Il 25 Aprile non va dimenticato. Una nota di Sergio Rossi

di Sergio ROSSI

Esattamente un anno fa, in piena pandemia, su questa stessa rivista scrivevo parole che purtroppo devo confermare dalla prima all’ultima:

«Ormai da qualche anno, alla vigilia del 25 aprile, vengono avanzate le proposte più bizzarre per trasformare la festa della Liberazione in una melassa indistinta che ne cancelli l’originaria (e incancellabile) matrice antifascista. E invece è importante non dimenticare».

E citavo una serie di mostre da me viste e recensite negli ultimi due anni[1], che pur nella diversità degli argomenti trattati mi avevano indotto ad alcune considerazioni preliminari.

La prima è che la teoria del cosiddetto ‘realismo socialista’, diventata soffocantemente egemone nella Russia staliniana, è stata un colossale fraintendimento, per non dire tradimento, dell’essenza stessa del pensiero marxiano relativo al concetto dell’arte come ‘rispecchiamento’ della realtà sociale. Perché non basta mostrare operai muscolosi e felici o ridicole marionette di giovani kolchoziani per fare un’arte ‘progressista’ così come era folle e deprimente considerare la pittura di Malevich (questa sì realmente rivoluzionaria) come esempio di decadentismo borghese.

La seconda è che spesso, per non dire sempre, discriminazioni politiche, razziali e sessuali procedono di pari passo insieme a dittature, razzismo, sessismo e omofobia, in altre parole insieme al “fascismo” inteso come categoria politica e non solo come fenomeno storico. E citavo l’esempio di due artisti ebrei tedeschi: Eric Isemburger (1902-1994, del quale la moglie Jula è stata musa ispiratrice se non vero e proprio alter ego); e Lotte Laserstein (1898-1993), la cui operazione di recupero è stata ancora più significativa, perché si tratta di una pittrice doppiamente “degenerata”, secondo l’aberrante logica hitleriana, in quanto giudaica ed omosessuale; e si tratta soprattutto, al di là di ogni considerazione esteriore, di una splendida pittrice, la cui vita, tra difficoltà, successi, persecuzioni, sterminio dei parenti più cari, è già di per sé quasi un romanzo.

 Venendo al “fascismo storico” di casa nostra, oggi voglio occuparmi invece di vicende più vicine a noi e rendere omaggio a due artisti siciliani che la Liberazione l’hanno vissuta da protagonisti: il primo, notissimo, è Renato Guttuso, il secondo, meno noto ma non meno significativo è il suo amico Saro Mirabella.

Nel 1940, ancora in pieno regime fascista, il pittore di Bagheria dipinge quello che è un vero ‘manifesto’ politico e rivoluzionario, La fuga dall’Etna, pervaso da un foga espressiva che non lo abbandonerà per molto tempo a venire e dove una catastrofe apparentemente solo naturale acquista il valore emblematico del disfacimento di un regime.

Renato Guttuso, La fuga dall’Etna, 1940

Subito prima, come osserva Maurizio Calvesi, Guttuso aveva dipinto

«la sua Fucilazione in campagna a suggerire che la Spagna di Goya è oggi quella di Garcia Lorca. Questa identificazione profonda della cultura- non solo della pittura- con la vita è maturata nel clima di “Corrente”: ma è qualche cosa che perfeziona con un’intuizione in presa diretta quell’attitudine di Guttuso alla pittura, dunque alla parola, come ‘comunicazione’ quale emergeva dalla diffusa frontalità dei suoi primi ritratti. E’, la spina di questa presa diretta, una spina che non potrà più distaccarsi: una spina di passione; una spina non solo e non tanto nella carne, bensì nel pensiero e nella volontà; sono stimmate dolorose e autentiche della mente, che non potranno obliterarsi».[2]

E’ questo il clima che porterà presto il nostro artista ad impegnarsi in prima persona nella lotta partigiana e nel contempo a produrre la splendida serie di Gott mit uns.

Anche Saro Mirabella[3] è stato legato al gruppo di “Corrente” ed ha stretto già da giovane una intensa amicizia con Guttuso, che durerà poi per tutta la vita. Siamo ormai in piena catastrofe «ed alla guerra, già alle porte di Roma, Mirabella partecipa dalla parte dei difensori della libertà quale partigiano combattente contro il nazifascismo. Ritornato a Roma, nell’agosto del ’44 espone alla mostra dell’Arte contro la barbarie organizzata da “L’Unità”: è questo l’inizio della sua attività espositiva, anche in Sicilia, dove è premiato per il Disegno alla rassegna catanese “Lido dei Ciclopi”».[4]  Di questo suo impegno civile che va ben oltre il periodo bellico ci restano alcune splendide testimonianze “urlate” che si snodano dal 1948 al ’64 e sono innervate da un furor espressionistico che si traduce anch’esso in “stimmate dolorose e autentiche” della mente e del corpo.

Saro Mirabella, Torturato, 1964

Dicevo all’inizio che già l’anno scorso, sempre su About Art, avevo scritto, in piena pandemia, del 25 aprile e tutti noi speravamo che ad un anno di distanza la situazione sarebbe radicalmente cambiata, ed invece purtroppo non è andata così. Ora vi sono momenti nella vita di una persona come nella vita di una nazione che ci sono cose che, indipendentemente dal fatto che siano giuste o no, si possono fare e cose che non si possono fare. Quello che oggi 25 aprile 2021 non possiamo più fare è continuare con le mezze misure, le mezze aperture del sabato e le chiusure totali della domenica, il mezzo colpo al cerchio e i due colpi alla botte, che hanno avuto come unico risultato di portare la gente alla disperazione. Ed i cavalieri dell’Apocalisse e profeti di sciagure, allegri e rassicuranti come la morte bergmaniana del Settimo Sigillo, ossia una certa specie di virologi che infuriano sulle nostre televisioni predicando solo catastrofi, non si rendono conto di ottenere l’effetto assolutamente opposto a quello che si prefiggono, esasperando la gente, perdendo di credibilità e inducendo tutti noi a non credere più in niente ed in nessuno.

Quello di cui oggi abbiamo bisogno è che ci vengano ridate delle speranze e se anche gli esperti più sensibili e capaci di ragionare a 360 gradi (cito su tutti la professoressa Antonella  Viola), sempre nel rispetto assoluto delle regole, ci dicono che si può essere moderatamente e ragionevolmente “aperturisti”, anche oltre le misure finora annunciate dal governo, vuol dire che così deve essere e presto sarà,  perché non possiamo più vivere in eterno tappati in casa, aspettando l’ennesimo fallimento delle (mezze) misure di contenimento del virus e perché finalmente la tanto attesa e sempre rimandata vaccinazione di massa sembra in procinto di decollare. E’ come se venissimo tutti da un anno di guerra e dobbiamo riconquistarci un nuovo 25 aprile.

Sergio ROSSI   Roma 25 Aprile 2021

NOTE

[1] Revolutija. Da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky, e La mostra sospesa. Orozco, Rivera, Siqueiros, entrambe tenutasi a Bologna nel 2018; Eric und Jula Isenburger. Von Frankfurt und New York, Bayreuth, sempre 2018 e infine Lotte Laserstein. Face to Face, alla Berlinische Galerie nell’anno seguente, tutte da me recensite sulla rivista Theory and Criticism of Literature and Arts, nov. 2018 e dic. 2019.
[2] M. Calvesi, in Renato Guttuso dagli esordi al Gott mit uns, Palermo 1987 e S. Rossi, Schede Renato Guttuso e Saro Mirabella, in Presenze siciliane. Arte del XX secolo, Roma 1989.
[3] S. Rossi, Saro Mirabella e la Sicilia dimenticata, https://www.aboutartonline.com/
[4] F. Grasso, Saro Mirabella, Palermo, 2000, p.18.