I nuovi percorsi dell’0ttocento bolognese: 18 sedi ospitano capolavori della pittura a Bologna dalla fine del ‘700 ai primi del’900.

di Beatrice BUSCAROLI

Per essere erede di uno dei più grandiosi secoli della pittura europea, per averla diffusa in tutto il mondo dei musei e dei collezionisti, per averne fatto uno stile, con un nome e un cognome, la Bologna dell’Ottocento, privata dei committenti –l’ intelligente nobiltà che per decenni l’ aveva alimentata – come dalla protezione della   chiesa, sembra dover ritrovare una sua strada, come avviene in tutta Italia.

Storia antica e storia contemporanea si affiancano, i paesaggi ospitano scaramucce di battaglie ma anche placide visioni solitarie e quasi preromantiche, le signore siedono con aria compunta oppure mostrano con orgoglio l’ultimo neonato.

Al Museo del Risorgimento, una delle 18 sedi che ospitano la rassegna dedicata a La pittura a Bologna nel lungo Ottocento /1796 – 1915, (Casa Carducci), a cura di Roberto Martorelli e Isabella Stancari (fino al 30 giugno 2024), il paragone è chiarissimo: un giovane Giardiniere che annaffia una pianta di Alessandro Guardassoni, dal tocco veloce e moderno, si ritrova col capolavoro giovanile dell’artista, Anna Bolena forsennata, vincitore di un premio Curlandese; ma vicino s’affaccia il primo Novecento di Augusto Majani (Nasica) che scompagina le classiche vedute bolognesi di Giacomo Savini e Ottavio Campedelli.

Alessandro Guardassoni, Anna Bolena forsennata sentendosi priva del diadema reale ca. 1843

I soggetti storici si stagliano per il formato e la solennità: da Alfonso Savini (Io mi sedeva in parte …) fino ai monumentali ritratti come La cacciata dell’imperatore Barbarossa da Alessandria, di Carlo Arienti.

Carlo Arienti, La cacciata del

Frutto di un capillare lavoro che raccoglie oltre 500 opere di cui un centinaio mai esposte prima (di provenienze diverse, musei, fondazioni, gallerie) la mostra rivela la stupefacente ricchezza di questo secolo, non amato allora, né dopo, forse per l’eccessiva dispersione, la pluralità dei linguaggi, la difficoltà di un percorso logico e rintracciabile, come era stato nei tempi antichi.

Ancora paesaggi, come alle Collezioni Comunali d’Arte, che mostrano la finezza di tocco di Luigi Bertelli, uno dei veri padri del nostro Novecento, oltre alle tele di Raffaele Faccioli e Giuseppe Brugo. Di nuovo s’affaccia l’urgenza del Novecento con Senza lavoro e senza pane – Disoccupati di Augusto Majani che convive con un Idillio fugace.

Augusto Majani (Nasica), Senza lavoro e senza pane. I disoccupati

Correnti e movimenti, dal neoclassicismo al realismo al purismo al simbolismo (di cui è protagonista Mario De Maria al quale About Art ha già dedicato un articolo) , scorrono accanto a questa splendida spianata di opere che mostra quanto varia e vasta fosse la produzione di questi artisti di cui oggi si ricordano appena i nomi ma che mantennero viva e pronta per il secolo in arrivo la pittura a Bologna.

Ricchissima la scelta che rappresenta le Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, dominata dalla grandiosa figura di Antonio Basoli, vedutista, scenografo e ornatista che lasciò non solo alcuni scorci minuti e accurati della Bologna del tempo, ma stupì i contemporanei con le Quattro vedute fantastiche tratte dalla vita di Mario. Scrive Pierangelo Bellettini in catalogo:

“I quattro quadri molto luminosi per il celeste del cielo appena marezzato da candide nubi e per le sfumature del verde-azzurrino della vegetazione e dei rilievi sullo sfondo, in una luce soffusa tipica dell’alba o del tramonto, affascinano per la presenza di antiche architetture, che alludono a realtà lontane nello spazio e nel tempo”.

“Moderno flaneur baudelairiano –aggiunge Benedetta Basevi–  Basoli riporta immagini di una Bologna sommessa e silenziosa, dove la grandiosità delle architetture convive con la minuta accuratezza delle figurette.

“Testamento di una città che di lì a poco sarebbe stata sottoposta a pesanti modifiche, i dipinti di Basoli godono fin da subito uno straordinario successo anche grazie all’impresa di traduzione a stampa che l’artista realizza con l’aiuto dei fratelli Francesco e Luigi”.

La morte di Socrate di Gaetano Gandolfi è il sipario sontuoso con cui la raccolta esposta in Palazzo Fava chiude l’epoca antica;

poi si passa alla leggiadria coltissima di Felice Giani, all ‘impetuoso gesto di Pelagio Palagi”, e si giunge ancora alla storia, con Luigi Busi, al quotidiano già venato di un sentire moderno, come nell’Autoritratto di Luigi Serra, allo scrigno che racchiude la scultura, Enrico Barberi e Giacomo De Maria, “pensieri fatti con le mani” come le definì Eugenio Riccomini.

Beatrice BUSCAROLI  Bologna 26 Maggio 2024