di Nica FIORI
I visitatori che si recano nella grande basilica di San Paolo fuori le Mura si soffermano non di rado a osservare con curiosità la singolare acquasantiera collocata nel transetto destro, vicino all’uscita per la sacrestia e il chiostro, che sembra alludere all’avversione del diavolo per l’acquasanta. Realizzata da Pietro Galli nel 1860 per Laura Leroux duchessa di Bauffremont, è stata da questa donata a Pio IX, il cui stemma papale domina il grande catino sorretto da un’elegante colonnina. Alla base è collocato un gruppo scultoreo in marmo raffigurante Satana, con tanto di corna, coda e ali di pipistrello, che appare prostrato nell’atto di coprirsi il volto con un braccio, mentre un bambino, da lui insidiato, lo allontana toccando con la mano l’acqua benedetta.
Non c’è da stupirsi per questa scelta iconografica, perché nel passato la devozione del romano, sia che fosse un popolano della Suburra, un facchino di Ripa o un esponente di un casato principesco, non era molto lontana dalla superstizione e vedeva nell’acqua santa non tanto un simbolo di purificazione, quanto un mezzo per allontanare il Maligno.
L’usanza di benedire l’acqua si fa risalire ai primi secoli del Cristianesimo, mentre l’uso di collocarla all’ingresso delle chiese, affinché i fedeli entrandovi potessero meglio prepararsi a pregare per la purificazione dei loro peccati, non dovrebbe essere anteriore al X secolo, essendo presumibilmente posteriore all’introduzione del rito solenne dell’aspersione domenicale. Nasce infatti dall’esigenza di dar modo a coloro che non avevano potuto assistere al rito domenicale, di segnarsi con l’acqua benedetta e di prenderne un poco per le loro private devozioni. Varie sono le forme delle acquasantiere nel succedersi dei secoli, ma in generale mantengono una linea molto semplice che riduce al minimo le caratteristiche dello stile. Solo nelle chiese maggiori assumono talora forme monumentali e artistiche. Lo schema iniziale della conca o vasca, sorretta da un tronco e fissata stabilmente al suolo, che ricalca la struttura dei fonti battesimali, tende in età barocca a cambiare addossandosi generalmente alle pareti e divenendo elemento scenografico accentuato dalla varietà dei materiali usati.
Molto spesso il catino assume la forma di conchiglia, già simbolo di vita nel paganesimo e utilizzata nel cristianesimo come allusione alla futura rinascita dell’uomo. Come non ricordare a questo proposito la conchiglia di San Giacomo? Era considerata l’attributo più importante del santo, tanto che i pellegrini, che nel Medioevo andavano al santuario spagnolo di Santiago di Compostela, erano soliti bere per purificarsi dei loro peccati l’acqua di una fonte attingendola con una conchiglia raccolta sulle spiagge galiziane: conchiglia che nel tempo, cucita sul mantello o sul cappello, divenne una sorta di certificazione dell’avvenuto pellegrinaggio, così da ottenere l’esenzione dal pagamento dei pedaggi lungo il viaggio di ritorno.
Limitando il nostro discorso alle chiese di Roma, e in particolare a un loro eventuale rapporto con il diavolo, è indubbio che l’aneddotica romana sia ricca di leggende che hanno a che fare con Satana e altri demoni, spesso in forma di immondi animali, sempre pronti a torturare i fedeli (soprattutto se santi e mistici), che ricorrevano alle preghiere e all’acqua santa per debellarli. Un episodio che si ricorda è quello relativo alla chiesa di Sant’Agata dei Goti alla Suburra, fondata nel V secolo ma rifatta tra il Cinquecento e il Seicento conservando lo schema originario (l’ingresso principale è in via Mazzarino, 16; un altro ingresso è in via Panisperna).
Pare che in questa chiesa il diavolo avesse preso dimora quando l’edificio venne consacrato all’eresia ariana, professata dai Goti. San Gregorio Magno, dopo aver debellato l’eresia, destinò nuovamente la chiesa al culto romano nel 593, ma Satana non voleva sloggiare. Allora il santo papa si fece rinchiudere nella chiesa e vi restò in preghiera, finché non vide correre tra le navate un maiale inferocito. Gregorio lo inseguì, cercando di aspergerlo di acqua benedetta, ma solo dopo tre notti di urla terrificanti la bestia immonda fu vinta e la chiesa ritrovò la pace. Ne parla lo stesso Gregorio nei suoi Dialoghi (in latino Dialogorum libri IV, composti tra il 593 e il 594). Da allora in poi spesso il diavolo nell’immaginario popolare si identificò con l’immondo animale, tanto da dare presumibilmente origine all’espressione “porco diavolo”; significativo a questo proposito è l’episodio della nascita nel 1653 di un bambino con fattezze animalesche, riportato da Giacinto Gigli nel suo Diario Romano:
“Una donna in Borgo partorì una creatura morta, la quale pareva un porco con la testa di demonio con le corna, et li occhi in fuora grossi come ova brutto et spaventoso. Il marito di quella donna, havendo ciò visto, se ne fuggì via, forse temendo di esser castigato, perché era tristo, et molte volte haveva detto’ alla moglie mentre era gravida: quando partorirai questo diavolo? ”.
Evidentemente nella città sacra non nascevano solo bambini, ma anche presunti demoni, che i preti rifiutavano di battezzare. Il diavolo poteva assumere molte forme animali (tra le quali ricordiamo il caprone, il gatto, la rana, lo scorpione, il serpente, e perfino il cane, da sempre legato al mondo sotterraneo), talvolta anche piccolissime.
Lo stesso Gregorio, sempre nei Dialoghi, riferisce la storia di un’umile serva che dopo aver mangiato un po’ di lattuga nell’orto di un convento, sentì di essere posseduta da un demonio. Fu chiamato un esorcista per scacciare il diavolo e quello si scusò dicendo che se ne stava placidamente sul cespo della lattuga quando la giovane lo aveva inghiottito. Se i santi erano in grado di scacciare il diavolo con gli esorcismi e l’acqua santa, per la gente del popolo esso era una presenza che nessun espediente devozionale riusciva a ricacciare nel suo luogo tenebroso. Era una presenza che le anime a volte sentivano dentro di loro e che le angariava con mille tormenti angoscianti.
Un’altra chiesa romana che è stata oggetto delle attenzioni di Satana è la basilica paleocristiana di Santa Sabina sull’Aventino, che conserva molti ricordi di san Domenico di Guzman, tra cui anche il primo arancio piantato a Roma, che secondo la tradizione egli avrebbe portato dal Portogallo (è visibile da una finestrella circolare dell’atrio, ma non è certo quello originario).
In fondo alla navata centrale una piccola colonna segna il luogo in cui il santo spagnolo, durante il suo soggiorno romano del 1222, era solito passare le notti pregando. Su di essa è collocata una pietra di basalto nero (detta Lapis Diaboli, ovvero Pietra del Diavolo), probabilmente un peso di bilancia. Secondo quanto si tramanda, il diavolo inferocito l’avrebbe scagliata contro il santo, ma sbagliò il tiro e colpì al suo posto una lapide marmorea, che porta evidenti segni di una rottura. Dalle poche notizie in nostro possesso, in questo caso viene fuori una figura demoniaca senza alcuna astuzia o lusinga, una forza bruta che cerca di far del male, ma che viene sconfitta dalla santità del luogo, o dalla persona con cui ha a che fare, in questo caso l’importantissimo santo che verso il 1215 aveva fondato l’Ordine dei Domenicani (Padri Predicatori), che nelle sue intenzioni doveva abbinare gli esercizi della contemplazione con quelli della carità e soprattutto con la predicazione della parola divina.
Nel refettorio del monastero delle Oblate di Tor de’ Specchi, dove visse negli ultimi anni della sua vita santa Francesca Romana (1384-1440, nata de Bussis e coniugata Ponziani), un anonimo pittore quattrocentesco ha raffigurato in affreschi monocromi lo sconcertante rapporto della santa con Satana. A Francesca Romana sono stati attribuiti in vita moltissimi miracoli, come aver risanato moribondi, fatto parlare una muta e resuscitato una neonata; si dice pure che passasse ore e ore in preghiera cadendo in estasi e che possedesse il dono della dislocazione, cioè di apparire in più luoghi contemporaneamente. Doveva trattarsi quindi di una vera mistica e, in quanto tale, il diavolo inferocito la prese di mira.
Nella Biografia della beata Francesca de’ Ponziani, scritta in romanesco dal suo confessore Giovanni Mattiotti, si racconta infatti che il diavolo le apparve ben quaranta volte, torturandola con sempre maggiore ferocia. Legioni di demoni lo accompagnavano, con l’aspetto di laidi animali, e le lasciavano addosso lividi e orrende ferite. Ma accanto alla santa si materializzò a un certo punto il suo angelo custode e Satana fu costretto alla resa. Vale assolutamente la pena di ammirare questi dipinti che sono la più spettacolare documentazione romana delle torture diaboliche e delle trasformazioni sataniche. Nella Cappella del Coro del XVII secolo, l’affresco del catino absidale ci offre pure la visione del demonio, stavolta sconfitto da San Michele con le sue schiere angeliche.
Anche la chiesa del Santissimo Nome di Gesù, comunemente detta del Gesù (costruita tra il 1568 e il 1580), avrebbe avuto la visita del diavolo, secondo una leggenda riportata da Stendhal nelle sue Passeggiate romane:
“A cagione dell’altezza del colle Capitolino e della disposizione delle strade, di solito tira gran vento nei pressi della chiesa dei gesuiti. Racconta il popolo che un giorno il diavolo passeggiava per Roma in compagnia del vento; giunti vicino alla chiesa del Gesù, il diavolo disse al vento: Aspettami qui, ho da fare qualcosa là dentro. Da allora il diavolo non è più uscito, e il vento è ancora alla porta ad aspettarlo”.
C’è da credere che il demonio, entrando in chiesa, sia rimasto affascinato dalla ricchezza dei suoi dipinti (ricordiamo in particolare nella volta il grande affresco secentesco con l’Adorazione del nome di Gesù di Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccio), dei suoi stucchi, delle sue fastose decorazioni e dalla straordinaria macchina barocca di Sant’Ignazio di Loyola (collocata nell’omonimo altare disegnato da Andrea Pozzo), tanto da non voler più uscire, e forse Stendhal, nel raccontare questa leggenda, voleva evidenziare le capacità persuasive dei Gesuiti, in grado di convertire anche il Maligno. La storiella, però, potrebbe anche essere vista come un tentativo di denigrare la potente Compagnia di Gesù, talmente corrotta da riuscire a trattenere tra le sue fila di proseliti addirittura il Diavolo.
Un’altra versione della leggenda racconta che Lucifero, vedendo la chiesa del Gesù, si ingelosì terribilmente e, con l’intento di distruggerla, vi arrivò di notte su un carro demoniaco trainato dal Vento. In realtà sarebbe rimasto così affascinato dalla bellezza ivi profusa, da non accorgersi dell’arrivo dell’Alba e, pertanto, nella fretta di abbandonare il luogo, si sarebbe allontanato precipitosamente, lasciando da solo il Vento, che ancora attende il suo ritorno.
Nel centro storico di Roma, in piazza della Rotonda, s’innalza il Pantheon, lo spettacolare tempio dedicato a tutte le divinità, eretto nel 27-25 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa (luogotenente, amico e poi genero di Augusto), rifatto sotto l’imperatore Adriano e poi convertito in basilica cristiana nel IV secolo con il nome di Santa Maria ad Martyres, cosa che gli ha consentito di conservarsi quasi integralmente fino ad oggi.
Tra le tante curiose leggende che si raccontano su questo edificio, almeno due volte vi compare il demonio. Secondo una storiella medievale, la caratteristica apertura in cima alla cupola (oculus) sarebbe stata provocata da un grosso diavolo che, tentando la fuga dal luogo sacro, fece saltare a colpi di corna la grossa pigna dorata che chiudeva il foro dell’antico tempio. La pigna sarebbe poi precipitata sulla piazza dietro al Pantheon, che per via di questo evento prese il nome di piazza della Pigna.
Un’altra storia racconta le gesta del mago Pietro Baiardo (o Baillardo), un personaggio di fantasia che avrebbe fatto un patto col diavolo barattando l’anima in cambio del Libro del Comando, ambìto manuale di arti malefiche. Quando era abbastanza avanti con gli anni, il mago si trovò a rimpiangere quell’accordo e tentò si sfuggire a Satana. Tramite un potente incantesimo riuscì a volare da Gerusalemme a Roma in un solo giorno e decise di rifugiarsi nel Pantheon dove, però, trovò proprio il diavolo che lo attendeva. A quel punto Baiardo pensò di distrarlo offrendogli un pugno di noci (pare che il diavolo ne andasse matto) e al momento opportuno si barricò nelle mura del tempio sfuggendo così al maligno. Il diavolo, non appena si accorse della beffa subita, andò su tutte le furie e cominciò a girare impetuosamente intorno al tempio dando così origine all’odierno fossato che circonda il Pantheon.
Tutte queste leggende, per quanto abbastanza buffe, rientrano in quella letteratura di misteri vari che hanno caratterizzato fin dalle origini la città eterna, capitale di un immenso impero prima e del papato poi. Gran parte del suo fascino è dovuto proprio al fatto che il cristianesimo si è inserito in un substrato di misteri pagani magico-religiosi dando luogo a un singolare sincretismo. Non è un caso che nelle chiese e basiliche romane, come pure nelle feste religiose, si trovino le testimonianze di culti più antichi, che la Chiesa ha cercato di esorcizzare, trasformandoli con un diverso significato spirituale. Lo stesso diavolo può essere visto come erede di antiche divinità caratterizzate dalla presenza di attributi ferini, quali Pan o Fauno, e pertanto è stato raffigurato come un essere bestiale e nelle leggende appare tutt’altro che intelligente, tanto che c’è sempre qualcuno che riesce a farsi beffe di lui.
Nica FIORI Roma 28 Luglio 2024