Il Cavalier Girolamo Troppa, Maestro del Barocco romano nello Stato della Chiesa

di Francesco PETRUCCI

È fresco di stampa il volume intitolato Girolamo Troppa. Un protagonista del Barocco romano, curato da Francesco Petrucci per i tipi di Ediart, attivissima casa editrice di Todi che pubblica studi di alto livello scientifico nel campo storico artistico e della conservazione, compresa la prestigiosa rivista “Studi di Storia dell’Arte”. La pubblicazione, sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, è stata realizzata grazie all’impegno di don Claudio Bosi, responsabile del patrimonio storico-artistico della Curia Diocesana di Terni-Narni-Amelia. Il libro, che ha le caratteristiche di una vera e propria monografia, ospita importanti saggi di valenti studiosi, a cominciare dal curatore che ha sviluppato un ampio saggio generale sul pittore; Erich Schleier ha messo a fuoco il suo talento di disegnatore; Maria Laura Moroni ha analizzato la sua attività nell’Umbria meridionale e si è soffermata sul Barocco a Terni; Ileana Tozzi ha studiato la produzione nel territorio reatino; Letizia Salvatori ha focalizzato indagini archivistiche nel territorio ternano.Tra gli “Apparati” del volume, Mario Ritarossi ha predisposto un regesto biografico del pittore, mentre Petrucci ha curato il catalogo generale delle opere dell’artista e di quelle perdute. Le appendici documentarie sono dello stesso Petrucci e di Letizia Salvatori.
Pubblichiamo, per gentile concessione di Ediart che ringraziamo, la prima parte del saggio introduttivo di Francesco Petrucci.

Nell’ambito del variegato e multiforme panorama della pittura tardo-barocca romana, merita particolare attenzione la camaleontica figura del Cavalier Girolamo Troppa (Rocchette in Sabina, 1636 – Terni, 1711), che fu artista ‘provinciale’ senza esserlo, marginale più per la destinazione periferica di gran parte della sua attività che per il livello conseguito.[1]

Pittore versatile e assimilatore, approdò ad una personale cifra stilistica, distinguendosi per la vasta produzione pubblica e un catalogo di opere da quadreria in continua espansione.

La sua personalità può essere inquadrata in quel filone eterogeneo di artisti della scuola romana della seconda metà del ‘600 che ho definito “tenebristi”, accomunati da un linguaggio non codificato, ma caratterizzato dalla predilezione per i forti contrasti chiaroscurali e i toni risentiti, basato su una dominante matrice naturalistica.

1. Girolamo Troppa, Autoritratto con allegoria della Fama (particolare). Dundee (Scozia), McManus Galleries and Museum

Si tratta di pittori in linea di massima non conformati alla tendenza dominante del classicismo, comunque inseriti nell’alveo del fiume in piena del Barocco romano, spesso marginali rispetto agli orientamenti accademici o ad essi volutamente estranei, se non in contrapposizione.[2]

Questi artisti non rinnegano l’intimismo e l’attrazione verso l’oscurità del movimento naturalista, percependone le valenze mistiche e la forza espressiva, pur essendo partecipi con diverse accezioni alle novità del Barocco.

Guercino, Seppellimento e assunzione di santa Petronilla, 1623. Roma, Pinacoteca Capitolina

È Guercino che insegna come si possano conciliare gli opposti in un linguaggio innovativo, non più subordinato alla presenza di modelli in posa dal naturale, allo stereotipo generalizzato dei formati e delle ambientazioni, recuperando il disegno in un’accezione luministica. Il paradigma è la monumentale pala della Sepoltura e gloria di santa Petronilla per la Basilica Vaticana, eseguita nel 1621-1623 su commissione di Gregorio XV, modello anche per il “belcomposto” berniniano nella sequenza scalare “morte per fede – gloria celeste”. Non a caso Bernardo De Dominici nella sua biografia di Mattia Preti si sofferma a lungo sull’importanza capitale di questa ancona per la pittura del Seicento, la cui portata non è stata ancora adeguatamente valutata negli studi sul Barocco.

Guercino, e in particolare la pala vaticana, diventa così la guida per il tenebrismo barocco, in primo luogo influenzando due grandi pittori coetanei più giovani di un ventennio: Pier Francesco Mola e il “Cavalier Calabrese”, il primo suo allievo, il secondo suo estimatore.

La poetica del buio coinvolge comunque altri pittori, alcuni distintisi tra i più originali interpreti di questa nuova maniera risentita nel rinvigorire gli scuri in chiave barocca, come Pietro Testa nelle opere degli anni ’40, Francesco Cozza e soprattutto Giacinto Brandi. Ma tale tendenza prende maggior vigore da metà secolo coinvolgendo un’intera generazione di pittori nati prevalentemente negli anni ’30, alcuni allievi, seguaci o ammiratori del Mola, come Francesco Giovani (1611-1669), Pasquale Chiesa (1630 ca. -1654), Giovan Battista Boncori (1633-1699), Giovanni Bonati (1635-1681), Carlo Ascenzi (1637-1710), Antonio Gherardi (1638-1702), Giovan Battista Pace (1650-1699) e il nostro Girolamo Troppa.

Ma ci sono anche altri artisti di differente estrazione culturale che si possono aggregare al gruppo, come Gregorio Preti (1603-1672), Lucas de la Haye detto Luca Fiammingo (1612-1682), Agostino Scilla (1629-1700), Giuseppe Ghezzi (1634-1721), Giovan Battista Beinaschi (1639-1689), Francesco Rosa (1638-1687), Daniel Seiter (1647-1705), Giovan Battista Lenardi (1656-1704) e altri ancora. Tra essi trovano casa le personalità ancora poco note di Domenico Rainaldi (1619-1698), che Emilio Negro classifica addirittura come caravaggesco nonostante la cronologia avanzata, e Lorenzo Greuter (1620-1668), di cui Massimo Pulini individua un percorso non dissimile a quello dei fratelli Preti e di Brandi.[3]

Troppa talora adottò un vivace colorismo e quello schiarimento cromatico tipico dell’avanguardia proto-settecentesca, propugnato dai principali poli di riferimento a Roma al volgere del secolo, soprattutto Giovan Battista Gaulli. Ma si tratta di un “chiarismo” assunto in maniera intermittente, in particolare negli affreschi e cicli decorativi a carattere profano, dato che anche in opere tarde sembra riprendere vigore il luminismo contrastato dei primi anni, volto ad accentuare i toni drammatici e intimistici delle rappresentazioni a tema religioso.

2. Girolamo Troppa, Giovan Battista Magni, Autunno (1667-68). Ariccia, Palazzo Chigi

La sua originale posizione nell’ambiente romano è dimostrata dalla clamorosa assenza in tutte le “Vite” di artisti compilate dai principali biografi del tempo (Giovan Battista Passeri, Filippo Baldinucci, Lione Pascoli, Nicola Pio, etc.), come pure dalla mancata adesione all’Accademia di San Luca, ma nemmeno alla Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, contrariamente a quanto invece si riteneva.[4]

3. Girolamo Troppa, Decorazioni delle volte (1682-83). Terni, Palazzo Montani

Il pittore in realtà viene citato più volte da Filippo Titi per opere nelle chiese di Roma, a partire dalla prima edizione dello Studio di pittura, scoltura, et architettura pubblicato nel 1674.

4. Girolamo Troppa, Trionfo della Croce (1669-70). Roma, Casa S. Carlo

Tuttavia il suo primo embrionale inquadramento critico, peraltro con alcune imprecisioni, compresa l’errata idea di una precoce scomparsa, viene dato soltanto da Luigi Lanzi nella Storia pittorica della Italia, inserendolo dubitativamente tra gli allievi di Carlo Maratti (Camerano 1624 – Roma 1713), meglio noto a Roma come “Maratta”, e comunque ritenendolo un suo seguace:

“Del Cav. Girolamo Troppa udii, ma non lessi, che fosse scolare del Maratta. Suo imitatore fu certamente, e felice molto, comunque non vivesse molti anni”.

Le uniche opere citate sono genericamente “pitture a olio e a fresco nella Capitale, e nella chiesa di S. Giacomo delle Penitenti” ove “competè al Romanelli”, ricordando “in S. Severino una tavola da chiesa assai ben condotta”, cioè l’Adorazione dei pastori di San Severino Marche, forse il suo capolavoro nel genere chiesastico.

5. Girolamo Troppa, Adorazione dei Pastori (1668 ca.). San Severino Marche, Chiesa di Santa Maria del Glorioso

In ogni caso, pur rimanendo artista eminentemente romano per cultura e formazione, ebbe in area umbra un ruolo simile a quello svolto nel ‘500 da Niccolò Circignani e poi da Ferraù Fenzoni, che divulgarono “in ambiente provinciale lo stile della capitale sia della Chiesa che dell’arte”. [5]

6. Troppa, Assunzione della Vergine (1686). Terni, Duomo, Sagrestia
7. Girolamo Troppa, San Sebastiano (1700 ca.), Rocchette in Sabina, Chiesa del Santissimo Salvatore

Ma il Cavalier Troppa superò tali precedenti, promuovendo una diffusione capillare di opere in un vasto territorio tra Umbria meridionale e Sabina, in particolare nelle diocesi di Terni, Magliano e Rieti, con presenze anche nel Viterbese, tra i Castelli Romani e in Ciociaria, puntate fino alle Marche, Ferrara e Napoli. Terni, compreso il territorio limitrofo, assieme a Roma è certamente la città che conserva la maggior parte di suoi testi figurativi, tra affreschi e pale d’altare.

8. Girolamo Troppa, Omero (1665-69, f.to). Copenaghen, Statens Museum for Kunst

Questa ingente produzione, certamente di qualità discontinua, spesso ripetitiva negli schemi e non priva di inflessioni dialettali, con cali di tenuta soprattutto nelle opere tarde, deve necessariamente implicare l’esistenza di una vivace bottega, pronta ad eseguire le invenzioni di un artista impresario e abile imprenditore di sé stesso.

Viceversa, l’ottimo risultato conseguito in alcune pale e in non pochi dipinti da quadreria, a partire dalle straordinarie tele di Copenaghen (Statens Museum for Kunst), è un’ulteriore conferma del vasto impiego di aiuti e di uno scemare di creatività negli ultimi anni, con una caduta al ribasso negli scialbi ed ormai evanescenti affreschi di Sant’Agata in Trastevere.

9. Girolamo Troppa, Mercurio ed Argo (1665-70). Copenaghen, Statens Museum for Kunst
10. Girolamo Troppa, Apollo e Marsia (1665-70). Copenaghen, Statens Museum for Kunst

Certamente Girolamo fu un pittore estremamente prolifico, anche in ragione di un’innata facilità di tocco e rapidità d’esecuzione, compiaciuto di questa sua capacità se nel San Girolamo in un paesaggio del Kunsthistorisches Museum di Vienna pose sul libro aperto la scritta “Opera di un giorno del Cavalier Troppa”. Una sorta di “Luca fa’ presto” in versione sabina, che si pone in singolare parallelo con l’eccezionale rapidità produttiva del grande Luca Giordano.

Questa libertà di creare e comporre era basata su una solida padronanza del disegno, come hanno dimostrato gli studi di Erich Schleier, principale responsabile della piena rivalutazione del pittore, consacrato anche da una mostra monografica dedicata alla sua produzione grafica, tenuta a Colonia presso il Wallraf-Richartz-Museum nel 2016-17.[6]

Sembra che Troppa avesse un carattere focoso e passionale, a giudicare dai processi subiti per liti con parenti, allievi e collaboratori, quali il cognato Antonio De Stefani, ferito con la spada in una rissa, i pittori Marcantonio Bellavia e Giovan Battista Gaulli.[7]

Tuttavia, aspetto altrettanto singolare, ebbe il vanto di essere nominato Cavaliere, con buona probabilità dell’Ordine Supremo di Cristo, onorificenza ambita da molti ma concessa dallo stesso pontefice a pochi eletti, attestazione anche di una profonda religiosità, peraltro espressa da una vasta produzione di carattere devozionale.[8]

11. Girolamo Troppa, Pietà (1675-80). Alatri, Cattedrale

In effetti Troppa si cimentò in tutti i generi: dalla decorazione muraria, alle pale d’altare, alla pittura da cavalletto, mostrandosi anche sensibile paesaggista, valente ritrattista ed eccellente disegnatore.

12. Girolamo Troppa, Giustizia, Pace, Legge e Verità (1678), Roma, Santi Ambrogio e Carlo al Corso
13. Girolamo Troppa, Madonna del latte (1678 ca.). Rieti, Museo Civico, già S. Ruffo
14. Girolamo Troppa, Sacrificio di Isacco (1686). Roma, Santa Maria del Suffragio

A differenza dei contemporanei aveva l’abitudine di firmare o siglare molte delle sue opere, soprattutto quelle a destinazione pubblica, quasi ossessionato dal timore di essere dimenticato, ponendosi in tal senso come precedente di una consuetudine ricorrente nel Settecento romano.

La tendenza ad assorbire influssi diversificati, adattandoli di volta in volta con disinvoltura a differenti generi pittorici e soggetti iconografici, ha determinato nella sua produzione eterogeneità stilistiche e di linguaggio, con una sintassi variabile, ingenerando confusioni ed equivoci attributivi.

Solo una conoscenza approfondita della pittura romana del ‘600, estesa a figure apparentemente marginali o secondarie, ha potuto consentire l’individuazione di un catalogo stabile del pittore, diradando la nebbia delle incertezze che talora ancora permangono, anche per la oggettiva difficoltà di accessibilità di molte opere dislocate in un vasto ambito territoriale, in chiese spesso chiuse e in raccolte private o transitate sul mercato antiquario.

15. Girolamo Troppa, Gesù Bambino adorato dagli angeli (1675-80). Pienza, collezione privata

Non a caso l’ostico problema della connoisseurship troppesca ha coinvolto da anni alcuni dei massimi conoscitori della pittura del Seicento romano, tra cui Andrea Busiri Vici, Stella Rudolph, Vittorio Casale, Giancarlo Sestieri e soprattutto Erich Schleier, che in una serrata sequenza di articoli è riuscito a costruire una solida base per uno studio monografico sull’artista.

Francesco PETRUCCI   Roma  14 novembre 2021

NOTE

[1] Questo scritto rielabora e aggiorna il mio saggio Considerazioni su Girolamo Troppa: un “tenebrista” del tardo Seicento romano, in “Prospettiva”, 146, 2012, pp. 88-102. L’atto di battesimo del pittore, la cui nascita era riferita al 1637, è riportato da Ilaria Bellezza nella sua inedita tesi di laurea su Troppa (1995-1996, p. 1, Terni, Diocesi di Terni, Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici, archivio), rintracciato in un estratto dei libri parrocchiali di Rocchette compilato il 1 ottobre 1851 dal parroco, ove risulta che il pittore nacque il 2 ottobre 1636. Per la trascrizione del documento originale, raccolto da anni da Don Claudio Bosi e messo a disposizione del gruppo di lavoro, vedi Appendice 1. Vedi anche R. Della Portella, 2020, p. 1, nota 1. Per la sua scomparsa, avvenuta a Terni nel 1711, riportata su segnalazione di R. Della Portella da M. Ritarossi, 2018, p. 62, vedi R. Della Portella, 2020, pp. 36-37.
Su Troppa in linea generale cfr. F. Titi, 1674-1763, ediz. 1987, ad indicem; L. Lanzi, 1808, ediz. 1818, II, pp. 231-232, ediz. 1968, p. 402; F. Avventi, 1838; U. Thieme, F. Becker, 1939, p. 429; H. Olsen, 1961, pp. 97-98; E. K. Waterhouse, 1976, p. 119; Ricerche in Umbria, 1, 1976, ad indicem; S. Rudolph, 1977, pp. 27-36; A. Busiri Vici, 1980, pp. 22-28; Ricerche in Umbria, 2, 1980, ad indicem; S. Rudolph, 1983, p. 806, tav. 689; V. Casale, 1983-84, pp. 270-271, 274, note 32-35; id., in Spoleto 1989, pp. 319-321; A. G. De Marchi, 1989, p. 906; E. Schleier, 1990, pp. 23-34; L. Barroero, L. Saraca Colonnelli, 1991, pp. 153-159; E. Schleier, 1993, pp. 16-23; G. Sestieri, 1994, I, pp. 177-179, III, figg. 1096-1107; I. Bellezza, 1995-96; U. Ruggeri, 1996, p. 370; S. Ceccarelli, 1996, pp. 79-82; Ricerche in Umbria, 3, 2000, ad indicem; Ricerche in Umbria, 4, 2006, ad indicem; E. Schleier, 2007, pp. 526-534; Z. Dobos, 2007, pp. 115-129; F. Petrucci, 2008, I, pp. 254-255, fig. 358, II, pp. 388-390, 422, III, figg. 706-709; C. Sodano, 2009; R. Cantone, 2009, pp. 52-65; F. Petrucci, 2009, ad indicem; id., 2009a, pp. 131-138; E. Schleier, 2012, pp. 85-96; F. Petrucci, 2012, p. 221 e ad indicem; id., 2012a, pp. 154-159; id., 2012b, pp. 88-102; L. Bartoni, 2012, p. 523; E. Schleier, 2013, pp. 83-98; F. Petrucci, 2013, pp. 149-156; E. Schleier, 2015, pp. 215-228; Alatri, 2018; G. Daniele, 2019; R. Della Portella, 2020.
[2] Per una definizione dei “tenebristi” cfr. F. Petrucci, 2011, pp. 5-6; id., 2012a, p. 154; id., 2012b; id., 2020.
[3] Su Rainaldi cfr. E. Negro 2011, pp. 37-48; S. Ventra 2019, pp. 56-60 e ad indicem. Su Greuter cfr. M. Pulini 2017.
[4] Il “Reatino Gerolamo” accolto nel 1672 tra i Virtuosi del Pantheon e presente in riunioni della congregazione degli anni successivi (V. Tiberia, 2005, ad indicem), contrariamente a quanto riportato da L. Bartoni, 2012, p. 523, non è Girolamo Troppa ma Girolamo Reatini, detto per la sua specializzazione “Girolamo delle Marine”, attivo anche nella pittura di scene teatrali per i Chigi, i Colonna e gli Ottoboni (V. Golzio, 1939, p. 249; G. e O. Michel, 1977, p. 320; E. Tamburini, 1997, p. 189; F. Petrucci, 1992, p. 121, n. 19; N. Gozzano, 2004, pp. 216, 246; L. Lorizzo, 2010, p. 60).
[5] Cfr. G. Scavizzi, Ferraù Fenzoni pittore, in G. Scavizzi, N. Schwed, 2006, p. 31.
[6] Cfr. Girolamo Troppa. Der Zeichner. Ein Phantom, 2 dicembre 2016 – 12 marzo 2017, catalogo della mostra, Colonia, Wallraf-Richartz-Museum, Graphisches Kabinett, Köln 2016. Per il dipinto di Vienna cfr. S. Ferino-Pagden, W. Prohaska, K. Schütz, 1991, p. 125, pl. 178; Z. Dobos, 2007, p. 115.
[7] Sulle cause per liti cfr. A. Bertolotti, 1884, p. 194; id., 1886, ediz. 1968, pp. 165, 176-178, 243; F. Palmegiani, 1932; I Bellezza, 2015-16; F. Petrucci, 2009, p. 676; R. Della Portella, 2020. Vedi Appendice 1.
[8] Sull’argomento, affrontato approfonditamente da R. Della Portella, 2020, pp. 23-24, vedi più avanti nel testo.