di Claudio LISTANTI
Un notevole e confortante successo di pubblico ha salutato la seconda edizione del festival SacroInCanto, la manifestazione organizzata dall’Associazione In Canto con la finalità di proporre, nel territorio ternano, grandi capolavori provenienti dal vasto repertorio della cosiddetta ‘Musica Sacra’ eseguiti all’interno di preziosi luoghi storici che risultano cornici ideali per fondersi idealmente con la musica ed emozionare gli spettatori regalando al ‘Tempo di Pasqua’ quell’impronta mistica e contemplativa che lo caratterizza.
L’Associazione In Canto, presieduta da Carlo Podestà e diretta per la parte artistica da Fabio Maestri, ha posto in essere questa iniziativa per la Pasqua dello scorso anno, all’epoca piena di incognite e, quindi, coraggiosa, in quanto si usciva dalla pandemia che con tutti i suoi effetti collaterali non consentiva la previsione di una ripresa duratura. La nuova proposta ebbe un lusinghiero successo di pubblico confortata anche da una rinascita di molte attività sociali e culturali favorendo così la programmazione di questa seconda edizione che ne ha consolidato l’impianto di base rivolto alla valorizzazione della vita culturale di Terni e del suo territorio circostante.
Il festival SacroInCanto 2023 ha seguito il solco tracciato lo scorso anno prevendo tre concerti in altrettanti “luoghi dell’arte” presenti nel non molto esteso territorio ternano, la Collegiata di Santa Maria Maggiore a Collescipoli, la Chiesa di San Francesco a Terni e l’Abbazia di San Nicolò a San Gemini. Sono tre luoghi di non larga conoscenza dal punto di vista turistico ma ognuno di essi possiede quel fascino necessario ad esaltare i contenuti mistici presenti nelle composizioni sacre scelte per la rassegna. Abbiamo avuto l’opportunità di assistere a tutti e tre i concerti, tutti di grande interesse ed è quindi indispensabile riferire per intero.
Nella Collegiata di Santa Maria Maggiore a Collescipoli due capolavori contemporanei.
Il 25 marzo la collegiata di Santa Maria Maggiore a Collescipoli ha ospitato il concerto di apertura. Frequentemente chiusa al pubblico, il concerto di questa sera è stata una buona occasione per ammirare la sua struttura architettonica che nel corso dei secoli ha conosciuto diverse vicissitudini. La costruzione originaria, di stile romanico, risale al pontificato di Innocenzo III che occupò il periodo 1198-1216. Ma nel periodo compreso tra il XVI e XVII secolo la Collegiata fu completamente ricostruita per poi essere rinnovata intorno al 1730. L’appellativo di “Maggiore” è dovuto per distinguerla dalle numerose altre chiese che nella zona sono state dedicate a Maria Vergine.
La facciata esterna mette in bella mostra un magnifico portale cinquecentesco attribuito a Rocco di Tommaso da Vicenza che incastona un portone ligneo realizzato nel XVIII secolo. Curiosa è l’ubicazione del campanile, risalente al 1539 che sovrasta l’arco dai caratteri semplici di Porta Sabina, è ornato da merletti, guglie, bifore a sesto acuto ed una cuspide alla sommità che gli regalano decisi caratteri gotici.
L’interno mette in evidenza il passare dei tempi con diverse pitture appartenenti a diverse epoche. Tra queste due opere attribuite al Pomarancio, la Flagellazione di Cristo e la Madonna del Rosario e alcuni frammenti della decorazione pittorica quattrocentesca ai quali si abbinano diversi ed eleganti stucchi dei fratelli Grimani. Notevoli nell’abside alcuni dipinti di Tommaso Cardani di fine ‘600, l’Assunzione della Vergine con ai lati gli ovali rappresentanti la Natività e la Visitazione.
Per chi ama la musica, di grande rilievo è l’organo a sette registri risalente al 1678 opera del gesuita fiammingo Willelm Hermans restaurato alla fine dello scorso secolo ed utilizzato anche nei concerti nei quali è previsto l’utilizzo di questo strumento.
Il programma del concerto si inseriva bene all’interno di questa meravigliosa cornice. Tre composizioni di Mozart, il Preludio e fuga in re minore K404a n.1, il Preludio e fuga in fa maggiore K404a n.3, Preludio e fuga in mi bemolle maggiore K404a n.5, che il musicista salisburghese scrisse alternando musica propria a musica di Bach, nello specifico il BWV 853, BWV 853 e BWV 526, utilizzando un organico di tre strumentisti, violino, viola e basso, l’armatura sulla quale si è sviluppata l’ispirazione ‘sacra’ del concerto.
Infatti, accanto a queste tre composizioni la serata prevedeva due pezzi sacri. Il primo, il Miserere di Marcello Panni, recentissima composizione del musicista romano, qui eseguita in prima assoluta, e dedicata al direttore artistico Fabio Maestri con il quale ha collaborato spesso. Panni ha dato al brano quel necessario carattere evocativo con una efficace espressività di chi esprime il suo pentimento ed invoca la misericordia divina. Ha utilizzato l’organico strumentale comune a tutta la serata, violino viola e violoncello, con l’aggiunta del clavicembalo che ha regalato a questo nuovo pezzo una certa patina di antico. La parte vocale comprendeva la partecipazione di soprano, contralto e tenore ai quali il compositore ha destinato una linea di canto molto impegnativa ma lontana da certe intemperanze vocali, spesso oggi usate, che ha contribuito a dare all’insieme un apprezzabile, vista la circostanza, tono mistico.
L’altra composizione ‘sacra’ proposta era lo Stabat Mater di Arvo Pärt, datata 1985 la cui poetica è contrastante con il precedente Miserere, una composizione che arricchisce il vasto panorama di una tematica religiosa che è un po’ il manifesto della Pasqua con la quale si sono cimentanti nel corso dei secoli compositori di ogni estrazione e di ogni specializzazione. Pärt ha dato al suo lavoro la dimensione cameristica basata su tre strumenti e su tre interpreti vocali che, al pari del precedente Miserere, sono risultati ideali per fondersi con il luogo nel quale sono state eseguite e creare una sorta di filo rosso con il pubblico che ha visibilmente gradito la proposta. Esibisce una linea vocale più morbida ed orientata alla melodia, caratteristica preponderante delle composizioni del musicista estone che riesce ad attrarre e mettere a proprio agio l’ascoltatore.
Al concerto ha partecipato l’ensemble Il labirinto vocale composto da esperti cantanti come il soprano Patrizia Polia, il contralto Chiara Guglielmi e il tenore Carlo Putelli che hanno fornito una interpretazione del tutto coinvolgente. Per quanto riguarda le parti strumentali, oltre allo stesso Fabio Maestri che ha sostenuto la parte del clavicembalo nella composizione di Marcello Panni, c’erano David Simonacci violino, Lorenzo Rundo viola e Marco Simonacci violoncello. Il tutto sotto l’attenta direzione di Marco Attura.
Il pubblico presente nel piccolo gioiello architettonico di Collescipoli ha applaudito a lungo il concerto e tutti i suoi interpreti che hanno accontentato le numerose richieste di bis con la riproposta del Miserere di Panni.
La Petite Messe Solennelle di Rossini nella Chiesa di San Francesco a Terni.
Il secondo concerto di SacroInCanto si è svolto il primo giorno di aprile a Terni nella Chiesa di San Francesco.
La Chiesa di San Francesco, che fa oggi parte della Via di Francesco e del cammino dei protomartiri francescani, fu pesantemente danneggiata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale ma, nonostante gli evidenti interventi di recupero, nel complesso la si può ammirare ancora nella sua straordinaria veste architettonica lasciando scorgere elementi della costruzione originaria risalente al XIII secolo secondo il modello delle chiese francescane di Assisi a navata unica, ma nel corso degli anni ampliata dall’inserimento delle due navate laterali come appare chiaramente alla vista della facciata che, comunque, conserva l’originale semplicità completata dall’elegante campanile.
La struttura originaria ebbe diverse modifiche nel corso dei secoli, tra queste di notevole valore artistico e culturale è la cappella della famiglia Paradisi, a destra del presbiterio, con il Giudizio universale opera del pittore umbro Bartolomeo di Tommaso ( (Foligno, 1408 circa – pre 1454), che ha resistito alle devastazioni della guerra.
Una cornice architettonica, quindi, che riusciva a contenere quanto previsto per il concerto della serata, uno dei capolavori ‘sacri’ più importanti di tutti i tempi, La Petite Messe Solennelle di Gioachino Rossini.
È questa una delle più emblematiche opere musicali del compositore pesarese in quanto giunge al termine della sua carriera e nella quale si possono scorgere le premonizioni della fine. Scritta a Parigi nel 1863 segue quel gruppo di composizioni da camera conosciute come Péchés de vieillesse delle quali la Petite messe, pur non appartenendo a queste, per sua stessa ammissione, Rossini la ritenne l’ultimo di questi ‘peccati’.
Rossini nel titolo utilizza due termini, petite e solennelle, contrastanti tra loro, quasi un ossimoro, facendoci capire che la composizione è sicuramente ‘piccola’ ma di grandi dimensioni in quanto ‘solenne’. Vale a dire che possiede lo stampo ‘cameristico’ che ha caratterizzato la sua vecchia ma, allo stesso tempo, non abbandona i caratteri grandiosi che di consueto caratterizzano le messe per musica. Una sorta di ‘bivalenza’ espressiva che solo i grandi musicisti sanno realizzare e che si manifesta con forza proprio in questo grande capolavoro musicale. La messa fu concepita per due pianoforti ed armonium con le pari vocali affidate a quattro solisti (soprano, contralto, tenore e basso) e otto cantanti formanti il coro. La prima esecuzione fu in forma privata nel marzo del 1864 e i giudizi dei musicisti e musicologi rimasero entusiasti da quanto ascoltato.
Dopo l’Agnus Dei finale Rossini lasciò scritto sul manoscritto queste significative parole:
“Bon Dieu; la voilà terminée, cette pauvre petite messe. Est-ce bien de la musique sacrée que je viens de faire, ou bien de la sacrée musique? J’étais né pour l’opera buffa, tu le sais bien! Peu de science, un peu de coeur, tout est là. Sois donc béni et accorde-moi le Paradis”.
(Buon Dio, eccola terminata questa umile piccola Messa. È musica sacra (benedetta) quella che ho appena fatto, o è solo della sacra (benedetta) musica? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso).
Proprio queste parole, scritte in calce all’ultima composizione fanno pensare ad un congedo dalla vita terrena che si materializzò dopo poco, nel 1867. Rossini, nello stesso 1867, ne preparò anche una versione orchestrale mai eseguita all’epoca ma solo perché, a sua detta, volle impedire che nel futuro la composizione potesse essere orchestrata da altri musicisti.
La Petite Messe Solennelle è una partitura sorprendente che riesce a contenere elementi di tradizione e di modernità. Si possono riscontrare ispirazioni bachiane come nella fuga del ‘Cum Sancto Spiritu’ o all’interno del ‘Resurrexit’ così come l’afflato prettamente romantico presente nel “O Salutaris Hostia”. Elementi di modernità possono essere considerati l’uso dell’armonium strumento all’epoca da poco inventato assieme alla linea di canto del tutto asciutta e mancante di ‘atletismi’ che ne determina una ‘semplicità’ di base del tutto coerente con la sacralità del brano.
Purtroppo non è sempre possibile, vista anche la fama di cui gode questa composizione, eseguirla in un ambito ristretto che ne possa esaltare le doti ‘cameristiche’, senza utilizzare la versione per orchestra. Si adotta quindi la soluzione di conservare l’organico strumentale originale ed utilizzare un coro molto più ampio. Soluzione scelta anche qui a Terni eliminando la parte del secondo pianoforte che comunque ha consentito una buona resa sonora che ha superato le notorie difficoltà date dall’acustica delle chiese.
Giovanni Battista Rigon ha diretto con incisività tutta l’esecuzione mettendo a disposizione la sua provata esperienza nel repertorio rossiniano regalandoci una esecuzione attenta e coinvolgente, grazie anche alla prova della Corale Amerina diretta da Gabriele Catalucci e ad una compagnia di canto composta dal soprano Elisa Cenni e dal contralto Diana Bertini che hanno ben figurato nelle rispettive parti vocali che furono interpretate la prima volta dalle famose sorelle Marchisio, Barbara contralto e Carlotta soprano. Nelle parti maschili il tenore Roberto Jachini Virgili e il basso Federico Benetti.
Successo vibrante decretato dal foltissimo pubblico convenuto a San Francesco che ha dedicato lunghi e reiterati applausi a tutti gli interpreti.
Nel Convento di San Nicolò a San Gemini la sacralità della musica medioevale
Il 2 aprile il festival SacroInCanto ha avuto la sua conclusione a San Gemini presso il Convento di San Nicolò con un concerto interamente ispirato alla sacralità della musica medievale. È stato un concerto molto emozionante in quanto il connubio tra musica e arte è stato particolarmente intenso soprattutto per la particolarità del luogo prescelto la cui struttura architettonica ben si addice ad un programma di tale struttura.
La costruzione del Convento di San Nicolò risale all’XI secolo ed ebbe diversi rimaneggiamenti nel corso degli anni già a partire dalla metà del XII secolo che ne modificarono l’abside e la costruzione di una torre campanaria.
La facciata risulta alla vista piuttosto semplice nell’insieme. Di questa sezione la parte più importane è lo splendido portale architravato e sovrastato da una lunetta. Questo magnifico elemento fu però sradicato dalla sua sede nel 1936, operazione agevolata dai nulla osta e dalle autorizzazioni dell’allora stato fascista che ne permise il trasporto negli Stati Uniti a favore dell’antiquario americano Joseph Brummer. È tuttora conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York mentre sulla facciata originale è stato sostituito con una copia fedelissima opera dallo scultore Fernando Onori di Roma.
L’interno è a tre navate divise da colonne intramezzate da pilastri, con capitelli decorati, di diverso gusto e provenienza alcuni dei quali ricavati dalle rovine della vicina Carsulae. Le pareti in origine erano ornate di affreschi alcuni dei quali ancora visibili nel 1936. Oggi si può ammirare la sbiadita Madonna col Bambino in trono collocata nella parete absidale, risalente al 1295 ed opera di Ruggero da Todi che sopravvisse alla decadenza progressiva che ridusse tutto il complesso allo stato di rudere che, grazie all’intervento dell’allora proprietario Alberto Violati, nel 1965 fu recuperato e restituito al culto.
Oggi sono chiari i segni della decadenza che ha attraversato i secoli ma nell’insieme l’apprezzabile intervento di recupero che ne ha ripristinato l’agibilità ne ripropone i caratteri vicini all’originale.
Dentro questa splendida cornice è stata inserita una parte musicale del tutto affascinante. Il programma della serata, intitolato Ave Donna Chiara Stella. Laude francescane alla Madonna di Loreto per il tempo della peste, proponeva una serie di brani vocali e strumentali della tradizione francescana del centro Italia appartenente alla Marche, all’Abruzzo e, naturalmente, all’Umbria. Alla base del programma c’è un progetto di ricerca messo in atto dal musicologo da Francesco Zimei professore all’Università di Trento basato sullo studio e l’approfondimento del Corpus laudistico del manoscritto West. 84 della fine del XV secolo conservato presso la Columbia University di New York.
È questa un’importante fonte per approfondire i contenuti dei repertori vocali e strumentali della tradizione francescana. Si tratta di una sorta di quaderno di appunti da considerarsi testo unico e fondamentale per comprendere il contenuto delle attività religiose, usato molto probabilmente da che chi era impegnato nella predicazione, una sorta di ‘vademecum’ da utilizzare nelle prediche e nelle processioni. È un corpus laudistico sostanzioso che riesce a fare chiarezza sulle tradizioni che all’epoca si tramandavano oralmente, fornendoci una chiave di lettura più esaustiva. In questo testo, oltre ai testi utilizzati, sono riportati anche dati di carattere musicale contenente la notazione dei canti intonati dai predicatori per coinvolgere i fedeli che, a loro volta, spesso intervenivano durante le funzioni in modo responsoriale. Ciò è dimostrato dal fatto che gli elementi musicali contenuti sono tutti a due voci rendendo questo testo essenziale per comprendere quel periodo storico. Sono interventi musicali, a volte anche veri e propri accenni, ma semplici e adattabili anche a testi diversi, facili da cantare per coinvolgere i fedeli che seguivano le varie funzioni o processioni e stimolare i loro sentimenti devozionali.
Il musicologo Francesco Zimei ha predisposto quindi un’ampia serie di questi canti raggruppati in modo organico per essere eseguiti di fronte al pubblico di oggi, utilizzando due voci ed una serie di strumenti medievali. Per l’esecuzione, che si può considerare a tutti gli effetti una prima assoluta, Zimei ha avuto la collaborazione dell’Ensemble Micrologus una formazione specialista, per di più fiorita proprio qui in Umbria, per la musica di questo periodo, che si è resa disponibile al progetto anche con la produzione di una incisione discografica, risultando protagonista di una esecuzione accurata e coinvolgente.
Nell’occasione era formata da Patrizia Bovi canto e tromba medioevale, Goffredo Degli Esposti organo positivo e cornamusa, Gabriele Russo viola e tromba medioevale, Enea Sorini canto e naccaroni, Federica Bocchini canto e cimbali e Lorenzo Lolli canto, organo positivo e tamburello.
Il pubblico che gremiva i suggestivi spazi della Chiesa di San Nicolò ne è visibilmente rimasto estasiato per la straordinaria bellezza dell’insieme frutto di una straordinaria fusione tra esecutori, tutti di ottimo livello, e il luogo, per una serata che ci ha regalato suggestioni e emozioni che raramente si provano.
Concludendo, la seconda edizione del festival Sacro In Canto, che abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare per intero, ha mostrato di aver già ottenuto la maturità necessaria per un fruttuoso e importante futuro, strumento importante non solo per la diffusione dell’arte musicale ma anche per la valorizzazione di un territorio e della rispettiva cultura, quello ternano, forse poco conosciuto pur avendo le potenzialità per dare un contributo determinante al suo sviluppo culturale ed artistico.
Claudio LISTANTI Roma 9 Aprile 2023