Il Colosso veste Prada. Scultura monumentale e mondo antico. Roma e Grecia in una operazione (non riuscita) tra cultura e marketing.

di Giovanni PAPI

Ammiano Marcellino, l’ultimo storico pagano, stava cavalcando accanto a Costanzo II, il primo imperatore cristiano e ariano, seguito dal suo corteggio, visitando la città eterna e raggiungendo le tante parti poste sulle cime, sui pendii dei sette colli, in pianura e nei quartieri suburbani.

2

Dopo essere entrato per la prima volta a Roma, centro dell’Impero e di tutte le Virtù, in quel fresco e luminoso giorno del 28 aprile del 357 d.C. tutto ciò che vedeva e percorreva lo riteneva insuperabile per la magnificenza. Ovunque volgesse lo sguardo, ne rimaneva sorpreso e stupefatto. I complessi architettonici, i corredi artistici, indorati dal sole primaverile, destavano stupore e meraviglia. I paesaggi in ogni parte dell’urbs rilucevano e nella lenta andatura l’imperatore, frastornato da tanta bellezza, rifletteva però sulla caducità dell’uomo e di quelle opere scintillanti nella città eterna, capitale del mondo.

Il soldato e storico Ammiano, faticava con la sua cavalcatura a stare, nei lunghi giorni che seguirono, accanto al principe sempre circondato dalla sua corte, narrando nello stesso tempo la storia delle infinite mirabilie che si erano aggiunte e sovrapposte nel corso dei secoli, costellando innumerevoli luoghi e vie principali: piazze, templi, opere pubbliche, corredi scultorei.

3

Il tempio di Giove Tarpeio (Optimo Maximo) gli sembrava particolarmente stupefacente. Le Terme immense di Diocleziano; l’ammirazione per la mole dell’Anfiteatro Flavio; dove a fatica sale lo sguardo umano; il Pantheon dalle forme e dimensioni insuperate; le alte colonne tortili alla cui sommità sorgono le statue degli imperatori; il Tempio dell’urbe; il Foro della Pace; il Teatro di Pompeo; l’Odeon e lo Stadio di Domiziano e tanti altri insigni monumenti e opere d’arte di quella città infinita.

Ma quando quel giorno giunsero al Foro di Traiano, costruzione unica nel suo genere ed ammirabile anche a giudizio degli dei, riferiva sempre Ammiano, Costanzo II attraversando il vestibolo dal lato del foro di Augusto, si soffermò prima a osservare il suo corredo artistico e il colosso dedicato al genio tutelare di Cesare Augusto, quindi entrarono nella enorme piazza che si apriva maestosa abbracciando in una visione la basilica Ulpia e la famosa colonna votiva.

4
5

Rimase attonito ed estasiato nel percorrerla a piedi e insieme ai suoi fidati volsero gli sguardi a quel gigantesco complesso di edifici, che non può essere descritto con parole umane nè imitato da un comune mortale. Pertanto poiché l’imperatore a quella vista disperava di poter tentare di realizzare qualcosa di simile e così irraggiungibile diceva di voler imitare almeno il cavallo (l’equus Traiani) studiando con lo sguardo la statua equestre bronzea.

6

Quel monumento si ergeva maestoso e superbo nella sublime piazza e l’imperatore meditava di prenderlo a modello e di porlo al centro del foro circolare a Costantinopoli (la Nova Roma) assieme alla colonna del padre raffigurato alla sommità come il dio radiato Elio. Il colto ufficiale gli ricordò che la dimensione di quella statua equestre era doppia di quella del Marco Aurelio, ma non aggiunse però che quella era già appartenuta a Domiziano, alla quale, dopo la damnatio memoriae dell’imperatore Flavio, Traiano la fece sua, ne cambiò il volto e la pose maestosa al centro del suo Foro.

7

Subito dopo la valutazione fatta dall’imperatore sulla statua si avvicinò a lui il Principe Ormisda, fratello maggiore del re di Persia che viveva esule a Roma e con l’innata arguzia esclamò:

“Imperatore, fai erigere prima una stalla simile a questa magnificenza che vediamo se sei capace e la scultura a cavallo poi che ti proponi di far modellare, vi entrerà con la maestà che desideri”.
8
9

Nelle perlustrazioni e visite che seguirono in quei giorni, Ammiano con diversi accenti da retore si soffermava con la voce su quei marmi dove si era concentrata la storia universale e la bellezza del mondo. Nella sua formazione greca e di scrittore latino, quel soldato, aveva la netta percezione che la città fosse abitata ancora dagli dei, tanto era meravigliosamente costruita: Roma era ancora Roma, nel suo respiro eterno e il cristianesimo sembrava ancora in un orizzonte lontano. Quella città degli dei Costanzo II la percorreva invece già come città di Dio, avendo abbracciato appieno e in modo fondamentale i primi orientamenti paterni.

9b

Quella visita cadeva a vent’anni esatti (337-357d.C.) dalla scomparsa de padre Costantino il Grande, imperatore pagano e cristiano allo stesso tempo, che aveva cambiato, le leggi, i destini della storia e gli assi del mondo, accogliendo fra le tante una nuova religione monoteista.

Nel frattempo giungevano notizie a Roma di minacce di invasione da parte di popolazioni barbariche al di là del Danubio.

10
11

Costanzo II radunò i suoi generali e sollecitò la partenza e l’organizzazione dell’esercito. In attesa dei preparativi di guerra, l’ufficiale e storico Ammiano, mancando una settimana a fine maggio, data fissata per la partenza, affrettò le ultime visite. Durante le successive esplorazioni ai molti monumenti e alle tante collezioni d’arte, davanti alle stesse l’imperatore rimaneva sempre sbalordito e sorpreso.

Costanzo pensava spesso alla caducità delle bellezze (di Roma) e allo stesso tempo alla stessa “fama” di essere inappropriata e insufficiente nel descriverle.

Dopo aver a lungo meditato cosa dovesse donare per aggiungere un ornamento, un suo lasciato all’urbs, si decise nell’erigere nel circo Massimo un obelisco e che fosse il più alto di tutta la città e in questo sarebbe rimasto unico.

Ammiano considerò anche che l’imperatore non poteva partire senza aver visto l’ultima meravigliosa opera pubblica che aveva costruito il padre, completando la magnifica basilica iniziata da Massenzio ed edificata sull’altura della Velia, lungo la via sacra.

12

Basilica, nella quale si svolgevano, fino a poco tempo prima, le manifestazioni connesse al rito dell’adoratio dell’imperatore.

13

Si raggiungeva attraverso un grandioso ingresso tramite una scalinata che superava il dislivello tra la via sacra e la Velia. Stupefacente la volta centrale, costituta da tre immense crociere poggianti su otto colonne alle 14,50 metri.

14

Nell’abside occidentale era collocata la statua colossale di Costantino, un acrolito con le parti scoperte in marmo e il resto in bronzo dorato. Realizzata dopo la battaglia di ponte Milvio in occasione delle celebrazioni dei decennalia, l’imperatore era raffigurato nella classica tradizione pagana, nella trasposizione eroica di Giove assiso. Imponente nelle sue dimensioni che incutevano rispetto e timore nella esplicita allusione equiparando l’imperatore a un dio. La scultura, alta 13 metri, esprimeva una visione astratta e sublimata del potere imperiale: dominus et deus e la dimensione colossale insieme allo sguardo ieratico del volto emanavano insieme maestà e sacralità.

15

Costanzo II sacrificò in onore del padre-imperatore con il vecchio rito. In quell’ultima visita l’erede costantiniano abbracciò con lo sguardo quel luogo ancora intatto nella sua magnificenza e splendore, così fece anche Ammiano insieme alla ristretta corte, e quella fu l’ultima volta.

Uscendo e passando poi accanto alla Meta Sudans circondata dai cavalli che si abbeveravano, commentarono brevemente il Colossus Solis altra mirabilia che si stagliava alto nel cielo accanto al Colosseo e in asse con l’arco di Costantino. Pochi giorni dopo a fine maggio l’imperatore partì con il suo esercito nella direzione di Mediolanum, capitale dell’impero d’occidente, per fronteggiare le popolazioni barbariche minacciose oltre il Danubio. Non ritornò più a Roma e quella visita alla città eterna in compagnia dello storico Ammiano rimase impressa nella sua mente e nel suo cuore. Nessuno vedrà più la città di Roma come l’avevano vista quell’ufficiale e il suo imperatore: ancora intatta nel suo massimo splendore, ma sospesa tra il sopraggiungere della fine e i grandi stravolgimenti che verranno.

Nel 1471, nel primo rinascimento, essendo già consolidato il potere della Chiesa cristiana che Costantino aveva accolto fra le altre religioni, papa Sisto IV, con una cerimonia solenne aveva fondato il museo capitolino dandolo in custodia al Senato Romano.

Donò e restituì al popolo romano alcune statue antiche in bronzo, già conservate nel Laterano, insieme ad altre parti di una statua colossale detta di “Costantino”: una testa, un globo, una mano: simboli della passata gloria romana. Subito dopo fece restaurare anche la statua equestre di Marco Aurelio.

16
17
18
19

Quindici anni dopo, nel 1486, quando il nuovo ciclo di affreschi nella cappella sistina avevano già sancito definitamente la struttura della Chiesa come “erede” dell’impero romano, furono trovati frammenti importanti delle parti nude di marmo pario di quel colosso di Costantino, proprio là dove Costanzo II e il suo fidato storico Ammiano lo videro integro per l’ultima volta.

Nel nostro contemporaneo l’idea di ricomporre quei dieci frammenti trovati a suo tempo nello stesso luogo del simulacro acrolito e ridare forma, corpo e anima fashion-style a quella statua colossale e nasce, si perfeziona e si realizza a Milano alla fondazione Prada in occasione della mostra Recycling Beauty 2022-‘23 avendo sempre ovviamente come riferimento continuo i sapienti studi della sede capitolina, dove oggi la statua troneggia accolta nei giardini di palazzo Caffarelli dove rimarrà fino giubileo. L’intento dei curatori, fra varie motivazioni, di restituire nelle dimensioni reali l’imperatore assiso alto 13 metri (già in antico probabilmente una scultura di rimpiego e per questo inserito nella mostra milanese) viene realizzata anche per far comprendere meglio il rapporto che i fedeli/sudditi avevano all’epoca con il simulacro del dio o col deus et dominus che incuteva venerazione e rispetto. Oggi però per ovvi motivi ci sembra cosa vana e impossibile ricreare quell’aspetto esperienziale se non attraverso altre ricostruzioni: letterarie, filosofiche, religiose.

20
21

L’operazione “Colosso” non ha nulla a che fare nemmeno con “l’arte contemporanea” se non nell’uso sperimentale di materiali e tecnologie. Contemporaneo potrà essere quando avrà davanti uno stuolo di bambini con i loro colori e matite che -reinterpretano – quella visione seduti insieme, perché no, ad altri artisti di fama mondiale. Questi ultimi abituati sempre più a usare un certo “gigantismo” a volte esasperato, come fonte di espressione e di relazione invadendo i nostri palazzi storici. “Gigantismo e Monumentale nel contemporaneo” altro tema. Naturalmente l’uso delle tecnologie è stato determinante nella configurazione prima virtuale e quindi reale nella collocazione tridimensionale dei dieci frammenti contribuendo a determinare anche la postura originale della stessa figurare stante.

C’è stata un’ampia sottolineatura addirittura una esaltazione della metodologia nei vari passaggi: scansioni, fotogrammetria sub-millimetrica, etc, fino poi alla realizzazione delle forme finali con resina rinforzata, polvere di marmo, di bronzo, foglia d’oro etc.

23
24

Fin troppo esaltata la capacità tecnologica come se fosse un impiego eccezionale e l’unica (Factum Foundation) ad accettare questa sfida. In realtà le stesse tecnologie sono oramai diffuse e presenti ovunque e si possono commissionare a qualsiasi “Ciccio Pasticcio” come mi ha riferito un esperto.

Questo per dire e ricordare che l’opera la fa il committente: Prada, in questo caso. A Roma non avevamo una donna sensibile come Miuccia.

 

25

Il rapporto inoltre tra pubblico e privato è sempre problematico ma ovviamente utile e necessario e comunque nelle istituzioni pubbliche l’aspetto delle politiche culturale deve sempre prevalere.

26
27
28

Troviamo – l’operazione colosso – una missione a freddo relazionata solo a se stessa, che in quel di Milano poteva essere compresa nella sperimentazione tecnologica, ma calata a Roma nel suo contesto e complesso di origine, cioè nel cuore della sua storia, diventa incomprensibile.

Il “progetto colosso” a Roma non si lega a nulla: è sospeso come fosse in una grande bolla surreale e trasparente, al limite del kitsch: apparizione fuori contesto in attesa di sparire.

29
29b

Come mai, ci chiediamo, visto la straordinaria occasione del Giubileo (altra magnifica identità e ricorrenza della città eterna con enorme attrazione) non si è pensato a formulare una proposta di collegamento e relazione tra le stupende realtà della scultura monumentale romana e greca, proponendo e inserendole (per es.) all’interno di un programma di ricerche, di studio, di esposizioni? Il tema è evidente, nelle sue molteplici rappresentazioni e sperimentazioni, forme e realizzazione. Acroliti, Crisoelefantine, Toreutiche etc. Il legame della scultura con l’architettura. La Scultura Monumentale nel Mondo Antico. Roma-Grecia.

30

Un grande tema di enorme fascino e un grande omaggio alla città eterna e alle sue tante identità, degna di una ricorrenza giubilare con attrazione internazionale. Dall’altro viene annunciato però dalla Sovrintendenza capitolina che ci saranno altre mostre nei prossimi anni dedicati sempre ai grandi scultori greci iniziate con quella attuale di Fidia. Bene ma la nostra cultura e la città stessa è indegna (?) non siamo pronti o meglio le nostre ricerche sulla scultura monumentale non sono aggiornate (?) ferme a qualche decennio fa e con scuole di pensiero diverse (?). Come mai si è pensato solo a quella greca.

Tra l’altro non capiamo se la programmazione della mostra di Fidia, dove l’immagine della scultura crisoelefantina di Zeus (una delle sette meraviglie del mondo) che richiama evidentemente al colosso costantiniano, ci chiediamo se precede o segue, nella sua ideazione, quella di Prada (?).

31

Certo è che vediamo la perdita, disgraziatamente di una grande occasione e di un progetto culturale importante per la città e la nostra storia: l’incontro e dialogo fra le due affascinanti culture mediterranee.

Al di là della plasticità e resa polimaterica dell’imponente “nobile Costantino” la statua colossale si poteva collocare benissimo, premendo sulla sperimentazione, anche nel suo contesto originario, acquistando più senso e riconfigurazione storica: una attrazione veramente imperdibile e una ghiotta visione per chiunque fino al Giubileo).

32

Comunque, nonostante le tante buone intenzioni il “Colosso Prada” appare come una operazione di superficie, una mera pratica d’ufficio, riducendosi poi a consegnarne una copia ai musei inglesi e il nostro Costantino, dono della fondazione Prada, finirà incompreso e triste fra le colonne del Museo delle Civiltà.

Giovanni PAPI  Roma 3 Marzo 2024