di Claudio LISTANTI
La settimana concertistica romana appena conclusa, sempre ricca di stimolanti proposte, è stata caratterizzata dal successo riscosso da due interessantissimi concerti dedicati al quartetto per archi, una delle forme musicali più importanti di tutta la Storia della Musica soprattutto per le difficoltà compositive che ne sono alla base, costituite dal fatto che per la composizione si richiede una particolare attenzione da parte del musicista creatore verso i quattro strumenti utilizzati appartenenti alla stessa ‘famiglia’ per cui l’espressività è legata esclusivamente all’abilità armonica e contrappuntistica del compositore che ne costituisce la base del linguaggio musicale idoneo a trasmettere all’ascoltatore i suoi sentimenti.
A Roma, in questi ultimi anni, alcune istituzioni musicali, anche titolate, hanno escluso, inspiegabilmente, dai loro programmi concertistici esecuzioni affidate ai quartetti d’archi, certo non per la validità musicale di tali composizioni ma insinuando l’ipotesi che tali proposte non incontrerebbero l’interesse del pubblico vista la conseguente scarsa vendita di biglietti ed essere considerate come un fatto ormai ‘fuori moda’.
Ma questa settimana, proprio qui a Roma, abbiamo avuto la prova di come questa valutazione sia certamente da rivedere grazie ai due concerti che abbiamo ascoltato in occasione delle proposte settimanali dell’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) e dell’Accademia Filarmonica Romana, due istituzioni che, pur avendo radici diverse, possiamo definirle fondamentali per la vita culturale della capitale e per la diffusione e l’interpretazione della Musica da Camera. Nei loro programmi il quartetto d’archi, anche se in presenza di qualche discontinuità, non è mai mancato, grazie alla devozione per questa forma musicale considerata un pilastro per la diffusione dell’arte musicale. Entrambe posseggono nel loro Dna il principio dell’attenzione alla qualità prima che alla quantità e la loro attuale proposta ha ottenuto un lusinghiero e ben evidente successo di pubblico.
Altro elemento che colpisce è che entrambe le istituzioni hanno deciso di affidare al quartetto d’archi l’apertura del loro 2022, anno che tutti vorremmo fosse quello della rinascita dopo la grande tragedia sanitaria, e che riveste particolare importanza anche per gli sviluppi futuri delle due preziose istituzioni musicali.
Riferiamo di questi due concerti seguendo il criterio temporale delle due esecuzioni ascoltate.
Martedì 18 gennaio l’Aula Magna dell’Università La Sapienza ha ospitato una delle formazioni più in vista di oggi, il Quartetto di Cremona, con il quale la IUC ha da tempo stabilito una proficua collaborazione che ha prodotto già due progetti di straordinario spessore utile ad orientare la lente di ingrandimento sui contenuti estetici e musicali della produzione per quartetto d’archi di grandi della Storia della Musica. Ne sono nate due splendide iniziative, “Esplorando Beethoven” con una serie di concerti dedicati all’integrale dei 16 quartetti più la Grande Fuga e, successivamente, “Esplorando Mozart” dedicata ai più significativi quartetti di Mozart.
Sulla base di questa, per certi versi, entusiasmante esperienza relativa alla risposta del pubblico alla proposta, l’attuale direttore artistico della IUC, Giovanni D’Alò, ha inserito una nuova tappa da aggiungere a queste particolari, e fruttuose ‘esplorazioni’, per analizzare il mondo del quartetto di Franz Schubert. È nato così il ciclo “Esplorando Schubert” che completerà l’excursus già iniziato, conducendo gli appassionati romani dalle sonorità tardo settecentesche di Mozart al pieno romanticismo di Schubert. Il ciclo prevede due concerti dedicati agli ultimi grandi capolavori per quartetto d’archi di Schubert e si concluderà nella stagione 2022-2023.
Il Quartetto di Cremona, che nel 2020 ha festeggiato i venti anni di attività, è composto da quattro bravi virtuosi ai quali sono stati affidati strumenti di pregio, che è giusto ricordare: Cristiano Gualco violino I che suona un Nicola Amati, Cremona 1640, Paolo Andreoli violino II che suona un Paolo Antonio Testore, Milano ca. 1758, Simone Gramaglia viola che suona un Gioachino Torazzi, ca. 1680 e Giovanni Scaglione violoncello che suona un Dom Nicola Amati, Bologna 1712. Questi ultimi tre strumenti sono stati messi a disposizione grazie al contributo del Kulturfonds Peter Eckes.
La serata aveva in programma il Quartetto in la minore op. 29 D 804 “Rosamunde” composto nel 1824 e l’ultimo della produzione di Schubert, il Quartetto in sol maggiore op. 161 D 887, composto nel 1826 ma eseguito postumo dopo la morte del musicista.
Sono due grandi pagine degli ultimi anni di vita di Schubert anche se l’utilizzo di questo termine è improprio vista la morte prematura alla quale il musicista austriaco andò incontro. Ma, comunque, visti con distacco, questi due quartetti, assieme anche al Quartetto per archi n. 14 in re minore, denominato La morte e la fanciulla D 810, sono in un certo senso il coronamento di un discorso musicale ed estetico, nell’insieme già completo. Caratteristica preponderante del quartetto op. 29 D 804, infatti, è quella di essere una evocazione dello spirito del lied sul quale Schubert costruisce, grazie alla vena melodica che richiama la vocalità di quel genere musicale, un’opera dallo sfondo malinconico e struggente che si materializza, specialmente, nei primi tre movimenti raggiungendo lo zenit nel delicato ‘Menuetto’ per poi trasformarsi, mirabilmente, nell’ultimo movimento, l’Allegretto moderato nel quale emerge un tema di danza di spirito ‘ungherese’ che vuole essere il tentativo di uscire dalla ‘tristezza’ di fondo dei primi tre movimenti ma che, all’ascoltatore di oggi, trasmette il velato senso di essere giunto alla fine vita.
L’altro brano della serata, Quartetto in sol maggiore op. 161 D 887, fu eseguito integralmente postumo a Schubert anche se il musicista ebbe occasione di ascoltare il primo movimento nel marzo del 1828, nell’interpretazione del Quartetto Schuppanzigh. La si può considerare un’opera musicale che travalica alcune delle peculiarità del processo compositivo per quartetto d’archi. Parliamo del ruolo del violoncello che assume, sovente, le caratteristiche di ‘guida’ di tutto l’impianto musicale che si materializza con forza nei primi due movimenti, l’Allegro molto moderato ed il successivo Andante un poco mosso. Entrambi rafforzano lo stretto dialogo tra i quattro strumenti nei due movimenti finali, Scherzo. Allegro vivace e Trio e in special modo l’Allegro assai conclusivo dal travolgente ritmo di danza il cui ascolto ci comunica il senso di un’opera ‘conclusiva’ per la poetica musicale di Schubert, quella ovviamente relativa all’eredità musicale che abbiamo ricevuto dal compositore, per un’opera che può essere considerata come uno sguardo rivolto al futuro.
Il Quartetto di Cremona ha eseguito il programma con le consuete intensità e cura dei dettagli e dei particolari che lo spartito offre, rivolgendo tutta l’esecuzione alla ricerca della necessaria amalgama tra i quattro strumenti, elemento che riesce a catalizzare l’attenzione del pubblico in maniera del tutto determinante. Il pubblico, convenuto numeroso al concerto nonostante le difficoltà di vario tipo create dagli effetti della pandemia in atto, penalizzato anche dal fatto che qui alla Sapienza le norme di contenimento del covid sono ancora più stringenti ripercuotendosi impietosamente sul numero degli spettatori ammessi presso l’Aula Magna, ha applaudito a lungo e con convinzione al termine del concerto. Il Quartetto di Cremona ha ringraziato proponendo come bis un brano lontano dal carattere monografico della serata, ma di pari intensità musicale, Tenebrae del compositore argentino Osvaldo Goliov.
Due giorni dopo, giovedì 20 gennaio, al Teatro Argentina l’Accademia Filarmonica Romana ha aperto la stagione concertistica 2022 con un concerto affidato al Quartetto Prometeo.
La proposta, oltre ad essere importante per l’omaggio alla forma ‘Quartetto per archi’ enunciato all’inizio di questo nostro articolo, assume anche una valenza particolare perché è il primo concerto della seconda parte del programma che ha preso il via proprio in questa occasione, affidata alla nuova direzione artistica della Filarmonica per la quale è stato nominato al violoncellista Enrico Dindo che sostituisce, così, il pianista Andrea Lucchesini giunto alla scadenza triennale della sua nomina, decisione che rafforza il nuovo orientamento adottato da molte istituzioni musicali affidando la direzione artistica ad uno strumentista di grande valore.
Enrico Dindo ha tutte le carte in regola per assolvere il prestigioso, quanto difficile incarico. Strumentista affermato sia a livello nazionale che internazionale, può mettere a disposizione la sua comprovata abilità di violoncellista alla quale unisce una spiccata conoscenza di tutto il settore degli archi, elementi indispensabili per programmare una stagione concertistica basata sulla musica da camera.
Il concerto del quale stiamo riferendo può essere considerato come un biglietto da visita per comprendere la peculiarità di questa nuova direzione artistica non solo per la scelta di aprire l’anno con un quartetto d’archi ma anche per il fatto che questo concerto fa parte di un ciclo dedicato all’Integrale dei Quartetti per Archi di Dmitrij Šostakovič che si articolerà in sei concerti programmati nell’ambito di più stagioni concertistiche affidando l’esecuzione al Quartetto Prometeo.
Formato da Giulio Rovighi primo violino, Aldo Campagnari secondo violino, Danusha Waskiewicz viola e Francesco Dillon violoncello, il Quartetto Prometeo, è una delle formazioni più importanti per questo genere di musica della scena musicale internazionale. Per la prima volta affronta, grazie alla Filarmonica, l’intera produzione quartettistica del celebre compositore russo.
Scelta artistica del tutto condivisibile, non solo per il valore gli interpreti scritturati ma, anche, per il contenuto musicologico e storiografico di questo gruppo di composizioni. Scritti fra il 1938 e il 1974, nei quindici Quartetti per archi di Šostakovič si riflettono lampi di composizioni coeve per diversi organici; attraversano una parte importante della storia del Novecento, per un periodo che influì con particolare efficacia nella poetica musicale che parte negli anni ’30, passa per il periodo bellico e per il dopoguerra esaurendo la sua spinta nella voglia di cambiamento che caratterizzò i primi anni ’70 dello scorso secolo.
Come citato nelle note del programma di sala, redatte da Valerij Voskobojnikov, pianista, musicologo e storico della musica ucraino, Šostakovič possedeva un certo timore referenziale verso il quartetto d’archi da lui giudicato, e non a torto, “… uno dei generi musicali più difficili”. Ma, da quanto si ascolta nei primi tre quartetti inseriti nel concerto ed eseguiti nella sequenza temporale di composizione, il n. 1 in do maggiore op.49 del 1938, il n. 2 in la maggiore op.68 del 1944 e il n. 3 in fa maggiore op.73 del 1946, Šostakovič supera con brillantezza questi timori e mette a disposizione delle tre creazioni la sua grande abilità di compositore e di strumentatore che lo hanno reso una delle personalità musicali più interessanti di tutto il novecento. Nell’ascoltare questi brani ci sembra di scorgere affinità, non tanto velate, alle sonorità del tutto avveniristiche per l’epoca, presenti nei quartetti dell’ultimo Beethoven dei quali, questi di Šostakovič, ci appaiono la continuazione ideale. A valorizzare la nostra impressione ci sono anche i giudizi di una parte della critica del secolo scorso, della quale citiamo le parole del pianista e del didatta russo Heinrich Neuhaus che, come citato nelle già nominate note di sala, a proposito dell’op. 49 disse
“…fin dai tempi di Beethoven non c’era stato più alcun compositore che avesse la capacità di meditare e di esprimere, nei quartetti, i propri pensieri più profondi come Šostakovič”.
In tutti e tre i quartetti si evidenzia una pregevole omogeneità per tutte e quattro le parti, sia dal punto di vista armonico e contrappuntistico sia per quello più squisitamente melodico. Quello che colpisce è anche la comune ispirazione alla musica popolare e alla cultura russa, spesso evidenziata da chiari riferimenti alla musica ballettistica come nell’Allegro, delizioso quarto movimento dell’op. 29 o i riflessi di carattere popolare della pulsante Ouverture. Moderato con moto primo tempo dell’op. 68 per finire con lo splendido ritmo di danza dell’Allegretto iniziale dell’op. 73 che si concluderà con lo strepitoso, e riflessivo Moderato – Adagio finale che si chiude con un pianissimo smorzato che amplifica i contorni di un non troppo celato senso di angoscia.
Al concerto ha assistito un pubblico numeroso che ha seguito con interesse tutto il concerto ulteriore dimostrazione, per chi non volesse intendere, della validità di questo genere di repertorio, mostrando grande interesse per opere come i Quartetti di Šostakovič le cui esecuzioni, almeno qui in Italia, non sono propriamente frequenti. Questo progetto di grande respiro e indiscutibile valenza culturale, con la sua ‘integralità’, stimola senza dubbio il pubblico ad ampliare le proprie conoscenze musicali.
Molto buona e convincente la prova del Quartetto Prometeo che, a parte qualche piccolo inconveniente nel primo movimento dell’op. 49, ha fornito una interpretazione che è cresciuta gradualmente con il procedere dell’esecuzione mettendo in mostra non solo le buone individualità di ogni singolo strumentista ma anche la necessaria amalgama tra tutte e quattro le parti, dimostrazione di una efficace preparazione a tutto il concerto lasciando intravedere il felice completamento di questa ‘preziosa’ integrale.
Lunghi e continui applausi hanno salutato l’esecuzione al termine del concerto. Anche qui è stato concesso un bis che ha evaso i caratteri ‘monografici’ della serata: il Vivace secondo movimento tratto dal un Quartetto op. 56 di Jean Sibelius.
Claudio LISTANTI Roma 23 Gennaio 2022