Il “Conclave” di Edward Berger: sotto gli affreschi della Sistina, un thriller ‘politico’ che avvince dalla prima allultima scena

di Marco FIORAMANTI

Roma, Cinema Mignon

CONCLAVE (Edwar Berger, USA 2024)

«Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie, egoismo.» «E l’altro?» «L’altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede.»  «E quale lupo vince «Quello che nutri di più.»

(Antica favola indiana Cherokee)

SENZA ESCLUSIONE DI COLPE

Se è vero quello che Hitchcock ha detto una volta: “To make a great film you need three things – the script, the script and the script”, il caso del film di Edward Berger (Wolfsburg, 1970) ne è l’esatta conferma. Il fatto poi che la sceneggiatura nasca da un testo letterario, la sfida diventa ancora più ardua. Al punto di riuscire, seppur raramente, a incidere così tanto – grazie alla magia del Cinema – da eclissare l’autore del romanzo che l’ha generato. E, a volte, perfino il regista: quanti di voi mi sanno dire chi ha diretto “Casablanca”? Ecco, nel caso di Conclave l’aspettativa non è stata disillusa e probabilmente sarà il film, grazie alle sei nomination ai prossimi Golden Globe, a far diventare best seller il romanzo.

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Tratto dall’omonimo libro del britannico Richard Harris, questo film – sceneggiato dal conterraneo Peter Straughan e realizzato dal regista austriaco-svizzero Edward Berger – è un raffinato thriller “politico” di rara intensità. La sua morfologia, lo studio delle sue componenti e delle loro reciproche relazioni, compresi i colpi di scena, avvincono lo spettatore dalla prima all’ultima immagine. Le funzioni dei personaggi sono legate a un unico scopo, il raggiungimento del potere. La lotta è subdola, sotterranea e senza esclusione di “colpe”. L’intreccio è quello del classico giallo ad alta componente emotiva e si sviluppa attraverso reticenze, contraddizioni, depistaggi.

Alla morte di papa Gregorio XVII per un attacco cardiaco, sotto gli affreschi della Sistina – abilmente ricostruita dalle maestranze di Cinecittà – si celebrano i vari, articolati, tentativi di elezione del nuovo pontefice.

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La guerra si combatte in correnti nelle stanze vaticane tra 139 cardinali conservatori e progressisti. 

“Nessuno sano di mente vorrebbe quel trono. Gli uomini pericolosi sono quelli che lo vogliono”.

Il cast è di eccezionale spessore: Ralph Fiennes (il protagonista, nei panni del decano cardinal Thomas Lawrence, alla guida del conclave) e Stanley Tucci (il nordamericano cardinal Aldo Bellini) rappresentano, tra gli altri, la frangia progressista; il cardinale nigeriano Joshua Adeyemi (Lucian Msamati) e lo xenofobo, il maligno cardinal Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto) – che arriva a invocare una guerra santa – restano entrambi ostinati nel prosieguo della tradizione.

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Emergono l’ambizione forsennata del cardinal Joseph Tremblay (John Lithgow) e due intriganti, fondamentali figure, quella misteriosa del cardinal “in pectore” Benitez (Carlos Diehz), arcivescovo di Kabul, insignito in extremis dal pontefice, e quella di suor Agnes (Isabella Rossellini).

Anche se noi suore dovremmo essere invisibili, Dio ci ha comunque dato occhi e orecchie”.

Il film è realizzato con camere fisse, primissimi piani e campi lunghi, sguardi profondi e “sovrumani silenzi”, a sottolineare il “vero” protagonista, il dubbio, ologramma concreto e visibile che incede dentro ognuno dei personaggi – coscienti del fatto che nessuno possa scagliare la prima pietra – e che “come il fumo, penetra in ogni fessura”.

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Gli spettatori entrano nella scena – si direbbe “in soggettiva” – con gli occhi e il punto di vista del cardinal Lawrence e con lui scopriamo gli altarini e le cospirazioni; con lui entriamo in profondità nelle perplessità, sempre con lui viviamo l’emozione e i rimandi a eventi di memoria collettiva, come quello del “vento mistico” che d’improvviso voltò le pagine del vangelo ai funerali del papa polacco in Piazza San Pietro, o quello iconografico dello stesso papa colpito da meteorite, uscito dalla mente iperrealista di Maurizio Cattelan (La nona ora – le tre del pomeriggio, il momento della morte di Gesù, ndr).

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Girato in gran parte a Cinecittà, sono peraltro facilmente riconoscibili sia gli scaloni della Reggia di Caserta che il profilo della scala nel fondo del salone al Palazzo dei congressi all’Eur. Da sottolineare infine la colonna sonora originale del compositore tedesco Volker Bertelmann e un’immagine per tutte, quella della panoramica dall’alto, dei cardinali – sotto la pioggia e gli ombrellini bianchi – tutti tranne uno, quello del decano Lawrence.

Marco FIORAMANTI  Roma  12 Gennaio 2025