di Nica FIORI
La presentazione della prima fase dei restauri, compiuti dalla Soprintendenza speciale di Roma tra il 2016 e il 2021 nel Palazzo della Sapienza, è stata l’occasione per riscoprire la bellezza di un palazzo e di una chiesa barocca, la cui lanterna, appena restaurata, è uno degli elementi di maggior spicco nello skyline romano.
Parliamo di un gioiello architettonico che è considerato il capolavoro di Francesco Borromini (1599-1667), il geniale architetto ticinese che rivoluzionò lo stile del suo tempo grazie alla sua particolare concezione dello spazio.
Questo complesso architettonico, attualmente sede dell’Archivio di Stato, di uffici del Senato della Repubblica e della Rettoria di Sant’Ivo alla Sapienza, nasce come sede dell’Università di Roma, istituita nel Medioevo sotto Bonifacio VIII e contraddistinta, fin dal Quattrocento, con il nome “La Sapienza”. Termine ispirato dal motto biblico Initium Sapientiae Timor Domini, che era collocato sull’ingresso (mentre ora è nella chiesa), a ricordare che “fondamento della Sapienza è il timor di Dio”.
Già nel 1433 l’università aveva acquistato alcune case che servivano come abitazioni e scuole per i docenti in via dei Sediari (nel rione Sant’Eustachio). Solo nel 1579 con l’acquisto di altre case dello stesso isolato, inizia la costruzione dell’ala nord del Palazzo, verso via degli Staderari, e il complesso assume uno schema planimetrico preciso, due ali con due scaloni simmetrici, unite da un corridoio sul lato di facciata intorno a un cortile centrale.
Dal 1595 al 1602 Giacomo della Porta conduce i lavori realizzando il cortile rettangolare, delimitato su tre lati da portici e logge e chiuso da un’esedra nel quarto lato.
Alla sua morte subentra Giovanni Paolo Maggi, che nel lato est sistema l’ingresso su via del Teatro Valle. Francesco Borromini è chiamato a completare il palazzo nel 1632, sotto Urbano VIII Barberini, e prosegue poi i lavori sotto i pontificati di Innocenzo X Pamphilj e di Alessandro VII Chigi, tutti ricordati dai simboli dei loro stemmi utilizzati dall’artista come motivi ornamentali.
Borromini, dopo aver abbattuto un edificio esistente dietro l’esedra creata dal della Porta in fondo al cortile, inizia la costruzione di Sant’Ivo, il cui titolo è dovuto al patronato di questo santo sugli uomini di legge, visto che lo Studium urbis pontificio ospitava inizialmente solo la facoltà di Giurisprudenza. Borromini prosegue i lavori nel 1665 con la realizzazione della Biblioteca universitaria Alessandrina (che prende il nome da Alessandro VII) e delle quattro sale poligonali ai lati della chiesa.
Realizza, inoltre, il prospetto nord con la costruzione del portico che definisce il nuovo ingresso su piazza Sant’Eustachio.
Quando entriamo all’interno del complesso da corso Rinascimento, ci incantiamo davanti alla vista del prospetto della chiesa verso il cortile del palazzo, che registra un succedersi dal basso verso l’alto di curve contrapposte.
All’armoniosa facciata concava che sembra racchiudere l’osservatore in un abbraccio, segue la cupola più inconfondibile di Roma con un lanternino a contorno mistilineo, che si avvolge in una sorprendente spirale terminante in una corona circondata da lingue di fuoco, da cui prende il volo in un gioco di trasparenze un aereo piedistallo composto di archi di ferro, che offre sostegno al globo, alla colomba Pamphilia col ramoscello d’ulivo in bocca e alla croce gigliata. Nel tamburo della cupola notiamo, in corrispondenza della finestra centrale, la colomba dello Spirito santo e al di sotto l’Agnello su un libro con sette sigilli. Quest’immagine, tratta dall’Apocalisse, simboleggia Gesù Cristo che viene immolato per il bene dell’umanità e che è l’unico in grado di rompere i sigilli del libro e di ricevere la sapienza ivi contenuta. Ulteriori simboli, alcuni anche di difficile interpretazione, come il serpente che si riflette in uno specchio (la conoscenza che con la riflessione genera la sapienza), posto al di sotto di uno dei balconi del palazzo su via del Teatro Valle, rivelano una profonda conoscenza dei testi sacri e della filosofia sapienziale da parte di Borromini.
All’interno della chiesa il colore bianco dominante ci parla di spiritualità, così come il movimento ascensionale della cupola. La pianta, che ricorda l’ape barberina, scaturisce da due triangoli equilateri sovrapposti in modo da dare origine a una stella a sei punte: si tratta del sigillo di Salomone che racchiude la sintesi del pensiero ermetico dell’artista: l’unione del cielo e della terra, del mondo spirituale con il mondo materiale.
Partendo da questa base l’architetto ha disegnato un esagono con lati terminanti in nicchie alternativamente concave e convesse. Il corpo dell’edificio si innalza fino alla sommità della cupola conservando il profilo della base.
L’interno della cupola appare suddiviso in sei spicchi, che si raccordano in corrispondenza di sei serafini, sotto l’oculus della lanterna. Negli spicchi ci colpisce la raffigurazione di dodici alzate di stelle e altre stelle sono disposte in circolo sotto la lanterna. Le stelle delle alzate sono alternativamente a otto e a sei punte. L’otto (numero dell’equilibrio cosmico) e il sei (numero mediatore tra il principio e la creazione) sono numeri ricorrenti nella simbologia borrominiana, come pure il dodici, che è in stretta relazione con il tre (1+2=3) e quindi con la Trinità e con le tre fasi dell’evoluzione mistica: purificazione, illuminazione, congiunzione con Dio. Dodici, inoltre, è il numero delle tribù d’Israele; dodici sono le porte della Gerusalemme celeste e dodici sono gli Apostoli scelti da Cristo.
Anche il pavimento della chiesa risponde a una complessa simbologia: sono esagoni formati da una metà nera e una metà bianca, che potrebbero significare i contrasti che caratterizzano la vita del corpo e quella dello spirito, le tenebre e la luce, il vizio e la virtù.
L’opera di Borromini sembra, in effetti, ispirata al valore mistico dei numeri e alle tradizioni ermetiche, pur rimanendo sempre fedele “al Culto, a Dio e alla Santa Chiesa”. Meraviglia, pertanto, la sua morte da suicida. Venne sepolto nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, perché non morì subito ed ebbe modo di confessarsi. Dalla deposizione fatta da Borromini sul letto di morte, risulta che egli, allora sessantottenne, era ammalato da una decina di giorni e probabilmente insofferente alla malattia stessa, così che, nella notte tra il 1° e il 2 agosto del 1667, dopo un diverbio con il suo assistente Francesco Massari, che si era rifiutato di accendergli il lume, Borromini sentì un’impatientia e un desiderio di farsi del male. Prese allora la spada che aveva a capo del letto e la sistemò con il manico appuntato nel letto e la punta sul suo fianco, quindi si trapassò da una parte all’altra. Ai suoi strilli accorse il servo con altri da lui chiamati e gli fu estratta la spada.
Il documento notarile relativo alla deposizione di Borromini è stato esposto nella Biblioteca Alessandrina, in occasione della presentazione del restauro, insieme alla pianta originale di S. Ivo disegnata da Borromini e a un sonetto anonimo diffamatorio nei confronti dell’artista (venne trovato affisso all’obelisco di fronte alla chiesa dei Bergamaschi), che termina con questi versi:
“Si fa chiamar il Gran Borromeino, / Eccellente Architetto e Pellegrino. / Si fa uguale al Bernino, / Ma se la mano si mettesse al petto / Farebbe il Manual, non l’Architetto”.
Sappiamo che il complesso della Sapienza ebbe qualche cedimento già in fase di costruzione, tanto che Borromini consolidò la cupola di Sant’Ivo con una cerchiatura alla base e, in seguito a un’intimazione “sopra il gran peso messo sopra la cuppola”, l’architetto garantì la sua stabilità per 15 anni, obbligando sé stesso e gli eredi a un eventuale risarcimento, come risulta da un documento conservato nell’Archivio di Stato.
Nel tempo si sono verificate crepe e lesioni, soprattutto sul versante est, dove hanno sede la Biblioteca Alessandrina, la chiesa di Sant’Ivo e gli uffici dell’Archivio di Stato di Roma. In seguito alla forte scossa di terremoto del 10 ottobre 2016, la Soprintendenza Speciale di Roma, diretta da Daniela Porro, ha attivato una verifica statica e di vulnerabilità sismica dell’intero edificio, Dai dati emersi risulta che la problematicità dell’area è dovuta al fatto che il palazzo sorge su differenti terreni. Le fondazioni poggiano in parte su resti archeologici, in parte sul terreno di tipo golenale del Campo Marzio, caratterizzato dalla forte presenza di acqua.
L’inaugurazione del “Corridoio di Francesco Borromini” (quello che unisce il cortile con l’ingresso da piazza Sant’Eustachio), che era inagibile da molti anni, segna la fine della prima fase del grande cantiere (tra il 2016 e il 2021) per la messa in sicurezza e il restauro del Palazzo, che di fatto non è mai stato chiuso, poiché l’Archivio di Stato ha continuato la sua attività, anche nel periodo di lockdown per l’emergenza anticovid.
Questo intervento quinquennale ha portato a un miglioramento strutturale del complesso architettonico, con il consolidamento del sistema statico mediante 16 tiranti in acciaio collocati all’interno delle murature originali sul lato est. Inoltre sono stati realizzati il rinforzo delle volte e il risarcimento di tutte le lesioni.
Anche sul lato sud sono state consolidate le volte del secondo e del primo piano; inoltre sono stati restaurati la lanterna di Sant’Ivo e molti ambienti in tutte le ali del complesso, in particolare la grande sala della Biblioteca Alessandrina e gli uffici dell’Archivio di Stato.
Nel corridoio adiacente alla Biblioteca è stato realizzato un pavimento in marmo di Carrara a quadrati bianchi e grigi disposti in diagonale, secondo il progetto di Borromini, al posto di un precedente pavimento a marmettine di graniglia. Infine, nell’ala ovest, dove hanno sede gli uffici del Senato della Repubblica, è stato revisionato l’intero manto di copertura del tetto e sostituite le strutture lignee deteriorate.
La seconda fase degli interventi è già iniziata con lavori di adeguamento antincendio delle grandi soffitte e di altri ambienti di servizio del complesso. Ulteriori investimenti sono già stati stanziati per la pulitura delle superfici interne della chiesa di Sant’Ivo e del cortile dellaportiano. Ancora qualche anno e sarà completamente restituito al suo splendore un incomparabile gioiello architettonico, che ci parla di bellezza e di Sapienza, quella stessa Sapienza che doveva essere, come si legge nel biblico Libro della Sapienza: “un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà”.
Nica FIORI Roma 10 ottobre 2021