di Franco LUCCICHENTI
Collezionismo: psicopatologia o passione?
Comprare un’ opera d’arte è apparentemente una azione priva di senso. Rispetto alla cifra pagata, a volte considerevole, sembra servire solo a limitare il vuoto di una parete. La materia che la compone non è di per sè preziosa (tela, marmo, bronzo…). Abbellisce l’ambiente solo se gli diamo un SIGNIFICATO estetico o simbolico. Comprando numerose opere d’arte si diventa collezionisti. Il collezionista illuminato vive una curiosa forma di sacerdozio laico che lo apre ad abitare luoghi che custodiscono bellezza e arcano INCANTAMENTO (fig. 1).
La sua liturgia è esplorare il mondo delle aste, dei mercanti d’arte, del CASO, custodire, tramandare, procurandosi così anche rispettabilità culturale e ammirazione. Il mercato dell’arte sfida ogni strategia commerciale conosciuta. Il rito dell’acquisizione (fig. 2) è spesso celebrato da ingenui CREDENTI: la verità è che comprare arte funziona solo se ti basta possedere un frammento di bellezza.
Ho letto da qualche parte che Freud sosteneva che il collezionismo è una forma di voyerismo feticista. Dunque l’oggetto d’arte è un FETICCIO (fig. 3) arcano e incantatore. Conosco qualche collezionista veramente FISSATO col quale, dopo pochi minuti di conversazione, si va a discutere SOLO della SUA raccolta,del suo occhio infallibile e del vero plus-valore economico della SUA collezione. Finanza e bellezza si miscelano magicamente. La componente materiale delle passioni emerge sempre anche dagli oggetti simbolici.
Mario Praz (fig. 4) nel suo “La Casa della Vita” spiega che nelle persone non si può fare affidamento, le COSE non tradiscono mai.
La raccolta d’arte è un rito propiziatorio che, in un mondo dominato dall’incertezza imprime, con gli oggetti che ne fanno parte, una appartenenza al tempo passato e presente che condivide con chi la possiede e con chi la osserva.
Franco LUCCICHENTI Roma, 21 Maggio 23