di Nica FIORI
“Il furto degli Ori. Ladri in azione a Villa Giulia”. Un libro indagine di Marcello Loprencipe che approfondisce la storia del clamoroso furto del 2013
Quando, la notte del 30 marzo 2013 (vigilia di Pasqua), dei ladri penetrano nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e rubano dei preziosissimi gioielli ottocenteschi realizzati dai celebri orafi Castellani, la notizia suscita grande clamore, perché il furto in un museo, dove dovrebbero esserci sistemi di sicurezza efficienti, è un evento molto raro. Marcello Loprencipe, un consulente finanziario già autore di alcuni romanzi, è rimasto talmente colpito dalle vicende relative al furto degli Ori Castellani e dal successivo recupero di gran parte di essi, da voler ricostruire il tutto nel libro “Il furto degli Ori. Ladri in azione a Villa Giulia”, che è stato presentato nella stessa villa romana di Giulio III, nella splendida cornice del Giardino del Ninfeo.
Il libro, edito da Campi di Carta, è piccolo di dimensioni ma di grande interesse, elegante, scorrevole e intrigante come un romanzo giallo. Dalla sua lettura s’intuisce che l’autore è un uomo dai molteplici interessi, tra cui l’archeologia e la narrativa. E in questo caso diventa “un ambasciatore del museo”, come ha dichiarato il direttore del Museo Nazionale Etrusco Valentino Nizzo nel corso della presentazione, un uomo che ha saputo tradurre quella che dovrebbe essere la missione di ogni museo, ovvero trasmettere emozioni attraverso un racconto.
Un racconto che in questo caso non è fatto da chi nel museo ci lavora, ma da un visitatore (un “abbonato” di Villa Giulia) che ha dedicato il suo tempo a un’indagine molto particolare, trasformandola in un’opera creativa, frutto dell’amore che nutre per i beni culturali. La presentazione del libro, posticipata di qualche mese per l’emergenza anti-covid, è avvenuta il 1° ottobre 2020, a pochi giorni dalla ratifica della Convenzione di Faro, che sancisce proprio “il coinvolgimento attivo e il diritto-dovere dei cittadini di partecipare al patrimonio culturale”, come ha ricordato Nizzo.
Per Marcello Loprencipe il tema del furto diventa un modo originale per accostare il lettore alla storia dell’arte e alla bellezza raccolta nel museo. E in questo caso specifico all’oreficeria d’autore. L’oro, proprio perché è il più nobile dei metalli, inalterabile e con un colore che richiama il sole, ha sempre suscitato interesse e soprattutto voglia di possesso, come recita Figaro nel Barbiere di Siviglia:
“all’idea di quel metallo, portentoso, onnipossente, un vulcano la mia mente già comincia a diventar” (I atto, scena III).
Sappiamo bene che proprio a causa della preziosità del materiale, le opere d’oro sono state oggetto di furti clamorosi (come per esempio quello della Saliera di Francesco I, capolavoro di Benvenuto Cellini, rubata nel 2003 dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, e per fortuna recuperata nel 2006), mentre altre volte sono andate disperse per motivi vari, a volte vendute in caso di tracollo economico di una famiglia e non di rado sono state fuse per essere riconvertite in monete o in gioielli, i cui modelli cambiavano con il mutare dei gusti, della moda e dei proprietari.
È quindi un vero miracolo che a Roma si sia conservata questa collezione di gioielli firmata dalla celebre famiglia Castellani (Fortunato Pio, Alessandro e Augusto, cui si aggiunse Michelangelo Caetani, da cui deriva il marchio della doppia C). La collezione, comprendente anche una quantità notevole di vasi, bronzi e altri oggetti etruschi conservati nel museo, venne donata allo Stato dall’ultimo erede dei Castellani, che con questo gesto simbolico voleva “opporsi” alla dispersione all’estero della più celebre Collezione Campana (che era stata venduta in seguito alla bancarotta del marchese Campana), ritenendo che i reperti antichi ritrovati nel territorio italiano dovessero far parte del patrimonio nazionale. Tra l’altro uno dei capitoli del libro è dedicato proprio alla collezione Campana, perché i Castellani ebbero modo di studiare e restaurare i reperti in oro collezionati dal marchese Campana.
La Collezione Castellani venne collocata in questo che è il Museo Nazionale di Arte Etrusca, perché lo stile dei Castellani trae ispirazione dagli antichi gioielli etruschi, oltre che da quelli greci, romani e medievali. Il fascino di questi gioielli, al di là del valore dell’oro e delle gemme colorate impiegate, è legato anche alla raffigurazione di figure mitologiche, come per esempio una Venere marina incisa in un cristallo di rocca, una testa di Acheloo in oro, la civetta di Atena realizzata in micromosaico in un medaglione rotondo, o la farfalla, pure in micromosaico, che allude alle ali di Psiche in un bracciale.
Anche se le indagini sul furto sono state eseguite egregiamente dai carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Culturale (TPC) e hanno portato al recupero quasi totale delle opere rubate, c’è da parte dell’autore il desiderio di approfondire, di indagare a modo suo, incontrando alcune persone che all’epoca dei fatti lavoravano nel museo, come per esempio uno dei capiservizio, Pasquale De Bellis, che è stato il primo ad accorrere alla villa dopo aver ricevuto una chiamata da un custode notturno, preoccupato per anomalie nel sistema di allarme e perché nelle telecamere non si vedevano nitidamente le immagini a causa dei fumogeni usati.
In effetti, ci si rese poi conto che erano penetrati dei ladri, incappucciati e armati di ascia e fumogeni, che riuscirono a rompere le vetrine e a sottrarre 27 gioielli ottocenteschi, tralasciando per fortuna quelli antichi, mentre altri vennero fatti cadere durante la fuga e vennero recuperati nelle sale e nel giardino di Villa Giulia dal personale e dai carabinieri accorsi dopo l’allarme.
De Bellis ha raccontato la sua versione dei fatti e la disperazione per quello che era successo, disperazione condivisa da altri colleghi della Soprintendenza per i beni archeologici dell’Etruria meridionale, che vedevano il museo come “la loro casa”, un luogo amato e vandalizzato dall’azione violenta dei ladri. Al di là dell’enorme valore dei gioielli, i ladri avevano inferto una profonda ferita a tutta la collettività, perché le opere d’arte di un museo statale come questo sono patrimonio di tutti, memoria e storia del nostro Paese.
I carabinieri, nel corso delle conferenze stampa in occasione dei recuperi e dell’esposizione dei materiali rubati (l’ultima nell’importante mostra “L’arte di salvare l’arte” che si è tenuta al Quirinale, come ricorda l’autore, in occasione dei 50 anni di attività del nucleo TPC) hanno parlato alla stampa di una cittadina russa, che era in qualche modo legata al furto, e di una banda di ladri provenienti da Aprilia. Nel corso dei primi accertamenti riguardanti un antiquario romano implicato nel caso, furono fermate all’aeroporto di Fiumicino la figlia dell’antiquario e la cittadina russa, che era in possesso di un catalogo della collezione e di foto delle vetrine degli ori e dell’impianto di videosorveglianza del museo di Villa Giulia. Venuto meno l’acquisto da parte della signora russa, gli autori materiali del colpo cercarono in seguito di piazzare altrove i preziosi monili e proprio nel momento in cui gli ori stavano per essere ceduti a facoltosi acquirenti, i carabinieri sono riusciti a recuperarli. I carabinieri hanno spiegato la loro complessa azione investigativa, ma senza fare nomi e mantenendo sempre un certo riserbo.
Ed è basandosi su queste notizie che nel libro si cerca di ricostruire quanto è accaduto, senza allontanarsi da una versione il più possibile veritiera dei fatti, anche se all’inizio ci sono due capitoli che potremmo definire “letterari”, più che di cronaca, che trasmettono al lettore una sensazione di mistero su quanto verrà poi affrontato nel libro. E la stessa sensazione si percepisce anche nell’ultimo capitolo.
Il primo capitolo, intitolato “La donna”, sembra proprio quello di un romanzo con il suo incipit che cattura immediatamente il lettore:
“È marzo inoltrato, ma l’aria di San Pietroburgo è ancora fredda a metà mattinata. Una figura femminile esce da un lussuoso palazzo del centro della città”.
L’autore immagina che questa donna riccamente abbigliata prenda un taxi per recarsi all’aeroporto dove deve prendere il volo per Roma – Fiumicino. L’uomo che guida ogni tanto la guarda dallo specchietto retrovisore e
“Quando lei sfila i guanti dalle mani, lui nota l’anello con un grosso brillante: deve trattarsi di una persona molto facoltosa, forse un familiare, magari la compagna o l’amante di qualche personaggio importante”.
E qui l’autore inserisce il testo di un brano dei Pink Floyd del 1975: Shine on you crazy diamond (Brilla diamante pazzo). Brano che diventa il titolo dell’ultimo capitolo, ambientato pure a San Pietroburgo, come se la storia debba finire là dove è cominciata, a San Pietroburgo, dove immagina che la donna nella sua ricca casa stia maneggiando dei gioielli, che brillano con mille riflessi arcobaleno sotto i bagliori del sole e a un certo punto questa misteriosa donna afferra un libro, sfogliato innumerevoli volte: ovviamente non può che essere il catalogo dei gioielli di Villa Giulia. Poi la donna si lascia cadere su una poltrona e, come scrive Loprencipe,
“chiude gli occhi, fino a quel momento accesi come due diamanti pazzi … Le ultime note di Shine on you crazy diamond, il suo brano preferito, si perdono nella stanza”.
Anche il secondo capitolo, intitolato “La banda”, all’inizio è di fantasia e si apre come il primo con un cenno al clima, come se fosse contemporaneo al primo, ma a migliaia di km di distanza:
“Aprilia è avvolta dalla luce dell’imminente primavera. Non sono ancora le dieci e già si avverte il calore del sole. Due uomini si sono da poco seduti al tavolino di un bar a pochi passi dal Municipio, un edificio ricostruito dopo la guerra, come tanti altri … Come enormi diamanti, le sedie brillano dei riflessi del sole”.
Sono allusioni come queste ai diamanti che ci colpiscono particolarmente, perché ci portano emblematicamente a riflettere sull’amore e sulla bramosia che la preziosità e la bellezza possono suscitare e su ciò che si è disposti a fare per appropriarsene.
Anche a noi a questo punto, dopo la lettura del libro, non resta che lasciarci ammaliare dalla bellezza degli Ori raccolti a Villa Giulia nella “Sala delle Meraviglie”, grati ai carabinieri per il recupero quasi totale dei gioielli rubati, avvenuto in più fasi. L’ultimo oggetto recuperato, una preziosissima collana con smeraldi incisi, perle e balasci, è stata recuperata solo dopo la morte di un ricettatore, perché la vedova, contattata dai carabinieri subito dopo il funerale, ha preferito restituire ciò che il marito aveva nascosto.
Un ulteriore ringraziamento va all’autore Marcello Loprencipe e al suo collaboratore Alberto De Martinis, presidente dell’associazione “Amici di Roma e dell’Arte”, perché la vendita di questo libro servirà a finanziare l’iniziativa “ Un nuovo allestimento per gli Ori Castellani”.
Nica FIORI Roma 11 ottobre 2020