di Massimo PULINI
Il giovane Guercino in una tavoletta di noce
A Fausto Gozzi
Una tavoletta in noce di forma circolare del diametro di quattordici centimetri e mezzo con un sottile bordo rialzato che conserva tracce di doratura e che porta lo spessore del disco a poco più di un centimetro (Foto 1 e 3). La pittura è densa nella superficie piana e raffigura una Madonnina sulle nubi, nell’atto di tenere in grembo un vivace Gesù Bambino, desideroso di muoversi, a giudicare dalle gambette aperte e dall’abbraccio che sta a metà strada tra la carezza e l’intento di divincolarsi. La giovane madre lo trattiene con la destra stretta sul fianco e l’altra mano aperta, ad accomodarne la seduta, nel rincalzo di una pezza bianca della quale si scorgono due piccoli lembi. Attorno a Madre e Figlio si muovono cumuli di nuvole irregolari e pastosi, che virano dal plumbeo al bianco acuto, fino a sfocarsi sul fondo in un’aurora terrosa.
Mentre il Bimbo è interamente nudo la Vergine si mostra ammantata di gonfi panneggi, rapidamente descritti da una pittura guazzata, che sottintende una certa esperienza del ‘buon fresco’, tanto le forme sono raggiunte per macchia e colpi aperti di pennello. L’abito rosso sbalza sulla manica e torna sopra le gambe raccolte, spezzato dal blu notturno di un mantello che è disposto in orizzontale, allargato sui rigonfi nuvolosi, quasi fosse disteso sull’erba di un prato.
Il fulcro del piccolo dipinto si raccoglie nelle teste delle due figurine, nello scorcio fremente del putto che ne abbrevia il profilo e nei tre tocchi in punta di pennello che segnano i tratti, succinti eppure intensi, di un affettuoso volto materno. Nella stessa giornata di posa, quando ancora la luce giungeva con medesimo taglio diagonale, a illuminare la tempia destra e la punta nel naso della ragazza, Giovanni Francesco Barbieri, forse non ancora chiamato Guercino, aveva fatto in tempo a eseguire anche una bellissima carta a sanguigna (Foto 2 e 4).
Nel foglio, che ora si trova a Dublino entro il fondo della National Gallery d’Irlanda, viene studiata una relazione diversa delle figure: entrambe infatti vi si mostrano intente a guardare verso il basso, all’indirizzo di qualcuno a cui la Vergine sta porgendo uno ‘scapolare’, oggetto simbolo dei carmelitani, formato da due piccoli ritagli di stoffa quadrati e due cordicelle che li uniscono. Il disegno curato nelle ampie pieghe che descrivono le vesti, si sofferma sul fazzoletto che cinge la capigliatura, fornendoci un dettaglio di come era pensato in origine anche il piccolo dipinto e assicurandoci che quella macchia in cima alla testa non è un pentimento affiorato, ma quel che resta di un analogo panno poggiato sul capo della Vergine.
Intorno al 1615 il giovane pittore stava studiando le composizioni delle sue prime pale d’altare, una destinata a Renazzo, con San Pancrazio e una santa monaca (Foto 5), mentre l’altra sarebbe andata alla chiesa dell’Annunziata di Cento e per quella doveva rappresentare un santo carmelitano di origine sicula, Alberto degli Abati, nel momento in cui ricevette lo scapolare dalla Madonna (Foto 6).
Le ‘glorie’ delle due pale giovanili sono tra loro connesse proprio a partire da quel disegno di Dublino e da un altro, eseguito a grafite, che mette a punto la ‘Madonnina’ di Renazzo, col Bimbo che nel guardare verso il basso allunga un braccio in direzione della santa (Foto 7). Questo secondo foglio, conservato al Museo Nazionale di Stoccolma, era in passato assegnato a Bartolomeo Schedoni, prima che Nicholas Turner lo ricondusse giustamente al giovane Guercino (vedi Burlington Magazine, luglio 1988, p. 532).
Diverse prove grafiche giovanili del pittore centese sembrano usufruire di una medesima modella, la ritroviamo anche nell’Allegoria della Pittura dell’Ashmolean Museum di Oxford, che è stata collegata all’album di incisioni ideate da Guercino per l’incisore Oliviero Gatti (Foto 8), pubblicate poi nel 1619.
È tratteggiata rapidamente negli elementi principali del viso, con tre segni marcati di matita rossa, il discrimine centrale dei capelli raccolti a concio, il capo leggermente ribassato, la curva del collo che finisce sulle balze del vestito, gonfio come nella tavoletta, mentre la figura si allarga scendendo sotto il panneggio debordante.
Anche un disegno passato da qualche anno in un’asta londinese (Bonhams 23 aprile 2008) con un’altra Madonna col Bambino e san Giovannino, presenta simili caratteri della giovane donna e in questo caso è la figura del San Giovannino ad avere il profilo sfuggente (Foto 9).
Mentre un foglietto di pochi centimetri con lo Studio di bambino, conservato in una collezione privata statunitense (Foto 10) e giustamente pubblicato come autografo da David Stone nel 1991 potrebbe sovrapporsi alla parte alta del nostro Gesù se solo lo ruotassimo in corrispondenza, tanto il gesto e l’espressione scorciata risultano identiche a quelle della nostra tavoletta.
Sono gli stessi pensieri affettuosi tradotti in pittura, come nell’altra piccola tavola con lo Sposalizio mistico di Santa Caterina alla presenza di San Carlo Borromeo delle collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Cento (Foto 11), nella quale tornano ancora le fattezze della modella ideale in quei primi anni di intenso lavoro. A Stoccolma è conservato anche un altro disegno di affetti domestici (Foto 12), assegnato però a Giovan Francesco Nagli per via della scritta “Centino” (il soprannome di questi) vergata in calce; si parla di un foglio che invece ritengo di Guercino e preparatorio per il legno centese appena ricordato.
Vi si studia la stessa posa del Bimbo che si porta l’anello nuziale alla bocca, mentre la figura della madre è diversa, ma è anche questo che mi spinge a pensarlo come uno studio sincero del giovane Barbieri e non una derivazione del Nagli, che peraltro fu suo allievo solo in anni molto successivi.
Curiosamente nella parte bassa del disegno di Stoccolma sono presenti alcuni segni paralleli tra loro e di andamento semicircolare che sembrano studiare la cornicetta di un tondo, simile a quelli di cui sto parlando.
Con questa serie di idee espressive e formali Guercino riflette intorno al soggetto più ricorrente nella tradizione iconografica cristiana, ma si tratta anche dell’argomento fondativo di tutta l’umanità: un tema ancestrale come lo è il rapporto tra una madre e il suo bambino, anche se qui viene elevato nella sommità delle nuvole. Dunque la scena più intima e domestica, dal chiuso di una casa si apre al cielo, al prato di nubi che sovrastano la terra. Da quella postazione i due, che sono il perfetto frutto dell’innesto tra divino e terreno, visitano gli umani, parlano coi santi, allungano loro simboli e grazie, offrendo una relazione con l’eterno che continua a mantenere un sapore familiare.
Le dimensioni minime, lo stile e la datazione dell’opera trovano una grande assonanza coi Quindici Misteri del Rosario di Corporeno (Foto 13-17), un gruppo di piccole e freschissime opere che non ha ancora avuto la giusta attenzione nell’ambito degli studi guercineschi. Affinità di stesure con la tavoletta si possono instaurare anche con un ramino raffigurante Madonna col Bambino in trono e santi (Foto 18), recentemente riemerso nel mercato. Minime eppur significative imprese giovanili che sono riconducibili a un periodo creativo precedente al 1615.
La disposizione dei Misteri del Rosario è arcaica e li rende simili a rapidi ex voto, visibili a distanza nell’alta parete dell’altare, mostrandoceli come piccole formelle in sequenza, stelle significanti che circondano l’immagine della Madonna.
Nella serie si apprezza un fare immediato che non accenna a tradurre idee concepite a freddo, ma sembra immaginarle modellandole direttamente sul posto, in quella precisa azione esecutiva.
Il colore trattiene così, assieme ai pensieri che governano il denso impasto materico, anche le stesse idee creative, le scelte di composizione, di luce e di forma. Quella semplicità allora non è un limite, ma diviene essenza di gesti sinceri, primari e privi di inutili filtri. Conosciamo bene questa assoluta trasparenza d’animo nel Guercino disegnatore, nel flusso sorgivo della penna o nella traccia lasciata dalla sanguigna in migliaia di fogli giunti fino a noi, ma queste operette dipinte sono invece un prodotto raro, incunaboli di un genio acerbo, istantanee di una fase evolutiva investita da una impressionante e irrefrenabile senso di crescita. Il successo farà ben presto diventare Giovan Francesco un ricercato pittore di figura, di grandi pale d’altare, un artista famoso, munito di una propria e operosa bottega. A quella diramata struttura professionale e familiare saranno delegate, dal 1620 in poi, le commissioni più minute e nessuna nota del Libro dei conti riguarderà mai più dipinti di ridotte dimensioni.
Le operette morali dipinte di quel periodo sono accomunate da un impasto robusto che rende sommarie le forme, abbreviate nei particolari, eppure gravide di sentimento e di espressione. Ancor più che ai disegni queste pitture assomigliano alle tempere parietali della medesima fase giovanile, quelle condotte a casa Provenzali e Pannini o documentate da tele guazzate come quella che identificai vent’anni fa al museo di Cambridge, un delizioso Riposo durante la fuga in Egitto alla presenza di San Giovannino (Foto 19).
Col suo bordo rialzato il nuovo piccolo tondo di noce (Foto 1) pare un desco da parto in miniatura e porta nel retro quattro scanalature che accolgono ancora i lori chiodi di ferro battuti a mano, atti a fermare il disco alla cornice dorata. Difficile dire se venne decisa dallo stesso pittore, ma tavoletta e cornice sembrano formare un’unica e coerente struttura che ai nostri occhi, e vista dal verso, assume l’eleganza di un’opera novecentesca (Foto 20) quasi fosse una scultura di Luise Nevelson.
Resta il mistero di una superficie inusuale che tuttavia conferma la natura sperimentale di quel fertile periodo creativo, ancora aperto a incognite professionali, ma intriso di entusiasmo e di sincerità poetica.
La singolarità delle materie e una cornice, credibilmente originale (Foto 21), che dal cerchio si dispone al quadrato, attraverso più ordini decorativi segnati da scavi sgorbiati e canalature dal ritmo raffinato, contribuiscono a valorizzare una gemma che il giovane Guercino deve aver dipinto nel giro di pochi minuti, forse non mettendoci più tempo di quello che impiegò per ultimare il disegno di Dublino (Foto 2).
Massimo PULINI Montiano 18 Giugno 2023