di Claudio LISTANTI
Nella cospicua produzione operistica di Giuseppe Verdi, un posto piuttosto importante occupano quei lavori di revisione e rifacimento di opere antecedenti, ognuno dei quali racchiude elementi di grande interesse non solo musicale ma anche storico e storiografico. Tra questi una posizione di preminenza occupa il Simon Boccanegra composto, nella sua prima edizione nel 1857 e revisionato nel 1881, un rifacimento che merita senza dubbio un approfondimento.
Diversi furono i motivi che condussero Verdi a produrre delle revisioni di sue opere.
Uno dei motivi frequenti era quello di adattare le opere per essere rappresentate a Parigi, piazza musicale importantissima nell’800 che però imponeva alcune rigide regole come la presenza di una cospicua parte ballettistica e chiari elementi di spettacolarità, una prassi alla quale tuti i compositori si adeguarono. Per Parigi Verdi adattò Il Trovatore scritta nel 1853 che nel 1857 divenne Le Trouvère con la traduzione del testo di Émilien Pacini, lasciando inalterata la storia e i contenuti aggiungendo, ad un’opera riconosciuta da tutti come perfetta, un balletto e modificando il finale. Nel 1847 presentò Jérusalem rifacimento de I Lombardi alla prima crociata, che fu oggetto di una revisione più articolata su libretto di Alphonse Royer e Gustave Vaëz. Ne rivoluzionò ambientazione e svolgimento della trama, utilizzando il materiale originale ma anche proponendo nuova pagine e inserendo un cospicuo balletto rendendo così l’opera un Grand opéra in quattro atti, uno spettacolo propedeutico a quelli che saranno i Grand opéra che Verdi produsse direttamente per Parigi, Vêpres e Don Carlos.
Altro notevole adattamento per Parigi fu Macbeth, scritto per Firenze nel 1847 su libretto di Francesco Maria Piave e riproposto nella capitale francese nel 1865 la cui revisione, oltre all’inserimento di straordinarie pagine ballettistiche, interessò anche, sia la struttura musicale, sia quella drammaturgica con il cambiamento del finale dell’opera che abbandonò quello più strettamente shakesperiano dell’originale in uno di carattere più spettacolare. Questa versione è quella stabilmente entrata in repertorio ed eseguita fino ad oggi.
Per chiudere questo breve excursus sui rifacimenti verdiani c’è da ricordare quello dello Stiffelio, opera rappresentata a Trieste nel 1850 che nel 1857 divenne, per il teatro di Rimini, Aroldo. Francesco Maria Piave scrisse il libretto di entrambe; la geniale, e attuale per l’epoca, ambientazione ottocentesca nel mondo della chiesa protestante fu spostata nel periodo medioevale con l’aggiunta, ex novo, di un atto completo.
Resta, quindi, il rifacimento del Simon Boccanegra. Questa operazione, all’epoca proposta dall’editore Giulio Ricordi, è di fondamentale importanza per approfondire l’arte di Giuseppe Verdi per una serie di importanti motivi. Innanzi tutto perché è la revisione per la quale, tra la prima e la seconda stesura, è passato un notevole lasso di tempo, circa un quarto di secolo. Dal 12 marzo 1857, data della prima assoluta alla Fenice di Venezia al 24 marzo 1881 quando l’opera revisionata fu rappresentata alla Scala ci sono 24 anni e lo stile compositivo di Verdi era maturato e giunto alla viglia delle sue due ultime opere che chiusero alla grande la sua carriera. L’altro elemento interessante è che per l’occasione, iniziò a consolidarsi il sodalizio artistico tra il compositore e Arrigo Boito, uomo di cultura tra i più in vista di quegli anni, letterato e musicista, che seppe plasmare con i suoi testi gli ultimi capolavori verdiani.
La collaborazione tra Verdi e Boito iniziò molti anni prima, nel 1862, quando Verdi ricevette la commissione di musicare una cantata profana in occasione dell’Esposizione Universale di Londra di quell’anno. Nacque l’Inno delle Nazioni, opera poco conosciuta ma certo non priva di validi spunti musicali derivanti anche dallo stimolante testo di Boito. Verdi fu soddisfatto di questa nuova collaborazione. Il musicista, dopo aver musicato la cantata, regalò a Boito un orologio che fu accompagnato da questa, importante nota:
“Mentre vi ringrazio del bel lavoro fattomi, mi permetto offrirvi come attestato di stima, questo modesto orologio. Aggraditelo di cuore, come io di cuore ve lo offro. Vi ricordi il mio nome, ed il valore del tempo”.
Ma poco dopo nacque tra i due una incomprensione che rischiò di compromette questa rilevante collaborazione. Boito era allora un ventenne e, come tutti i giovani, infervorato dalle novità culturali tra le quali la cosiddetta Scapigliatura, movimento artistico letterario che ebbe come epicentro Milano i cui seguaci erano animati da sentimenti di ribellione verso la cultura tradizionale e la mentalità borghese. Boito lanciò strali contro gli intellettuali di derivazione ‘risorgimentale’ scrivendo un’ode intitolata Alla salute dell’Arte Italiana nella quale fecero colpo alcuni versi:
“Alla salute del’Arte Italiana! / Perché la scappi fuora un momentino / dalla cerchia del vecchio e del cretino / giovane e sana.” E poi “Forse già nacque chi sopra l’altare / rizzerà l’arte, verecondo e puro / Su quell’altare bruttato come muro / di lupanare.”
Verdi nel leggere quei versi, che testimoni riferiscono giudicati “mediocr”’ dal musicista, ebbe la sensazione che la spietata critica fosse rivolta alla sua persona anche se, ad oggi, non ci sono prove che confermino tale eventualità. Con il tempo e con la diplomazia di altri rappresentanti del mondo della cultura questo stato di fatto fu superato, tra i due artisti nacque una sincera stima reciproca rafforzata anche da una profonda e sincera amicizia. Fu un sodalizio artistico tra i più produttivi e proficui della storia dell’opera.
Il Simon Boccanegra fu scritto per il Teatro La Fenice di Venezia su un libretto di Francesco Maria Piave che prese ispirazione dal dramma teatrale Simón Bocanegra di Antonio García Gutiérrez, scritto nel 1843 che seguì di poco il successo ottenuto da un altro dramma dell’autore spagnolo, El Trovador (Il Trovatore), del 1836, altra grande e determinante ispirazione verdiana di pochi anni prima, nel 1853. Simone Boccanegra è un personaggio storico realmente esistito, di origine plebea, guidò la Repubblica Marinara di Genova per due mandati, ma non consecutivi, dal 1339 al 1345 come primo Doge genovese costretto poi ad abbandonare la carica per l’ostilità di nobili e rieletto nel 1356 per rimanere in carica fino alla morte nel 1363. Nel dramma di Gutiérrez (e conseguentemente nell’opera di Piave) ne esce però un personaggio immaginario perché lo scrittore spagnolo fuse la figura di Simone (il doge) con quella del fratello Egidio (uomo di mare) togliendo al personaggio un po’ della necessaria identità storica. Durante la preparazione del libretto Verdi non risultò pienamente soddisfatto dell’operato del fido Piave coinvolgendo nella stesura anche lo scrittore, nonché patriota e uomo politico, Giuseppe Montanelli non riuscendo però a produrre effetti determinanti.
Il libretto, nonostante riesca a porre in evidenza la personalità dei singoli personaggi (cosa molto cara a Verdi) propone una azione nell’insieme piuttosto confusa. Alla prima assoluta presero parte cantanti specialisti in ruoli verdiani, come Leone Giraldoni (Simone), Luigia Bendazzi (Maria) e Carlo Negrini (Adorno). Per quanto riguarda la parte musicale il ‘primo’ Simon Boccanegra, pur appartenendo ancora allo stile verdiano della prima metà dell’800, possiede già alcune specificità del Verdi maturo; a parte l’utilizzo delle cabalette e delle arie mette in mostra una evidente ricerca nel superamento dei ‘pezzi chiusi’ ed una propensione al recitativo espressivo e al declamato.
Per tutti questi elementi la prima esecuzione del 12 marzo 1857 non fu apprezzata dal pubblico, un insuccesso che lo stesso Verdi sottolineò in una lettera alla contessa Maffei:
“… Il Boccanegra che ha fatto a Venezia un fiasco quasi altrettanto grande che quello della Traviata. Credeva di aver fatto qualche cosa di passabile ma pare che mi sia ingannato. Vedremo in seguito chi avrà torto”.
Ma la critica apprezzò molto questa partitura soprattutto per l’eleganza musicale, la strumentazione e l’uso della melodia. Su La gazetta musicale del 15 marzo 1857 un critico scriveva: “E tutte queste tinte, come avviene in tutti i lavori di Verdi, sono sempre subordinate ad una intonazione generale, uniforme, logica, seguente, che costituisce come la sintesi del componimento”.
L’opera, quindi, partiva da una valida struttura di base.
Giulio Ricordi comprese bene tutto ciò e, vista la flessione della produzione di Verdi dopo i trionfi di Aida cercò di convincere il musicista a revisionare questa sua creatura. Verdi, nonostante facesse capire che non aveva intenzione di procedere a profondi stravolgimenti dell’originale, accettò la proposta che arrivò nel 1859. All’epoca era già iniziata, grazie al riavvicinamento con Boito, la gestazione dell’Otello che era ancora allo stato embrionale ma che prometteva validi sviluppi. Questa del Simone fu anche una sorta di ‘prova generale’ di questa collaborazione che, al termine, produsse importanti risultati.
Il difetto principale del Simone, secondo Verdi, era quello di essere un ‘tavolo zoppo’ su tre gambe ma che bastava rafforzarle per renderlo sufficientemente stabile. Il giudizio era condiviso anche da Boito soprattutto nella considerazione che la zampa più robusta era il prologo. Il Simone era strutturato in un prologo e tra atti che coprivano il periodo storico dell’esistenza del Doge, dalla sua elezione fino alla morte. Tra il prologo e gli altri atti passano 25 anni (per la storia però sono 24); il testo concepito dal Piave per introdurre l’opera può essere considerato come solida base sulla quale è costruito tutto il dramma.
Tra Boito e Verdi la collaborazione fu particolarmente fattiva.
Tutto ciò e dimostrato dal ricco carteggio intercorso tra i due artisti che pone in luce la piena sintonia con la quale lavorarono non solo per il Simone ma anche i i due futuri capolavori, Otello e Falstaff. Riguardo all’operazione riservata al Simon Boccanegra, Boito riservò estrema cura e dedizione così come rispetto assoluto per le idee e le necessità esposte da Verdi. Lo scrittore propose anche un rifacimento più radicale che comprendesse anche la creazione di un atto completamente nuovo; la soluzione non fu accettata da Verdi in quanto, come citato prima, non intendeva dedicare molto più tempo a questo rifacimento. Ma, ne siamo sicuri, nella mente del musicista erano ben chiari, anche in considerazione del suo laconico giudizio emesso dopo la prima, i cambiamenti da apportare.
Tra questi c’era la necessità di dare al personaggio Boccanegra uno spessore ‘drammatico’ con una scena che ne mettesse in risalto la statura di uomo politico e quella di padre amorevole. Uno dei punti deboli del primo Simone era la seconda scena del primo atto che rappresentava una festa celebrativa dell’elezione del Doge che dal punto di vista teatrale risultava poco incisiva.
Verdi propose di sostituirla con una più ‘monumentale’; allo scopo propose di prendere in considerazione due lettere che la storia narra essere state scritte da Francesco Petrarca ed indirizzate una al doge Boccanegra e una al doge di Venezia esortando entrambi a cessare le loro ostilità, superare la loro rivalità militare ed economica per giungere ad una alleanza scaturita dal fatto che le due città fanno parte di una patria comune.
Ne nacque una scena grandiosa ambientata nella Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati a Genova nella quale il Doge ha convocato i consiglieri per accettare i doni del Re di Tartaria che, in segno di pace e amicizia, dava libero accesso al Mar Nero alle navi genovesi. Di seguito presenta al consesso la già citata lettera del Petrarca esortando ad approvare l’idea di una patria comune che però viene rifiutata; nel mentre giungono gli echi di una rivolta contro il potere ‘plebeo’ del Doge che si placa con l’entrata dei protagonisti. Qui Boccanegra apprende anche del rapimento della figlia e giunge ad individuare in Paolo Albiani il motore di tutto. Con un efficace monologo sprona tutto il popolo alla pace e alla fraternità ma, nel contempo, isola Paolo Albiani inducendolo a auto maledirsi al cospetto di tutto il consesso per le sue azioni provocando nel personaggio l’odio definitivo verso il doge.
Il testo poetico di Boito è qui magistrale e l’abilità compositiva di Verdi lo fonde alla perfezione con la musica che sottolinea con forza e teatralità tutto lo sviluppo della scena. L’utilizzo del declamato è fondamentale così come la raffinata e, quando necessaria, possente orchestrazione per riescire a coinvolgere lo spettatore/ascoltatore con straordinaria forza. Tutte queste caratteristiche rendono la scena il vero ‘fulcro’ di tutta l’opera.
Per quanto riguarda gli altri interventi sull’originale non sono particolarmente radicali ma attuati per rafforzare l’indubbia validità da essi già posseduta. L’intervento più importante è sul prologo; il testo è stato conservato quasi integralmente mentre le modifiche sono tutte di carattere musicale. C’è una orchestrazione ed una armonizzazione più avanzate che unite anche a cambiamenti della linea vocale ed alla sostituzione del preludio orchestrale rendono la scena più accattivante e di grande presa teatrale. Si amplia la parte di Paolo Albiani anche grazie all’evidenza scenica data all’avvelenamento e all’introduzione di un potente declamato all’inizio del terzo atto enunciato dal personaggio dopo il suo arresto.
Ne esce una figura più completa, giudicata da molti un prototipo delle Jago di qualche anno dopo che dona al personaggio spessore vocale e teatrale togliendogli le caratteristiche di mero comprimario (anche se di lusso) della versione 1857. Al secondo e terzo atto è dedicata una maggiore ‘continuità’ espressiva grazie all’adozione della chiusa musicale del secondo atto anche per l’incipit del terzo. Due momenti dell’opera che sono così più omogenei e esaltano quel progressivo ‘spegnersi’ della vita di Boccanegra che già nella prima versione era magistralmente realizzata.
Il nuovo Simon Boccanegra, rappresentato alla Scala il 24 marzo 1881, ebbe enorme successo.
Se doveva essere una prova generale della collaborazione Verdi-Boito gli esiti furono senza dubbio fausti. L’opera aveva così una struttura teatrale e drammaturgica più solida che la proiettava ai vertici della produzione operistica italiana. A tale successo contribuirono anche due importanti cantanti di allora, il baritono Victor Maurel (Simone) e il tenore Francesco Tamagno (Adorno) che nel 1887 contribuirono ad un altro grande successo: Otello.
Come di consueto chiudiamo il nostro articolo con alcuni esempi musicali, a nostro giudizio il metodo migliore per comprendere i valori della musica
Iniziamo proponendo l’ascolto del preludio dell’edizione 1857 confrontato con quello dell’edizione definitiva del 1881 molto significativa per comprendere i contenuti della revisione.
Nel 1857 Verdi costruisce un preludio che utilizza temi che poi si sentiranno nel corso dell’opera. E’ un procedimento spesso adottato nella prima metà dell’800 e oltre che aveva lo scopo di introdurre l’ascoltatore ai temi che poi saranno esplicitati nel corso della rappresentazione.
Audio 1
Verdi – Simon Boccanegra – Preludio (Edizione 1857)
Orchestra Sinfonica di Milano. Direttore Riccardo Chally
(Edizione Decca)
https://www.youtube.com/watch?v=nAK40U2GfpI
Il preludio scritto per la versione riveduta del 1881 possiede delle caratteristiche opposte a quelle della prima versione. Qui è brevissimo ma particolarmente incisivo nell’introdurre l’ascoltatore nel clima del dramma. Senza soluzione di continuità si collega ai primi interventi dei personaggi facendo immaginare allo spettatore di essere entrato con rapidità nel mezzo di un discorso già iniziato sestandone immediatamente l’interesse.
Audio 2
Verdi – Simon Boccanegra – Preludio Edizione 1881
Orchestra e del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini
(Edizione Naxos)
https://www.youtube.com/watch?v=GZpjIJVg8Q8&list=OLAK5uy_nC15BhS2K6vDccig3CVJQFN7vnjvOiT1E&index=1
Seconda scena del I atto (Inizio)
E’ ambientata nella Sala del Consiglio degli Abati è aperta dalle parole di Boccanegra che propone con tono autoritario e perentorio di approvare i doni del Re dei Tartari e la richiesta di alleanza. Poi c’è la proposta della lettera del Petrarca che susciterà i dissensi tra i consiglieri.
Audio 3
Verdi, Simon Boccanegra – Edizione 1881
Atto I – Seconda Scena (inizio)
Tito Gobbi (Simone), Walter Monachesi (Paolo)
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini
(Edizione Naxos)
https://www.youtube.com/watch?v=NJozBtl0BH0&list=OLAK5uy_nC15BhS2K6vDccig3CVJQFN7vnjvOiT1E&index=23
Seconda scena del I atto (fine)
Simone dopo aver perodnato Adorno per il tentativo di ucciderlo, chiama Paolo Albiani accompagnato da una musica grandiosa che sottolinea la magnificenza del doge e la solennità del momento. La drammticità del momento è sottolineata dalle scarne e gravi note del clarinetto basso. Simone parla con veemenza e Paolo non può sottrarsi all’auto maledizione. La maledizione è reiterata anche da tutti in convenuti della sala sottolineata da una esplosione dell’orchestra. Tutti sono colpiti dal particolare momento, divengono quasi increduli replicando la meladezione con un ‘susurrato’ generale. Un’altra esplosione orchestrale, ancora più incisiva della precedente, suggella questo meraviglioso momento, uno dei più elettrizzanti di tutta la storia del teatro lirico.
Audio 4
Verdi Simon Boccanegra – Edizione 1881
Atto I – Seconda Scena (finale)
Tito Gobbi (Simone), Walter Monachesi (Paolo), Victoria de los Ángels (Amelia)
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini
(Edizione Naxos)
https://www.youtube.com/watch?v=c49WuoQGROQ&list=OLAK5uy_nC15BhS2K6vDccig3CVJQFN7vnjvOiT1E&index=27
Finale Atto III e finale dell’opera
Siamo alla fine dell’opera. La scena è toccante perché Simon Boccanegra si sta progressivamente spegnendo per gli effetti del veleno propinato da Paolo Albiani. Prima di morire nomina Gabriele Adorno suo successore. Fiesco annuncia la morte del Doge al popolo. Sulla scena tutti piombano nella commozione.
Verdi Simon Boccanegra – Edizione 1881
Atto III – Finale dell’opera
Tito Gobbi (Simone), Boris Christoff (Fiesco)
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma. Direttore Gabriele Santini
(Edizione Naxos)
https://www.youtube.com/watch?v=4Ir0lRskw6A&list=OLAK5uy_nC15BhS2K6vDccig3CVJQFN7vnjvOiT1E&index=49
Claudio LISTANTI Roma 10 magigo 2020