio di Carlo V ad Agostino e Giulia Landi da Genova), da correggere rispettivamente in 1529.09.11 e 1536.11.09; più in generale pesa la mancata considerazione dei diversi stili di datazione nei documenti, piacentini, milanesi, romani, cosicché la serie cronologica in cui si trovano disposti i moderni regesti di Vignodelli Rubrichi è in gran parte sfalsata: ad esempio, tutti gli atti piacentini compresi fra il 1° gennaio e il 24 marzo vanno posticipati di un anno, computando lo stile dell’Incarnazione, mentre tutti gli atti milanesi compresi fra il 25 e il 31 dicembre vanno anticipati di un anno, computando lo stile della Natività]
[27] @ 1986, G. Cirillo, G. Godi, Guida artistica del parmense, 2 voll., Parma 1984-1986, vol. 2, 1986, pp. 90-92 [sul castello di Bardi: con due foto, e bibliografia a p. 104; pur attenendosi all’indimostrata bifase costruttiva (seconda metà del ’400/ fine ’500-inizi ’600) e accogliendo l’erronea attribuzione al principe Federico delle parti più moderne e monumentali del quartiere nobile, la scheda è ricca di spunti originali validi ed è una delle poche che mostri d’essere uscita dalla penna di storici dell’arte professionisti, non poligrafi dilettanti; spetta a loro il riconoscimento della matrice culturale dei fregi monocromi affrescati nelle stanze nobili, debitori agli affreschi del Pordenone e del Soiaro in S. Maria di Campagna a Piacenza, non è tuttavia convincente la congettura che l’autore possa essere Girolamo Baroni, pittore fino ad oggi documentato solo nel 1560 in S. Maria di Campagna per l’esecuzione di un ciclo d’affreschi di cui nulla si conosce: sulla base di ulteriori documenti Girolamo Baroni va infatti identificato in Girolamo Mirola, pittore di corte di Ottavio Farnese, di ben altra estrazione culturale]
[28] 1986, P.N. Pagliara, Vitruvio da testo a canone, in S. Settis (a cura), La memoria dell’antico nell’arte italiana, III, Dalla tradizione all’archeologia, Torino 1986, pp. 3-85 (in particolare pp. 67-74 su C. Tolomei e gli studi vitruviani dell’Accademia della Virtù a Roma; p. 68ss e nt. 8 sulle lettere ad Agostino Landi inerenti il programma)
[29] 1988, S. Pronti, Nuove acquisizioni documentarie e critiche sul tondo Botticelli del Museo civico di Piacenza, in «Bollettino storico piacentino», LXXXIII, 1988, pp. 1-20
[30] 1991, N. Soldini, Strategie del dominio: la cittadella nuova di Piacenza (1545-1556), in «Bollettino storico piacentino», a. LXXXVI, fasc. 1, gennaio-giugno 1991, pp. 11-69
[31] 1994, V. Fumagalli, Il castello di Bardi attraverso la storia dell’appennino emiliano occidentale, Torino, Allemandi, 1994
[32] 1997, B. Adorni, L’architettura del primo Rinascimento, in Storia di Piacenza, III, Dalla signoria viscontea al principato farnesiano (1313-1545), Piacenza 1997, pp. 591-654, pp. 594-599, 639-640 (su palazzo Landi a Piacenza), p. 599 (sul castello di Rivalta), pp. 608-614 (su Cortemaggiore)
[33] 1997, M. Baucia, Letteratura volgare del ’500, in Storia di Piacenza, III, 1997, cit., pp. 403-439 [p. 435, nt. 14, sugli interessi vitruviani e architettonici di Agostino Landi]
[34] 1997, L. Bellesia, Le monete di Federico Landi principe di Val di Taro, Lugano 1997
[35] * 1997, A. Cardinali, Scontro per il potere. Bardi, Compiano e Bedonia dal Medioevo all’età moderna. Udienza I: allegati e capi d’accusa in rappresentanza dei Landi, in I Farnese al castello di Bardi, Bardi 1997, pp. 9-20
[36] 1997, M. Dall’acqua, Spiriti pellegrini. Appunti e spunti per la storia del collezionismo nella Piacenza farnesiana e borbonica, in Il palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti, a cura di S. Pronti, Milano 1997, pp. 47-54
[37] 1998, B. Adorni, Alessio Tramello, Milano 1998, pp. 137-140 (sul secondo cortile di palazzo Landi a Piacenza), pp. 140-146 (sul palazzo di Cortemaggiore, dove non è del tutto persuasiva l’attribuzione stilistica al Tramello dell’intero loggiato nel cortile del palazzo)
[38] * 1998, Segmenti: segni e testimonianze del marchesato di Bardi, 1257-1682, catalogo della mostra storico-documentaria, Parma-Bardi 1998
[39] * 1999, P. Rizzi Bianchi, Eccellentissimo Principe: documenti storici dello Stato Landi del periodo classico (1578-1630) nell’Archivio Cantu di Compiano : saggio storico, saggio archvistico e lettura critica di cento pezzi documentari, Compiano 1999 [alle pp. 9-22, Profilo storico dello Stato Landi, è il saggio prosopografico migliore sul casato di Bardi nel XVI-XVII secolo]
[40] * 1999, S. Rossi (a cura), La chiesa e il monastero di San Francesco a Bardi, Bardi 1999 [pubblica diversi documenti inediti soprattutto dell’epoca dei principi Claudio e Federico Landi, oltre alla schedatura delle fonti iconografiche superstititi sul castello e il borgo (pp. 217-223)]
[41] 2000, M. Lucco, A New Portrait by Raphael and Its Historical Context, in «Artibus et Historiae», vol. 21, n.° 41, 2000, pp. 49-73
[42] 2002, M. Vaccaro, Parmigianino. I dipinti, Parma-Torino 2002, pp. 125-128, scheda 2
[43] 2004 (b), E. Angiolini, Landi Manfredo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Roma 2004, pp. 395-397
[44] 2004 (a), Bevilacqua C., Landi Agostino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Roma 2004, pp. 368-369 [da correggere alcune date: nascita 1510 (fonte inedita), non 1500 circa; Carlo V a Piacenza, ospite nel palazzo di Agostino nel settembre-ottobre 1529, non settembre 1520; morte di suo padre conte Marcantonio e accesso di Agostino al potere nel luglio 1529, non fra il 1524 e il 1526; morte 18 marzo 1555, non 13 marzo]
[45] 2004 (b), C. Bevilacqua, Landi Claudio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Roma 2004, pp. 369-373
[46] 2004, P. Cosentino, Landi Giulio, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 63, Roma 2004, pp. 385-389
[47] 2004, G. Fiori, Nuovi documenti su Rivalta, il suo castello e la sua chiesa, in «Strenna Piacentina», 2004, pp. 4-10
[48] 2006, D. Gasparotto, A. Gigli (a cura), Il tondo di Botticelli a Piacenza, Milano 2006
[49] 2008, R. De Rosa, Lo Stato Landi (1257-1682), Piacenza 2008 [mancano indice analitico, appendice documentaria ed elenco bibliografico; troppo elevato il numero di errori oggettivi nell’indicazione di nomi, luoghi, date e fatti (non sono risparmiati il titolo del volume, la quarta di copertina e l’introduzione); ancor più numerose le indicazioni archivistiche non riscontrabili nella realtà; sulla scorta di documenti inesistenti (ad esempio il preteso privilegio di Carlo V del 1526 da Genova) sono imbastitite intere pagine di congetture; l’albero genealogico allegato al volume entra in più punti in contraddizone coi dati riportati nel testo]
[50] * 2008, P.Schenoni Visconti, Descrizioni delle fortezze di Bardi e Compiano, in «Archivio storico per le province parmensi» , s.IV, vol. LIX, 2007 (ma 2008), pp.235-253
[51] @ 2009, A. Mordacci, La fortezza di Bardi, Parma 2009 [alle tesi erronee derivanti dal Cerri 1914 e dal Capacchi 1979, aggiunge un nuovo errore, scambiando la grotta presso il maschio per l’oratorio dei principi (entrambi correttamente indicati nelle rispettive posizioni da Cirillo, Godi 1986, sulla base di esplicite fonti documentarie)]
[52] @ 2009, S. Rossi, Bardi, il castello e il borgo, in Castelli e borghi: alla ricerca dei luoghi del Medioevo a Parma e nel suo territorio, a cura di M. Calidoni, Parma, MUP, 2009, pp. 69-74 [pur attenendosi all’indimostrata bipartizione di committenza conte Manfredo/principe Federico, introduce l’ipotesi di una fase intermedia dovuta al principe Claudio, non specificandola nei suoi concreti termini edilizi e non indicando gli appoggi documentari, che dovrebbero essere alcuni pagamenti per lavori infrastrutturali resi noti da Cardinali 1997]
[53] 2010, M. Marubbi, Proposte per il catalogo di Girolamo della Valle Leoni, in «Parma per l’arte», n.s., a. XVI, fasc. 1-2, 2010, pp. 141-153