di Nica FIORI – Foto di Francesca LICORDARI
L’importante mostra a Villa Caffarelli (Musei Capitolini) restituisce la visibilità a capolavori della statuaria classica.
Il volto marmoreo di una giovane donna dalla serena bellezza, nota come la Fanciulla Torlonia, e quello severo del cosiddetto Vecchio da Otricoli sono i due iconici capolavori di arte romana, scelti come immagini guida della mostra “The Torlonia Marbles. Collecting Masterpieces / I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori”, per la quale ci si augura un successo stellare, a dispetto della pandemia in corso. L’attesissima mostra dei Marmi Torlonia, preannunciata già nel marzo 2016 a seguito di un accordo tra la Fondazione Torlonia e il Mibact, ha visto finalmente la luce e ha inaugurato il nuovo spazio espositivo di Villa Caffarelli nei Musei Capitolini. Si tratta di uno dei progetti di mostra più prestigiosi degli ultimi anni per partecipazioni istituzionali (Soprintendenza Statale e Sovrintendenza Capitolina), valore scientifico ed eccezionalità dell’evento, che ha come curatori Salvatore Settis e Carlo Gasparri, entrambi archeologi e accademici dei Lincei. La mostra, che sarà poi ospitata in importanti musei internazionali (alcuni ne hanno già fatto richiesta), come ha dichiarato il presidente della Fondazione Torlonia Alessandro Poma Murialdo, è il primo passo per rendere fruibile al pubblico il Museo Torlonia. Il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini ha ribadito l’intenzione di trovare una sede statale a Roma per dare quanto prima un’adeguata sistemazione all’intera collezione, che rimarrà di proprietà privata. La sede potrebbe essere Palazzo Rivaldi, una villa rinascimentale nei pressi del Colosseo, per il cui restauro è già deliberato un finanziamento di 40 milioni di euro. Niente si sa di certo, comunque, né sulla sede né sulla data che metterebbe finalmente fine alla storia del lunghissimo abbandono della straordinaria collezione Torlonia di statuaria classica.
Fino al 29 giugno 2021 sono esposti una novantina di capolavori (statue, busti, sarcofagi, rilievi e altre sorprendenti creazioni d’arte) di quella che è stata definita come “la collezione delle collezioni”, visto che in essa sono confluite collezioni più antiche, come la Savelli, la Cesi, la Cesarini, la Giustiniani, i marmi dello studio di Bartolomeo Cavaceppi e una parte di quelli di Villa Albani, la cui prestigiosa raccolta di antichità era stata sistemata da Winckelmann, universalmente noto come il fondatore dell’archeologia moderna, oltre ai materiali di scavo rinvenuti negli estesi possedimenti dei Torlonia, in particolare a Portus (l’antico porto di Roma, subentrato a quello di Ostia) e nelle ville romane dei Quintili, di Erode Attico e dei Sette Bassi.
Quando nel 1859 il principe Alessandro Torlonia allestì il suo museo nel Palazzo Torlonia alla Lungara, la collezione comprendeva 620 pezzi, esposti in 77 sale. Purtroppo nei primi anni del Novecento il museo non è stato più aperto al pubblico, divenendo di fatto una “collezione fantasma”, circondata da un’aura di mistero e conosciuta solo attraverso il catalogo a stampa in più edizioni, firmato a partire dal 1876 da Pietro Ercole Visconti, e in una versione aggiornata da Carlo Ludovico Visconti, comprendente le fototipie di tutti i pezzi (cosa rarissima per l’epoca), pubblicata nel 1883 in francese e nel 1884 in italiano: catalogo che è stato collocato, alla fine del percorso espositivo, su un tavolo di porfido, il più prezioso dei marmi imperiali per il suo colore che richiama la porpora.
La mostra dà conto della storia del collezionismo, ripercorrendo le diverse fasi della costituzione della raccolta dei marmi Torlonia. Nella prima sala, caratterizzata dal colore rosso, si vuole rendere l’idea dell’allestimento nel palazzo alla Lungara. Sono esposte su tre livelli tre file di busti di imperatori romani e delle loro famiglie, in ordine cronologico.
Sono collocati a parte tre ritratti diventati iconici per la loro particolarità, ovvero il crudo realismo delle rughe nel cosiddetto Vecchio da Otricoli (50 a.C.), la raffinatezza dei lineamenti nella Fanciulla Torlonia (proveniente da Vulci, databile al 50-40 a.C.) e lo strano copricapo di un ritratto molto realistico ascrivibile alla fine del III e inizi del II secolo a.C., detto Eutidemo di Battriana (un sovrano orientale). Ai busti si aggiunge una rarissima statua di bronzo proveniente da Fara Sabina, detta di Germanico (I secolo d.C.), raffigurato in nudità eroica.
Nella II sezione, dedicata ai marmi recuperati negli scavi ottocenteschi fatti eseguire da Giovanni Raimondo Torlonia e dal figlio Alessandro, tra le opere di maggior spicco figura il gruppo di Eirene e Ploutos (Pace e Ricchezza), proveniente dalla Villa dei Quintili (replica romana di un’opera di Kephisodotos), a ricordarci che non c’è ricchezza senza la pace. Le statue di atleti, quella di una giovane Ninfa raffigurata nell’atto di slacciare un sandalo e i due sarcofagi esposti (uno con le fatiche di Ercole, l’altro con intellettuali e muse) sono di altissima fattura, ma ancora di più ci colpisce il rilievo del Portus Augusti (ca. 200 d.C.), da Porto, il cui restauro ha evidenziato tracce dei colori originari. Il rilievo raffigura l’attracco di una nave oneraria nel porto di Traiano, con alle spalle il faro a più piani e un arco, visto lateralmente, sormontato da una quadriga di elefanti.
Questo marmo è stato interpretato come un ex voto dedicato al dio del vino Liber (Bacco), che appare sulla destra, mentre in posizione più centrale vi è Nettuno con il suo tridente. Singolare appare la presenza di un grande occhio apotropaico, come pure la duplice raffigurazione della lupa capitolina sulla vela della nave.
La III sezione è dedicata alla Villa Albani e ai marmi dello Studio Cavaceppi (secolo XVIII) e si estende nelle sale 3, 4 e 5. Strepitosa è la Tazza con Fatiche di Ercole (50-25 a.C.), proveniente dalla via Appia e già collocata a Villa Albani nell’Appartamento dei Bagni.
Nella stessa villa, entro una grotta artificiale, doveva essere collocato anche il Montone con Ulisse che esce dall’antro di Polifemo (una scultura ampiamente restaurata), cui doveva affiancarsi una statua di Polifemo.
Di grande effetto è anche la statua giacente del Nilo, montato con una vasca da fontana in granito e con piedi in porfido, già Barberini e poi Albani,
mentre tra i marmi dello Studio Cavaceppi troviamo una Cariatide, il cosiddetto Tolomeo, montato su un altare cilindrico, dei crateri montati su basi antiche non pertinenti e un sarcofago con Trionfo indiano di Dioniso (il riferimento all’India è dato da due prigionieri indiani, legati al di sotto di un clipeo con testa di Gorgone, e da due pantere), con un coperchio non pertinente raffigurante una donna giacente.
La sezione IV (sale 6, 7, 8 e 9) è dedicata alla secentesca collezione di Vincenzo Giustiniani, raffinato conoscitore d’arte, noto tra l’altro per aver protetto Caravaggio. Nel primo ambiente, che è di passaggio a una grande sala, ci colpisce la presenza di due marmi, esposti insieme perché restaurati uno come Apollo con la pelle di Marsia (le parti antiche sono del I secolo d.C.) e l’altro come Marsia scuoiato. Nella sala troviamo molti celebri marmi che spiccano per qualità e importanza, tra cui una divinità con peplo detta Hestia (Vesta) Giustiniani, replica romana di un originale greco in bronzo del V secolo a.C. raffigurante Hera o Demetra, e due statue di Iside rilavorate come Cerere, realizzate in marmo bigio morato, con testa e arti in marmo bianco, entrambe degli inizi del III secolo d.C.
Oltre a capolavori raffiguranti satiri, ninfe e personaggi mitologici (come le due teste di Medusa e Meleagro a figura intera), anche in questo caso troviamo una sequenza di busti di imperatori e uomini illustri, ma alcuni sono di epoca moderna, come il Ritratto di Scipione (XVII secolo). Ci colpiscono in particolare un Guerriero inginocchiato, dal caratteristico berretto detto pileus (in realtà la testa è non pertinente, perché di epoca diversa rispetto al torso), che è stato estesamente restaurato secondo uno schema raffigurato in un disegno di Raffaello, una delle due Afroditi accovacciate, la cui testa fu integralmente rifatta da Pietro Bernini e il Caprone, la cui magnifica testa è stata attribuita nel corso del recente restauro a Gian Lorenzo Bernini.
Grazie a opere come queste ci rendiamo conto che il Museo Torlonia è di estremo interesse non solo per gli straordinari reperti antichi, ma anche per capire l’evoluzione del gusto antiquario nell’arco di più secoli, e più esattamente tra Rinascimento e Neoclassicismo, quando si è più volte proceduto a restauri integrativi, eseguiti da grandi artisti. Non possiamo non ricordare tra i restauratori, oltre ai due Bernini, l’Algardi, Duquesnay e Bartolomeo Cavaceppi che intervenne nella collezione Albani. Moltissimi sono i ritratti antichi con busti moderni o l’abbinamento di figure antiche con teste pure antiche, ma non pertinenti.
La sezione della Collezione Giustiniani termina con la statuetta di Artemide Efesia del II secolo d.C. (marmo bianco, con testa e mani moderne in marmo nero) e con il grandissimo Rilievo con scena di bottega, sempre del II secolo d.C.,
che ci colpisce per la raffinatezza della figura della pollivendola (di restauro), che ci si aspetterebbe più popolana, mentre non è così dissimile dalla ricca cliente, mentre sulla destra, in un ambiente diviso da una colonna, sono appesi un cinghiale sventrato e altri animali macellati.
L’ultima sezione (la V) riguarda le raccolte dei secoli XV e XVI e si estende tra le sale 10, 11, 12 e 13. Tra i pezzi più significativi vi è un cratere con Simposio bacchico, detto Tazza Cesi o Vaso Torlonia, le cui figure sembrano immerse in un’atmosfera carica di sensualità, come nella scena della scoperta di un ermafrodito addormentato.
Il cratere è documentato da disegni di artisti in una chiesa di Trastevere (forse Santa Cecilia o San Francesco a Ripa), nonostante il tema fortemente erotico, poi nel Cinquecento nel giardino di Federico Cesi, dove era sistemato come vasca di fontana con Sileno versante da un otre e poi ancora nella settecentesca Villa Albani. Quel Sileno è stato sostituito in mostra da una statua assai simile, già appartenente alla collezione Giustiniani.
Due spettacolari sarcofagi ci colpiscono per dimensioni e qualità: uno con le Fatiche di Ercole (tema ricorrente più volte in mostra), sovrastato da un coperchio con una coppia distesa di coniugi (ca. 170 d.C.), l’altro strigilato con leoni. Si trovavano entrambi in palazzo Savelli, poi Orsini, ovvero in quel palazzo sorto sui resti del Teatro di Marcello, tra il Tevere e il Foro Olitorio.
Dalla collezione Cesarini proviene una statua di fiume restaurato come Nilo (con corpo in basanite e testa in marmo nero, oltre a integrazioni in bardiglio),
un busto di Atena e la Venere Cesarini (Venere pudica con delfino). Una grande statua di Atena, del tipo Giustiniani, già da Carpi, ci colpisce per la presenza di un albero, con la civetta di Atena su un ramo. Degni di attenzione sono pure la Baccante Carpi e la Statua di filosofo seduto, detto Crisippo, già nella Collezione Cesarini.
Il percorso della mostra, che affronta la storia del collezionismo andando a ritroso nel tempo, si lega nel Campidoglio alla presenza dei bronzi lateranensi che Sisto IV donò al Comune di Roma nel 1471. La riapertura di una porta restituisce l’accesso all’adiacente Esedra del Marco Aurelio, dove sono esposti i celebri bronzi dello Spinario e della Lupa capitolina.
Il progetto del museo fondato da Alessandro Torlonia, seppure erede delle grandi collezioni principesche dei secoli precedenti, si può riagganciare proprio al concetto di museo pubblico, sull’esempio romano dei Musei Capitolini. Mentre le prime collezioni di antichità erano ospitate nei giardini o nelle sale delle ville nobiliari, il principe Torlonia, di recentissima nobiltà ma colto e ricchissimo, volle esporre le sculture organizzate per soggetti e per stile (per esempio sala degli animali, sala dei sarcofagi, sala dei ritratti imperiali e così via), quindi
“secondo un criterio didattico e scientifico, in una sede esclusivamente destinata a tal fine, in cui fossero i marmi, nel loro valore storico e non più solo estetico, a predominare sul contenitore”, come scrive Stefania Tuccinardi nella guida della mostra.
Anche la scelta di fare un catalogo delle opere fu decisamente innovativa. E su quel catalogo si sono formati innumerevoli studenti, nell’impossibilità di poter accedere alla visione diretta delle sculture, capolavori di un’arte che ha forgiato per secoli il nostro gusto estetico.
L’organizzazione e il catalogo della mostra sono di Electa, mentre Bulgari è sponsor principale del restauro delle opere esposte. L’allestimento è dello studio David Chepperfield Architects e richiama con i suoi mattoni di argilla grigia lavorati a mano le antiche murature romane su cui poggia la villa, mentre i colori uniformi delle pareti, diversi per ogni sezione, esaltano le forme dei marmi, proprio come doveva essere nel museo originale, anche se lì si era scelto il colore nero.
Nica FIORI Roma 18 ottobre 2020
I Marmi Torlonia. Collezionare Capolavori
14 ottobre 2020 – 29 giugno 2021
Roma, Musei Capitolini – Villa Caffarelli, Via di Villa Caffarelli
Orari: tutti i giorni 9.30-19.30 (ultimo ingresso 18.10) 24 e 31 dicembre 9.30-14.00 la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso contingentato solo su preacquisto; è obbligatorio indossare la mascherina e mantenere la distanza interpersonale di almeno 1 metro. Biglietti (esclusa prevendita 1€) solo mostra : 13 € intero , 11 € ridotto
– 4 € speciale scuola ad alunno (ingresso gratuito a un docente accompagnatore ogni 10 alunni) – 22 € speciale famiglie (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)