di Sabatina NAPOLITANO
Angelo Visconti è stato un pittore di origini senesi che ha vissuto solo per trentadue anni (Siena, 1829 – Roma, 1861).
Nacque da papà Francesco, che era medico, e da Maddalena Donatelli. Dopo aver frequentato il collegio Tolomei, studiò all’Accademia di Belle Arti di Siena dall’età di tredici anni, e fu allievo di Luigi Mussini. Amato dal suo maestro (che in seguito divenne direttore dell’istituto) a ventiquattro anni vinse il concorso triennale dell’istituto con “Raffaello presentato da Bramante a Giulio II”. Due anni dopo si aggiudicò una borsa di studio assegnata dalla Società esecutori di pie disposizioni di Siena, l’Alunnato Biringucci, che permetteva di trascorrere quattro anni a Roma e sei mesi in giro per l’Europa. Vinse l’Alunnato grazie alla sua opera che rappresentava Cosimo II nell’uscire dal suo palazzo mentre riconosceva il frate che lo salvò dal pericolo di annegare quand’era giovinetto a Venezia.
Prima di partire per Roma restò per qualche tempo a Siena e Firenze, passò poi per Arezzo, Perugia e Assisi. A Siena dipinse S. Luigi Gonzaga penitente per la chiesa di S. Maria del Soccorso a Livorno. A ventinove anni si trovava a Roma insieme all’amico pittore Amos Cassioli, che viveva grazie a un pensionato vinto da un concorso indetto dal Granduca di Toscana: mentre Cassioli vinse con l’opera “La battaglia di Legnano”, Visconti arrivò secondo con “Mario contro i Cimbri”. I due abitavano insieme a palazzo Firenze in Campo Marzio. Visconti morì annegato nel Tevere lasciando incompiute opere dal grande valore [1].
Nei primi venti anni dell’Ottocento l’Istituto di Belle Arti di Siena si poneva come autorevole centro dove trovare artisti di talento e tecnica. A Colignon -che privilegiava il disegno-, successe il direttore Francesco Nenci, che a Siena realizzò restauri e interventi secondo una estetica purista [2]. Nenci era anche sensibile alle influenze di Ingres e dei Nazareni ed era attento a ciò che accadeva a Roma. Introdusse i Concorsi triennali, che per la prima classe prevedevano il dipinto a olio di invenzione su un tema letterario: una occasione di fermento, di invettiva per gli studenti ma anche un buon modo per valutarne il talento.
Nella seconda metà dell’Ottocento Luigi Mussini prese il posto di Nenci, che abbracciava gli ideali puristi contro quelli del realismo. Il clima che aveva creato in istituto era quello delle botteghe rinascimentali, sempre disponibile e aperto al confronto con gli studenti. Luigi Mussini era un grande ammiratore di Ingres, e risentiva dell’eco di Raffaello, dei Nazareni e di Ramboux. Il fatto che Visconti si rifacesse a Raffaello non è solo testimoniato dall’opera di Bramante che presenta Raffaello al papa Giulio II, ma anche dalla copia del Ritratto del cardinale Marcello Cerrini degli Spannocchi. Nella prima opera, un giovane Raffaello sta sulla sinistra timidissimo, tenuto per la mano sinistra da Bramante mentre lo presenta al papa Giulio II.
Per quale motivo Visconti avrà scelto questo tema? È risaputo che la presentazione di Raffaello a Roma è un tema ricorrente nella storia dell’arte, si sono dilettati tra gli altri Ignazio Affanni, Emile Jean Horace Vernet, Johannes Christian Riepenhausen. Forse era fervido in Visconti il desiderio di andare a Roma di seguire in un qualche modo le orme di Raffaello (anche egli morto a soli trentasette anni). Sta di fatto che i personaggi di Visconti sono naturali, le loro espressioni vive rendono dinamica la scena e così lo sguardo sommesso e umile del genio di Raffaello. La scena non è idealizzata né tragica, il profilo affusolato e servizievole dell’artista d’Urbino richiama la familiarità di papa Giulio II anziano ma accorto.
Con la ritrattistica si può intuire molto di un artista. Durante il soggiorno romano Visconti dipinse diversi ritratti di donna come Ritratto muliebre (Fig. 2) le due Ciociarelle (Figg. 3 – 4) e la Ciociara vecchia. Le donne somigliavano alle figure raffaellesche. Nel Ritratto muliebre Visconti immortala una giovane donna di profilo con guardo assorto in alto. È una donna che non ci guarda, né vuole assumere una posa elevata, sembra piuttosto prona ad ascoltare qualcuno che sta parlando. Non è spensierata ma sicuramente assorta; come sempre in Visconti è evidente l’attenzione ai chiaroscuri così come le pieghe delle vesti che non servono a dare pomposità ma a slanciare in alto lo sguardo. Una figura graziosa e sommessa, come connessa all’attenzione di un argomento interessante.
Le due Ciocarelle di Visconti sono ragazze umili ma dignitose. Una è posta di fronte al pubblico ma guarda a terra con aria pia e vagamente abbandonata. Il collo impreziosito di una collana con delle pietre nere e arancio scuro. Un velo bianco le copre la testa e il risvolto rosso le cade morbidamente sul braccio sinistro. L’altra Ciociarella è di sbieco, con la parte bassa del ritratto meno definita, a differenza delle altre due questa sembra visibilmente avere come una espressione stanca.
Qui c’è uno sfondo, si intravede infatti all’orizzonte una linea di demarcazione, una terra che non è definita da altri dettagli. La Ciociara con la mano sinistra stringe l’altro braccio un po’ sopra il polso, sempre con abbandono, come senza potenza. In questi tre ritratti Visconti restituisce alla storia una visione del mondo popolare romano della metà dell’Ottocento fatto di donne dignitose e umili, al servizio e riflessive, silenziose, garbate e affaticate dal lavoro ma non per questo rozze, volgari e insensibili. L’alone di purezza era in linea con gli insegnamenti di Mussini e con l’atmosfera senese che il pittore aveva fino a quel tempo assorbito e respirato. Successivamente al mito della popolana innocente subentrò quello del profilo della statua greca, così come nelle opere di Feuerbach.
La Strage degli innocenti di Visconti è una opera profonda e tumultuosa, a differenza di quelle che fino ad ora abbiamo esaminato.
Segno dei contrasti interiori che il giovane viveva e di un distacco dalla lezione del maestro tanto amato. In basso a destra il volto di una donna piegata che si regge appena, come in corsa, che trattiene un neonato tra le braccia mentre cerca di difenderlo da un soldato armato sulla sinistra che la rincorre per uccidere il figlio con quello che sembra un pugnale affilato. L’uomo riesce a trattenere il neonato per una gamba e la donna assume una posa tragica con gli occhi spalancati e il segno di un urlo di dolore e paura insieme.
La tela non fu completata da Visconti per la sua morte prematura, ma l’idealizzazione richiese diverse modifiche e ripensamenti nel pittore a giudicare dai bozzetti e disegni preparatori. Anche in questo caso, come per Bramante presenta Raffaello al papa Giulio II, il tema dell’opera è stato a lungo motivo d’ispirazione di molti pittori a partire da Duccio di Buoninsegna, Giotto, Gentile da Fabriano, Ghirlandaio, fino a Paracca, Bruegel, Van Haarlem, Guido Reni, Rubens, Picasso, Bacon, Henri Cueco, Buraglio, Lupertz, Zonder, Corpet e numerosi altri nomi importanti fino ad oggi. Se quindi il tema è tradizionale, il modo in cui Visconti l’ha letto e combinato è sì originale ma anche forte della sua diversità di espressione e di una maturità tale da poter tramandare una lettura solenne e personalissima.
Il Bagnante di Visconti ritrae un uomo piegato sulla coscia sinistra appoggiato ad una pietra.
Alle spalle del nudo, sulla sinistra, l’uscita di un anfratto, come di una grotta. Non sappiamo Visconti chi volesse raffigurare nell’opera, se un santo eremita come san Girolamo o san Giovanni, purtroppo l’artista morì prima di poter delineare un soggetto conosciuto. In questa opera è possibile sottolineare l’influenza di Michelangelo che Visconti ebbe modo di apprezzare a Roma, ma anche di Poussin e, come sempre, di Raffaello, oltre ai pittori manieristi della Galleria Borghese, e perfino a Caravaggio. Questo nudo – eroe di Visconti, probabilmente un santo che non sappiamo identificare, resta un protagonista reale e sconosciuto insieme, letterario e tragico, segno di quello che può significare la vita: disegnare un uomo senza poter dare identità, e lasciarlo nel mistero della sua individualità.
Il cattivo Levita di Visconti è un sacerdote, un levita appunto, che trascurò la carità verso gli altri.
Potrebbe anche darsi che Visconti veda in quel levita di spalle l’abbandono a una ostentazione del sentimentalismo romantico per abbracciare gli ideali estetici di Mussini. Il cattivo levita va austero come fiero di omettere il bene, mentre il ferito è dilaniato, lasciato a terra, abbandonato nella sofferenza. All’indifferenza del sacerdote è contrapposto il dolore dell’uomo, che quasi sembra tentare di rialzarsi pur non riuscendoci affatto.
Le opere di Angelo Visconti, morto troppo giovane, esprimono un valore poetico e identitario che non è possibile approfondire data la sua morte prematura. Hanno un carattere letterario oltre che storico e drammatico in dei casi. L’intensità, così la drammaticità e profezia che emanano le sue tele non lasciano lo spettatore distratto, ma trasmettono un senso di incanto, di malinconia e fatalità legato alla fama di questo pittore, che purtroppo sembra quasi dimenticato.
Sabatina NAPOLITANO Asciano (SI) 7 Maggio 2023
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