di Francesco GATTA
Caro Francesco,
Grazie tante della tua mail. Sono contento che anche Petrucci e d’ accordo sui paesaggi della Farnesina. Attendo con grande interesse il tuo contributo nella definitiva forma con le note. Assmo che Albl ha gia fissato un termine per la consegna del matriale dai vari contributori.
Grazie tanre ncora e molti cari saluti
Erich (16 ottobre 2023 – h. 22.13)
Questa è l’ultima email che ho ricevuto da Erich Schleier. Dopo questa data, la malattia sopraggiunta con aggressività ha negato la risposta alla mia successiva, dell’11 dicembre 2023, in cui lo informavo che, finalmente, i lavori di restauro della cappella Bongiovanni a Sant’Agostino erano terminati e che, quindi, gli affreschi di Giovanni Lanfranco erano tornati a risplendere.
Questa la foto che allegai alla mail (fig. 1). Dubito che sul letto d’ospedale l’abbia potuta vedere, ma mi conforta il fatto che, nei suoi pensieri, in quei momenti difficili egli possa aver trovato un poco di sollievo nell’immaginare quelle glorie del paradiso a lui tanto care.
Nella sua ultima mail (i refusi sono stati volutamente lasciati, per documentare lo stile tipico delle sue ultime mail, ndr), Erich – come si può vedere- si rallegrava del fatto che anche Francesco Petrucci fosse del tutto convinto circa la mia teoria di attribuire a Gerolamo Troppa il vasto ciclo pittorico con paesaggi inanimati nella sala di Galatea alla Farnesina (figg. 2, 2a, 2b, 2c).
Finora l’attenzione della critica verso queste impressionanti pitture e il loro anonimo esecutore si è rivelata scarsa e approssimativa, anche perché esse risultano del tutto taciute nelle fonti e nelle guide di Roma. Nel 1927 Federico Hermanin, ripreso più tardi da gran parte degli studiosi, aveva avanzato con fermezza la paternità di Gaspard Dughet per il ciclo; in seguito Frommel nel 1961 propose, seppur dubitativamente, quella di Giovan Francesco Grimaldi, con una datazione intorno al 1650 circa. Più recentemente Francesca Cappelletti (2004) ha invece suggerito l’intervento di Crescenzio Onofri, unico allievo diretto di Dughet, spostando dunque coerentemente la datazione del ciclo più avanti, verso l’ultimo quarto del secolo. Sebbene nella più recente letteratura sulla Farnesina si sia tornato a fare il nome di Dughet, tale paternità risulta però rigettata da Anne Marie Boisclair, autrice nel 1986 dell’unica monografia ragionata sul pittore, e anche da Kelly Galvagni, che si sta attualmente occupando dello studio sistematico delle opere di questo artista. Nel 2023, infine, Giulia Daniele ha attribuito in maniera poco convincente l’intero ciclo a Francois Simonot, alias ‘Monsù Borgognone’(1660-1731), il paesaggista francese allievo di Domenico De Marchis, detto ‘il Tempestino’, a sua volta scolaro dell’olandese Pietro Mulier, il ‘Cavalier Tempesta’.
La mia proposta di riferirli a Girolamo Troppa era stata presentata al convegno internazionale di studi “Le arti a Roma nel secondo Seicento” (Roma, Istituto Austriaco di Studi Storici, 27-29 settembre 2023) curato da Stefan Albl e Elisa Martini (fig. 3) e, visto che Erich era impossibilitato a venire, mi ero premurato di inviargli la mia comunicazione (senza note) qualche giorno prima dell’evento.
Il mio contributo, intitolato Precisazioni e novità su tre paesaggisti del Barocco romano: Francesco Cozza, Adriaen van der Cabel e Girolamo Troppa, che andrà presto in stampa nel corposo volume che conterrà gli atti del convegno, sarà dedicato alla sua memoria.
Relativamente alla costruzione ‘dell’impalcatura’ del contributo, si è rivelato fondamentale il carteggio intercorso tra me, Schleier, e poi Francesco Petrucci, Carla Benocci e Laura Testa, in cui ci siamo confrontati, a partire dall’ agosto del 2023, su diversi punti per lo più collegati a questioni di connoisseurship e storiografia critica su Troppa.
Già avevo potuto approfittare di un medesimo metodo di lavoro nel 2018, quando collaborai alla redazione del volume: Luigi Garzi (1638-1721) pittore romano, a cura di Francesco Grisolia e Guendalina Serafinelli (fig. 4). La condivisione del materiale di studio e gli scambi epistolari coi curatori, con gli altri redattori del volume, con Schleier, Petrucci, Ursula Fischer Pace e tanti altri studiosi è stato per me fondamentale per dirimere le vicende relative alla prima maturità del pittore. Anche in quel caso, l’unione ha fatto la forza.
Schleier non è mai stato un grande fan della pittura di paesaggio seicentesca, o almeno non quanto lo sia io, che da anni concentro i miei studi soprattutto in questo ambito. Certo, il suo interessamento per la produzione di paesaggi di Pier Francesco Mola traspare nei suoi numerosi contributi dedicati al pittore, così come l’apprezzamento per i paesaggi carracceschi emerge in qualche suo affondo critico su Domenichino.
Sono certo, tuttavia, che dei paesaggi della Farnesina egli abbia tratto immensa felicità nel riconoscere la mano di Girolamo Troppa quale loro autore incontestabile, riscontrandone le cifre stilistiche a lui tanto care, che lo hanno accompagnato nei lunghissimi anni che egli ha dedicato allo studio dell’artista sabino (1990-2023).
Qualche giorno prima del convegno, infatti, gli mandai il testo del mio intervento e lui prontamente rispose:
«Caro Francesco,
[…] Son sbalordito, pieno di ammirazione per la ricchezza. Sono d’ accordo con tutto. Molto importante l’ attribuzione delle pitture nella Farnesina. Ti ringrazio delle tante citazioni del mio nome e dei miei articoli. Sono commosso e molto grato. Il tuo intervento e per me un filo prezioso con cui hai tenuto vivo il ricordo della mia esistenza scientifica, ormai in ritiro ed in pensione, data la mia eta e dello stato di salute. Con il tuo intervento il volume di Castrichini di due anni fa risulta un po invecchiato. Alla fine sarebbe desiderabile una vera e propria monogafia classica sia dei dipinti sia dei disegni. […]» (26 settembre 2023, h18.10).
Sono contento della sua contentezza. Schleier adorava la pittura e questo suo modo di esprimersi ne fa testimonianza.
È triste che Erich non leggerà il contributo definitivo che ho scritto in suo onore, nel quale (grazie alla proficua collaborazione con Carla Benocci, Francesco Petrucci e Laura Testa) sono riuscito a circostanziare i dettagli di questa importante committenza partendo dall’analisi delle vicende storiche dell’edificio con riscontri documentari probanti relativi al mecenatismo dei Farnese e dell’abate Giuseppe Melchiorri.
Il turbinio di amorini in volo, al tempo stesso, è un espediente che Troppa sperimentò in moltissime occasioni durante tutta la sua carriera. I riccioloni dei capelli dei putti, i loro volti paffuti e lo stile dei panneggi ben si addicono alla maniera tarda del maestro, quando i suoi modi si omologarono, in parte, al classicismo dominante di Carlo Maratti (si veda, ad esempio, il volto del grande erote alato che regge un elmo, col naso dall’accento ‘statuario’) (fig. 6-6a).
Senza dubbio si tratta di una decorazione condotta allo scadere del Seicento, come già appurato per i paesaggi della sala di Galatea. Ovviamente non è possibile dare un giudizio più approfondito e circostanziato senza aver visto le pitture dal vero, che tra l’altro presentano uno stato conservativo mediocre, tuttavia l’argomento è molto interessante e sarà utile e proficuo continuare l’indagine.
Mi auguro che il ricordo di Erich Schleier possa suscitare entusiasmo e curiosità nelle ricerche dei giovani studiosi e sono certo che il suo metodo d’indagine della storia dell’arte resterà un esempio indelebile e ineludibile.
Francesco GATTA Torino 27 Ottobre 2024