I linguaggi del dipingere. Percorsi nella pittura di Corrado Bonicatti

di Giulio de MARTINO

Inaugurata l’8 marzo – ed eroicamente riaperta dopo il Lockdown fino al 20 giugno – c’è da vedere a EDIEUROPA la bella mostra sul pittore romano Corrado Bonicatti (1940-2017).

L’hanno voluta il figlio e la compagna, per tenere ancora in pubblica visibilità le opere del periodo 2006-2016, con le cure di Maria Teresa Benedetti e di Raffaella Bozzini.

Corrado Bonicatti

La vocazione pittorica di Bonicatti si è intrecciata alla sua vivacità e irrequietezza interiore. I suoi quaderni di note e di appunti ci spalancano le vie di uno «Stream of Consciousness» dominato dalle arti di flusso. L’arte vive nella ripetizione dell’esecuzione: se la musica ha la forza della sparizione e della consumazione nell’ascolto, la pittura lascia un sedimento che è l’opera. Bonicatti vorrebbe che anche i dipinti svanissero, ma trovassero nuova vita, come le partiture, ogni volta che uno sguardo se ne riappropria. Oltre la pittura e la musica, anche la visione dell’archeologia e del paesaggio, come pure le suggestioni «iniziatiche  e analitiche, creano la materia per l’arte della pittura.

La cultura pittorica di Bonicatti si è sviluppata per partecipazione alla storia dell’arte: De Chirico, De Pisis, Greco, Guccione, Morandi, Rosai, Schifano, Turcato. La pittura è appropriazione e riscoperta del dipingere altrui: una estroversione condivisa. Come pure la pittura è il pellegrinaggio continuo dell’artista tra le polarità divergenti dell’astrazione e della figurazione, della narrazione e del cromatismo. Turner e Redon hanno trasformato la tela in uno specchio oscuro dentro il quale si vede ciò che accade nell’altra stanza: non quella dove pensiamo di essere, ma quella da cui veniamo visti.

Ne “La stanza della Signora S.” (si vedano le 3 versioni sul magnifico sito:  http://www.corradobonicatti.com/) la tela è diventata uno specchio anomalo: in esso l’immagine si deposita. La tela è lo specchio in cui l’immagine resta, anche quando chi vi si guarda è assente. È il caso freudiano e rankiano del pittore che insegue il suo doppio.

C. Bonicatti, La stanza di Circe (2010), olio su tela cm. 50 x 1,50
C. Bonicatti, La stanza della Signora S. (2000)

La rarefazione della figurazione, l’abbandono della pittura come supporto narrativo e descrittivo, viene lentamente sviluppata da Bonicatti. Prima riproduceva il paesaggio al modo della scuola romana, poi lo ridusse ai volumi e, infine, togliendo ogni contesto agli oggetti, lo trasformò in icone, in segni di forma e di colore.

C. Bonicatti, Ponte 4 Capi (1998) olio su tela cm. 90 x40
C. Bonicatti, Fig. 3.2 Garbatella (2001) olio su tela cm. 120 x 100
C. Bonicatti, Fig. 3.3 San Petronio (2003) olio su tela cm. 120 x 120

Non è però l’unico percorso. Se dalla figurazione Bonicatti – per il tramite della decostruzione della pittura – giunse all’astrazione, al tempo stesso lavorava sui colori e sulle luci mettendoli sulle tele come un mondo di elementi primitivi, dai quali, attraverso la grazia del montaggio si poteva tornare alla costruzione giocosa e libera delle immagini.

C. Bonicatti, Le nuove rotte del Mediterraneo (1991) olio su tela su tavola cm. 48 x 35

Se i paesaggi diventavano spazi e le persone diventavano specchi, così le cose diventavano porte. Lo si vede bene nelle rovine antiche: muri aperti, nicchie vuote, frammenti di lapidi, strade e palazzi. Come è illustrato nel catalogo: Bonicatti, Visioni, edito da De Luca nel 2020, la pittura è la chiave dell’anima. Ma per aprire una porta stretta, quella dalla quale si entra nella vita e dalla quale, nuovamente, se ne esce, l’anima va persa.

C. Bonicatti, Studio per il profondo grigio (2013) olio si tavola cm. 35 x 30

Giulio de MARTINO   Roma 14 giugno 2020

CORRADO BONICATTI

V I S I O N I

OPERE DAL 2006 AL 2016 Mostra a cura di

Maria Teresa Benedetti e Raffaella Bozzini

galleria edieuropa QUI arte contemporanea. Piazza Cenci 56, 00186 ROMA