P d L
Abbiamo dato notizia lo scorso numero della definitiva chiusura della vicenda -durata ben diciotto anni!- che ha visto protagonista un eccezionale dipinto –La Cattura di Cristo- di un autore famosissimo qual è Michelangelo Merisi da Caravaggio, e un antiquario come Mario Bigetti, se non altrettanto famoso comunque assai noto in Italia e all’estero per essere stato uno dei marcanti italiani più attivi oltre che più competenti nell’ambito della ricerca e compravendita dei dipinti antichi. Comunque la si pensi a proposito dell’autografia del quadro (ormai però praticamente acquisito quale autografo caravaggesco, insieme alla versione ora a Dublino, da gran parte della critica d’arte) quello che lascia sconcertati è il periodo di tempo spropositatamente lungo che il proprietario ha dovuto attendere per tornare in possesso del dipinto. Sconcerta, ripercorrendo l’intera vicenda, il dover rendersi conto di come determinate leggi addirittura sembra frappongano ostacoli al riconoscimento dei propri diritti a chi abbia operato in buona fede e alla luce del sole istituzioni. Non crediamo perciò di annoiare i nostri lettori se pubblichiamo l’intervista che ci hanno rilasciato gli avvocati Bertoni e Bigetti, dell’omonimo studio legale, ricostruendo con chiarezza e perizia l’iter processuale che ha alla fine dato ragione a Mario Bigetti, dal momento che un ‘caso’ del genere non può che riproporre il tema della revisione di una legislazione che penalizza tanto i mercanti d’arte italiani quanto il collezionismo privato.
–Cominciamo dall’inizio, da quando cioè questa vicenda davvero incredibile nasce; Mario Bigetti, notissimo per aver trattato nel corso di molti anni di attività la compravendita di dipinti tra cui autentici capolavori che oggi fanno bella mostra di sé in vari Musei in Italia e all’estero, acquista nel lontano 2003 un dipinto raffigurante La Cattura di Cristo che a lui pare di mano di Caravaggio, cosa poi confermata da molti studiosi, che viene notificato dalle Belle Arti come opera d’interesse nazionale, quindi non esportabile; da qui i problemi, le denunce, le cause: perché e come?
R: La vicenda trae origine dalle azioni giudiziarie, penali e civile, poste in essere da un soggetto privato, il quale sosteneva di essere proprietario del dipinto per averlo acquistato dal Bigetti. Il sequestro viene ordinato dal PM e reiterato in varie sedi successive (anche se il proprietario Mario Bigetti esce assolto da ogni accusa che gli veniva mossa, in particolare quella di appropriazione indebita), perché il CPP all’art. 263 3°comma stabilisce che il giudice penale mantenga il sequestro in attesa della risoluzione della controversia sulla proprietà. La giurisprudenza ha sempre ritenuto, nonostante non fosse espressamente previsto dal codice, che la risoluzione di una controversia dovesse arrivare con una sentenza passata in giudicato, ovvero non appellata o che arrivasse in Cassazione; in questi giorni è arrivata finalmente la pronuncia della Cassazione che mette fine al caso.
–Un ‘caso’ durato quanto ?
R: Diciotto anni ! Il primo aprile 2004, viene disposto il sequestro penale (per un’ipotetica appropriazione indebita) e, contemporaneamente, la controparte chiede anche il sequestro civile, asserendo di essere il proprietario, che gli viene rigettato; avverso a ciò propone reclamo e il collegio giudicante (tre magistrati) glielo rigetta; in poche parole Bigetti vince sia sul cautelare che sul reclamo, ma non contenta la controparte nel gennaio 2005 pervicacemente persiste e inizia il giudizio di merito in sede civile rivendicandone la proprietà.
-Insomma un continuo tentativo di prolungare la vertenza?
R: Esattamente; in tutto ciò nel 2008 la proprietà viene riconosciuta in capo a Bigetti, poi l’anno seguente inizia il processo d’appello che si prolunga fino al 2017, nonostante le nostre continue richieste di anticipazione delle udienze, anche in relazione alla condizione in cui era tenuto il dipinto, considerando che si trovava in deposito dal 2004, e fino alla restituzione non abbiamo mai conosciuto lo stato in cui versava.
–Cioè, scusa ti interrompo perché mi pare importante: se ho capito bene dal 2004 voi non avete avuto notizie del dipinto, è così?
R: Più o meno è così, si sapeva che si trovava in via Anicia presso il Nucleo Patrimonio artistico del Carabinieri. Ovviamente da parte nostra sono state fatte numerose istanze per verificarne le condizioni, senza successo. Secondo loro era in buone condizioni ma è normale che avremmo voluto verificarlo, perché magari non è nella giusta collocazione, inoltre deve sostenere un giusto grado di temperatura, e così via.
-Ma avete fatto istanza per vederlo direttamente?
R: Non precisamente, avevamo fatto istanze per “velocizzare” il processo in Appello a cagione del fatto che non conoscevamo lo stato in cui versava il dipinto e abbiamo chiesto di poter esporre il dipinto quando si presentavano occasioni per poterlo fare, ma non c’è stato mai concesso. Ed è una cosa da rimarcare, perché al di là della vertenza in atto e dell’aspetto meramente giuridico, si è impedito agli studiosi di procedere alla visione ed al confronto.
-In effetti, questo dato non è meno importante di quello giuridico, considerando il nome dell’autore del quadro che è riconosciuto come uno dei grandi della storia dell’arte di tutti i tempi.
R: Certo, tuttavia è ovvio che noi non possiamo se non entrare primariamente nell’ambito giuridico, poi spetterà agli addetti ai lavori esprimersi in merito. In ogni caso per continuare sull’aspetto legale, su come è andata avanti la storia, nel 2017 come dicevamo c’è stato l’appello, rigettato, e quindi il ricorso in Cassazione (l’iter, com’è noto, ma è bene ripeterlo, è il seguente: Tribunale, Corte di Appello, Cassazione) che ci ha messo quattro anni prima di arrivare a sentenza, cosa avvenuta lo scorso 15 settembre; per meglio dire si tratta di una ordinanza, fatta in Camera di Consiglio. A leggere le carte ci si rende conto come sia stato acclarato che il denunciante esce dall’affare nel 2003 e quindi che il bene è di proprietà di Mario Bigetti.
-Insomma, ora non ci sono più possibilità di ricorsi, di appelli e così via, giusto?
R: Assolutamente
–Adesso però una domanda sorge spontanea ed è la seguente: il vostro contraddittore ha ricorso in ogni modo, appellando tutte le sentenze, dunque mi chiedo se non avesse dalla sua una qualche ragione altrimenti perché lo avrebbe fatto?
R: Domanda legittima che merita una risposa articolata: all’inizio certamente erano intercorsi accordi, scritti in maniera, come dire?, un po’ confusa che poi forse sono stati utilizzati in modo altrettanto confuso dalla nostra controparte che tentava di far dire a quelle carte cose che in realtà non dicevano, per usare una metafora. E’ d’altra parte vero che questo signore avrebbe dovuto partecipare in qualche modo all’acquisto del dipinto solo che in seguito non potendo fare fronte agli apporti economici promessi e non potendo onorare l’impegno sottoscritto se ne è uscito dall’affare. Senonché la documentazione della sua uscita, potendo apparire ambigua, ha dato agio ad una sorta di sua resipiscenza, se posso dire così, nel senso che quando si è reso conto che il dipinto avrebbe potuto essere di eccezionale rilievo artistico ma anche economico, ha cercato in tutti i modi di rientrare. Di qui tutte le iniziative legali che ti abbiamo riassunto brevemente, tutte, come detto, regolarmente abortite. Va detto che l’occasione gli si era presentata sotto forma di un articolo che apparve sul Messaggero a firma Fabio Isman. Dopo quell’articolo vennero presentate le azioni in sede sia penale che civile …
-Aspetta, questo della pubblicazione è un aspetto importante che vorrei chiarire più avanti; intanto però vorrei sapere, cosa denunciava in sede penale?
R: L’appropriazione indebita parziale.
-E cosa significa precisamente?
R: Allora, all’inizio sosteneva di avere la proprietà del quadro per il 50% poi contestava a Bigetti l’altro 50% che non voleva più riconoscergli; c’è da dire che in sede penale la sua denuncia è stata archiviata e che invece è stato lui oggetto di rinvio a giudizio per calunnia, da cui è uscito assolto per insufficienza di prove.
–Dunque la vicenda penale si è chiusa subito?
R: Beh, non proprio, dopo tre anni più o meno; archiviata l’appropriazione indebita con sentenza che riconosce al Bigetti la proprietà del dipinto, la questione è stata rimessa al giudice civile e quindi il dipinto rimane bloccato fino a sentenza del giudice civile.
–Ecco, viene proprio da chiedersi quali traversie possono essere emerse in sede civilistica al punto di protrarre la causa tanto a lungo.
R: I tempi, precisamente questo, i tempi: calcola che sono cambiati molti giudici in corte d’appello; dal 2009 al 2017 siamo stati in corte d’appello senza mai poter arrivare ad una conclusione. Vero è che la corte d’appello è stata a quel tempo molto ingolfata e tuttavia questo giustifica solo in parte questo lungo protrarsi del procedimento. Il che richiama al tema dei tempi della giustizia italiana, ma il discorso sarebbe troppo lungo, né lo possiamo approcciare in questa sede.
–E’ vero, però mi viene da chiedere direttamente a Bigetti adesso: se mai si ripresentasse Dio non voglia una questione del genere come si comporterebbe?
M.B.: Chiamerei subito un avvocato, ma a chiunque capitasse di dover acquistare un quadro consiglio di rivolgersi prima di tutto ad un avvocato; sulla base di questa esperienza che altro dire? Uno parte con tutte le buone intenzioni, rispetta tutte le normative, si muove nel modo più onesto possibile poi incoccia uno che non è così – e non dico altro- e gli tocca questa incredibile tiritera. Ricordo proprio cosa disse la controparte: ‘O mi prendo il quadro o gli faccio perdere vent’anni in cause’; ci è andato vicino.
-Non hai torto; per ritornare al discorso legale, quali ragioni, chiedo di nuovo a voi legali, avete portato avanti per sostenere ed affermare le ragioni di Bigetti in quanto proprietario del dipinto?
R: Abbiamo sostenuto la tesi dell’associazione in partecipazione, che consiste nel fatto che una parte conferisce ad un altro soggetto i mezzi economici per poter condurre una intrapresa; colui che conferisce, ossia il conferente, ha diritto, dopo la vendita, a riprendere il versato con le spese. Mi spiego meglio: in partecipazione significa che il contraente ha diritto a prendere una quota del guadagno eventuale derivante dalla vendita, ma il bene resta al proprietario, cioè a colui che ha trovato il bene, lo ha studiato e lo ha promosso.
-Viene da chiedersi se sia stata proprio la scelta giusta visto quanto tempo è durata la vertenza; perciò vi chiedo: alla luce di quanto avvenuto e del protrarsi per circa 18 anni della causa, oggi, guardando al pregresso rifareste la stessa scelta a livello giudiziario, o non si sarebbe dovuto scegliere una qualche alternativa?
R: No, anche se rifacessimo il percorso inverso possiamo dirti che non c’erano alternative di sorta, vuoi perché il fatto che il quadro sia notificato impedisce di fare atti di disposizione, cioè a dire che non si può addivenire ad un accordo con la controparte dato che c’è il vincolo sul bene, vuoi perché c’erano delle problematiche tra le parti che non consigliavano altre strade.
M.B.: C’era un contratto legale, firmato da ambo le parti, poi quando liquidai la controparte ovviamente richiesi l’annullamento e la restituzione del contratto precedentemente stipulato che non mi venne però restituito; per tornare alla tua domanda, se si poteva scegliere una strada diversa, ribadisco che in effetti non si poteva; abbiamo avuto in realtà grosse difficoltà ad inquadrare la fattispecie giuridica a causa della atipicità dei fatti purtroppo non rari nel mondo antiquariale.
-Potete spiegare meglio voi legali ?, mi pare un passaggio determinante.
R: Infatti lo è; cosa vuol dire atipicità? vuol dire che se in uno schema tipico, previsto dal codice civile, introduci elementi atipici, quali possono essere certe opzioni, delegazioni di pagamenti, e così via allora si entra nella atipicità che ci ha consigliato questo percorso legale incentrato su un istituto che salvaguardava le ragioni del nostro assistito anche se non era una strada priva di rischi.
-Una domanda adesso vorrei farla ancora a Mario Bigetti che è stato per 18 anni dentro questa vicenda che ha dell’assurdo. Ti chiedo: te lo aspettavi?
MB: Se me lo aspettavo? Come fai a pensare ad una vicenda così assurda; io sono partito con le migliori intenzioni, come faccio sempre, faccio tutto alla luce del sole, tant’è vero che ho coinvolto nella visione del dipinto professori, studiosi, funzionari, e tu stesso ne sei testimone; insomma chiunque potesse dare un consiglio, un parere; poi come immaginare di incappare in un accidente dovuto a gente malevola ?
-Verrebbe però da chiederti se non fosse stato meglio verificare la reale disponibilità e soprattutto la credibilità delle controparti, specie se sono soggetti chiacchierati, senza dire che occorre forse fare maggiore attenzione nello stilare contratti e accordi vari; non trovi?
MB: Ma attenzione, io con il soggetto-controparte avevo avuto già dei rapporti senza che fosse sorto alcun problema; come potevo immaginare questa situazione? I guai sono venuti proprio in questa occasione e poi lui da qui in poi ha continuato su questa strada a quanto pare.
-A voi legali chiedo quale è stato a vostro parere, uno o il momento di svolta a vostro favore?
R: Certamente quando il giudice ha sposato quanto meno in parte le nostre tesi. Infatti, accanto all’ipotesi della “associazione in partecipazione” vi era anche la tesi della comproprietà iniziale e la successiva cessione da parte dell’altro soggetto, della sua quota in favore del Bigetti (l’uscita dall’affare per impossibilità di adempiere alle obbligazioni): dalla circostanza che il bene doveva essere venduto di comune accordo si presupponeva la comproprietà. Perché, infatti, alla fine chi è il proprietario? Qual è l’elemento fondamentale della proprietà? Non il godimento del bene (perché il bene lo può godere anche un terzo), ma solo il proprietario ha la facoltà di vendere un bene. Nel dicembre 2003, in seguito alle sue inadempienze l’altro soggetto chiede di essere liquidato e di uscire dall’affare.
-Ecco ma questo, ossia il fatto che il Bigetti abbia liquidato la controparte, risulta scritto da qualche parte.
R: Certo, è scritto nella sentenza della Cassazione.
–Ancora una domanda diretta al protagonista di questa pluriennale vicenda; in tutti questi anni, tra tante difficoltà che intervenivano ogni anno, con continui spostamenti delle date dei dibattimenti, hai mai pensato di mollare?
M.B.: Se ti dovessi dire davvero cosa ho pensato in questi anni, specie se mi fosse capitata davanti la controparte, rischierei denunce su denunce; detto questo, certo qualche volta un dubbio mi è venuto, però devo dire che gli avvocati mi hanno sempre tenuto informato e quindi ho potuto superare i tentennamenti, ammesso che ci siano stati; mi è stato anche fatto presente da loro la possibilità di seguire la strada del compromesso con la controparte, nel senso di mostrarmi propenso a concedere un 10 o anche un 20 % sugli utili derivanti da una futura vendita del quadro per chiudere la faccenda, ma l’altra parte pretendeva invece la proprietà e con la proprietà in sua mano mi avrebbe tenuto in scacco per tutta la vita.
-A voi avvocati chiedo una cosa simile, cioè vi siete mai trovati a pensare ad un certo punto che non ce l’avreste fatta a vincere questa battaglia di giustizia?
R: No, francamente è un pensiero che non ci ha mai preoccupato; certo, se ti riferisci al primo grado di giudizio una certa alea di rischio c’era e credo ci sia sempre, poi però già in appello eravamo assai fiduciosi anche se poi la sentenza a mio parere non era scritta in modo del tutto esaustivo dal lato procedurale, tant’è vero che ha dato luogo alla possibilità di ricorso alla controparte; tuttavia la Corte di cassazione ha rigettato questa azione proprio dal punto di vista del merito in un passaggio molto preciso della sentenza in cui è scritto che la loro ricostruzione è fallace perché essendo –come minimo- comproprietari, considerato che dal dicembre 2003 il ricorrente era stato liquidato del suo 50 % di conseguenza era uscito dall’affare. Ovviamente noi abbiamo sempre sostenuto che la proprietà fosse ab origine in mano unicamente a Bigetti e che l’accordo prevedeva soltanto la divisione degli utili, mentre la controparte sosteneva che non era così e per paradosso fosse anche stato come sosteneva lui – il che non è – in ogni caso egli se ne era uscito e quindi si chiudono i giochi.
-Se consideriamo la lunga vicenda vi chiedo se non avete cercato un compromesso, ossia vi siete incontrati a questo proposito tra avvocati dell’una e dell’altra parte?
R: Va detto che gli avvocati della controparte sono cambiati dopo il primo grado e comunque si, abbiamo fatto una ventina di incontri con loro e ad un paio di questi è stato presente anche il diretto interessato, però non si è arrivati ad alcun accordo, soprattutto perché pretendevano condizioni non conciliabili (sui cui particolari preferiamo non entrare); la loro tattica inizialmente era di chiedere l’intera proprietà e la nullità del contratto di cessione siglato nel dicembre 2003, sostenendo che il loro assistito era stato ingannato da Bigetti che gli aveva fatto credere che l’autore del dipinto fosse non Caravaggio, ma Gherardo delle Notti; dopo il secondo grado, fallita tale manovra, in Cassazione hanno ridimensionato le richieste a patto che gli fosse riconosciuta la metà.
-In tutto questo si interpone l’articolo che la dott.sa Letizia Paoletti pubblicò per rivendicare l’autenticità caravaggesca dell’opera; come andarono le cose? E, mi rivolgo a te, Mario Bigetti, tu avevi in qualche maniera autorizzato questa pubblicazione?
MB: No affatto, tant’è che fui preso alla sprovvista, non ne ero assolutamente consapevole.
-D’accordo, ma adesso è il caso di riprendere questo discorso e chiarire finalmente come andò la vicenda della pubblicazione
MB: Andò così: le foto del quadro finirono sul Messaggero – come si diceva prima- in un articolo firmato Fabio Isman al quale le concessi sia pure di controvoglia, perché è sempre stato mio costume, ed anche tu puoi confermare, quello di sostenere le ricerche, aiutare gli studiosi a misurarsi con nuovi stimoli per far avanzare la storia dell’arte e questo caso mi appariva particolarmente interessante; tu sai bene che in passato quando avevo la mia attività nel mio negozio sono transitati i migliori studiosi, i grandi mercanti internazionali, dunque in questa logica alla fine concessi che le foto del quadro fossero pubblicate, però da Fabio Isman che conoscevo bene e per il Messaggero. Dal canto suo, la dott.sa Paoletti mi assicurò che a lei le immagini sarebbero servite unicamente per scopi di studio, per approfondire i suoi studi sulla tecnica esecutiva di Caravaggio al fine di poter avallare o meno l’attribuzione.
-Quando presero quelle foto il dipinto era ancora in fase di restauro?
MB: Si, ed infatti era concepibile che le foto servissero per studiare la tecnica esecutiva di Caravaggio, ed invece finirono in Inghilterra, dove di sua iniziativa la Paoletti diede notizia alla stampa di quel paese con un articolo sul quotidiano The Independent di aver scoperto un nuovo vero Caravaggio; a quel punto la stampa britannica interpellò Sir Denis Mahon, all’epoca riconosciuto come uno dei più importanti studiosi del maestro lombardo, il quale effettivamente confermò l’autografia, addirittura sostenendo che la mia versione della Cattura di Cristo fosse il prototipo mentre l’altra versione, ritenuta anch’essa originale, fosse invece una replica ancorché autografa.
-A questo punto non posso fare a meno di chiederti, una volta rientrato in possesso del dipinto, cosa intendi fare.
MB- Innanzitutto mi piacerebbe finalmente realizzare un sogno che accarezzo da quando ho acquistato La Cattura di Cristo, cioè organizzare un confronto con gli altri due dipinti che si contendono l’autografia dell’opera, ossia il quadro di Dublino e il quadro oggi ad Odessa; quest’ultimo da qualche tempo è molto sceso nelle considerazioni degli studiosi caravaggisti, ma esporli tutti assieme corredando però ogni quadro con le analisi tecniche e scientifiche relative, come ho fatto io per il mio dipinto, chiamando a valutare chi è in grado di farlo, credo toglierebbe molti dubbi; ci potrebbe essere anche un convegno cui far partecipare gli studiosi più accreditati ma aperto al pubblico, perché un evento del genere meriterebbe la più ampia risonanza, e sarebbe il primo di questo genere.
P d L Roma 19 Giugno 2022