di Paolo Erasmo MANGIANTE
Come la prima opera pittorica ufficiale di Michelangelo Buonarroti, il Tondo Doni, nasce perfetta e quasi senza precedenti, così anche la sua prima opera scultorea impegnata e ufficiale la Lotta fra Lapiti e Centauri appare a Firenze nel circolo mediceo senza grandi precedenti così complessa e perfetta da lasciare ieri come oggi tutti stupefatti.
Da dove tanta maestria ? Il genio e l’indole artisticamente imperiosa di Michelangelo non ammettevano sbavature, tentennamenti iniziali. Egli voleva sempre essere il primo. Così sarà anche per la Pietà di San Pietro. Tanto da confondere ancora oggi i “critici”. Per questa voglia di stupire il mondo Michelangelo nascondeva le sue prove iniziali, si chiudeva in casa e non faceva vedere le sue prime opere, tanto che Giovanni Borromeo inviato dal duca di Mantova a Firenze dal Buonarroti per acquistare una sua opera di scultura si dichiarò fortunato, visto che non faceva vedere “alcuna cosa ad alcuno”, del solo essere potuto penetrare in quel suo”covo” in cui elaborava queste sue prime idee, e aver potuto ammirare un “certo quadro di figure nude, che combatteno, di marmore, quale avea principiato a istantia di un gran signore, ma non è finito”.
Questa risulta essere la prima descrizione della Lotta fra Lapiti e Centauri riportata dal Condivi ma dal Vasari solo nella seconda edizione delle “Vite”.
Ripeto che per questa prima opera di scultura, come avviene in pittura per il tondo Doni, sorprende come Michelangelo si presenti al suo esordio con un’opera già così perfetta. Da chi ha appreso, chi lo ha dirozzato? Anche in questo caso un vuoto incomprensibile sembra precedere il capolavoro.
Da un punto di vista strettamente tecnico, dall’esame dei procedimenti scultorei e degli strumenti utilizzati per attuarli sembra emergere, come ha suggerito Prisca Giovannini (1998), che Michelangelo avesse in precedenza compiuto un tirocinio da scalpellino, mentre per l’affinamento delle sue procedure scultoree al momento della realizzazione della Lotta dei Centauri sarebbe dimostrato dall’utilizzo anche di piccoli scalpelli molto appuntiti chiamati “saettuzze” nei punti sottosquadrati. L’esame accurato dell’altorilievo poi dimostrerebbe che Michelangelo, che teneva l’opera presso di sé, sia ritornato spesso a rifinire certe sue parti in un secondo tempo. Ma tutto ciò riguarda la nascita e la progressione della sua manualità senza la quale non avrebbe potuto far sbalzare dal marmo con tanta perfezione l’idea della lotta che voleva realizzare. Ma l’idea come gli era nata e sviluppata nella mente prima di farla emergere dal marmo?
Poco dopo essersi trasferito nel Giardino di San Marco, il suggerimento del Poliziano di eseguire in marmo una Lotta di Centauri o un’historia del genere, così da mostrare la propria valentia scultorea, fu accolto con piacere dal giovane Buonarroti che a Firenze voleva ancora dimostrare di essere, oltre che pittore, anche scultore. Tuttavia, per trattare un simile argomento, non avendo in loco a disposizione grandi riferimenti dall’antico come potevano essere i frontali di qualche sarcofago o altri bassorilievi romani, forse poteva trovarsi un po’spaesato. I precedenti scultorei e pittorici solitamente invocati sinora come antecedenti dell’altorilievo del Buonarroti sembrano in verità piuttosto lontani da quanto egli voleva realizzare.
A principiare dal dipinto della lotta fra Lapiti e Centauri dipinto da Piero di Cosimo che trattava, è vero, l’argomento, ma in una forma eroico arcaica pari alla sua indole fantastica e stravagante, che poco aveva di verosimilmente “antico” ed eroico in senso classico (fig.2). Del resto dei vari episodi minuziosamente dipinti da Piero di Cosimo nella sua battaglia avvenuta a causa del rapimento della sposa Ippodamia da parte del centauro Eurito del tutto ubriaco in occasione delle sue nozze con Piritoo re dei Lapiti, nell’altorilievo realizzato dal giovane Michelangelo non c’è quasi alcuna traccia, tanto che a malapena fra i combattenti si distinguono i lapiti dai centauri.
Un’altra opera presentata come antefatto è la stampa i Nudi in battaglia del Pollaiolo, dove i protagonisti al contrario sono troppo idealizzati e troppo separati fra loro per evitare i fendenti degli avversari per rappresentare una vera lotta, mancava il corpo a corpo, e più che a partecipare a una zuffa sembrano atteggiarsi a una sorta di danza (fig.3).
Per ragioni diverse sia il dipinto di Piero di Cosimo sia la stampa del Pollaiolo erano lontani dall’intento plastico e realisticamente dinamico cui voleva arrivare il giovane Michelangelo.
Lontano dai suoi intenti risulta anche il bronzo del Bertoldo che viene sempre citato (fig.4) troppo freddo e minuziosamente affollato.
Ma queste proposte da chi si è occupato finora dell’argomento sembrano davvero troppo distanti per essere considerate dei veri modelli per la storia che Michelangelo voleva rappresentare. Un dipinto, una stampa e un bronzo, tutte opere bellissime s’intende, che potevano spingere il giovane Buonarroti all’emulazione ma non all’imitazione perché non corrispondevano affatto sia iconograficamente che stilisticamente all’ideale scultoreo che aveva in mente di realizzare né tanto meno ai materiali che intendeva utilizzare. Non aveva Michelangelo a disposizione una lastra marmorea donatagli da Lorenzo per sviluppare il tema della Lotta ? E allora perchè non rifarsi direttamente a delle formelle di marmo che illustravano tematiche simili?
Del resto per quanto riguarda il soggetto del rilievo eseguito poi da Michelangelo sui suggerimenti orali dello stesso Poliziano sulla storia narrata nel dipinto di Piero di Cosimo circa la Battaglia fra Lapiti e Centauri sembra esistere davvero poca corrispondenza, tanto che il Condivi, che fu il primo a parlare nei suoi scritti di quest’opera michelangiolesca, la definisce come il Ratto di Deianira e la zuffa dei Centauri, mentre il Vasari, sempre pronto a esaltare Firenze, introduce la figura di Ercole, quale campione dei fiorentini in lotta contro i loro nemici, identificati nei centauri e intitola il rilievo del Buonarroti come la Battaglia di Ercole con i Centauri. In assenza di un riferimento preciso dei suoi primi biografi, anche le fonti finora invocate dagli studiosi per la sua realizzazione perdono molto del loro valore fino ad arrivare alla conclusione in verità un po’ azzardata della Paola Barocchi secondo la quale:
“Michelangelo non rappresentò una scena tradizionale e riferibile a una fonte precisa,ma creò piuttosto un mito arbitrario…”
Tesi altrettanto arbitraria perché l’intento iniziale di Michelangelo era quello di rappresentare la Lotta fra i Lapiti e i Centauri come gli era stato suggerito nell’ambiente mediceo di cui faceva parte, mentre è altrettanto vero che con quest’opera voleva fare a modo suo volendo in ogni caso creare qualcosa che non si era ancora visto a Firenze e stupisse tutti. E per far questo si servì di tutto quello che aveva a disposizione. L’elaborazione della Lotta fra lapiti e Centauri fu certamente per il debuttante Michelangelo un’operazione molto complessa perché conoscendo la sua indole severa e determinata non poteva al debutto sbagliare alcunchè.
Michelangelo pensava sin da giovane alla grande, per questo in pittura studiava Giotto e Masaccio, per questo anche in scultura studiava il meglio che offriva il passato, ovvero la scultura classica o coloro che a questa meglio si erano rifatti. Di qui la ricerca di fonti sicure che, non avendo egli a diretta disposizione sarcofagi o altri bassorilievi romani, non poteva trovare aiuti che presso i massimi esponenti della scultura dell’immediato passato, quali erano i Pisano, Nicola e Giovanni che da detti sarcofagi erano partiti.
Più vicine ai suoi intenti scultorei, le uniche scene marmoree di lotte concitate cui poteva fare riferimento Michelangelo in Toscana, erano infatti Le stragi degli Innocenti scolpite nei loro pulpiti da Nicola e Giovanni Pisano per non citare la Strage degli Innocenti di Tino da Camaino di Cava dei Tirreni, logisticamente troppo remota per essere alla portata di Michelangelo anche se assai prossima alle sue aspirazioni plastiche (figg. 5, 6).
Tuttavia senza andare così lontano, le formelle dei pulpiti eseguite da Nicola e da Giovanni Pisano rispettivamente nei pulpiti di Pisa, Siena e Pistoia, località vicine e facilmente visitabili, potevano offrire al giovane scultore l’esempio di come realizzare una storia di lotta ad alto rilievo per far emergere col giusto distacco le singole figure.
Tuttavia la prima notevole differenza fra le formelle dei plutei dei pulpiti di Nicola e Giovanni Pisano e la formella della Lotta fra i Lapiti e i Centauri del Giovane Michelangelo è costituita dalla presenza nelle prime in alto di una elaborata cornice in continuità col resto del pulpito (figg.7,8), cornice che ora manca nella suddetta formella (vedi fig.1), ma che non è detto il Buonarroti in un primo tempo non la abbia, se non realizzata almeno concepita e abbozzata (figg. 9,10) e di cui sembra abbia fatto a meno in un secondo tempo perché giudicata impropria, e ingombrante per un’opera che a differenza dei plutei dei Pisano non aveva fini architettonici (fig.11) .
Fig.11. Michelangelo Buonarroti La battaglia fra Lapiti e Centauri (particolare con sopra posizionato un eventuale cornicione). Firenze Casa Buonarroti.
Di tutto ciò ci si può rendere conto ipotizzando in un collage fotografico la sovrapposizione di una cornice (come quella del plutei del pulpito di Giovanni Pisano di Sant’Andrea, ma naturalmente elaborata dal Buonarroti), alla formella della Lotta fra i Lapiti e i Centauri (vedi figg.9,10). Ipotesi oltretutto che potrebbe avvalorare ancor più la derivazione della Lotta michelangiolesca dai plutei delle Stragi dei due Pisano.
Tuttavia riguardo a questa ipotesti ricostruttiva occorre fare subito una considerazione perché sia che Michelangelo, sull’esempio dei plutei dei Pisano da cui sembra avesse preso le mosse, abbia realizzato un cornicione nella parte alta del marmo scolpito (vedi fig.11) e poi in un secondo tempo lo abbia eliminato, o che sin dall’inizio egli abbia rinunciato a rifinire in alto di una cornice la sua composizione (vedi fig.10), il valore della scelta di lasciare questa porzione deliberatamente non finita è lo stesso e il suo significato estetico non cambia. E quindi la sua portata va qui sottolineata perché rappresenta la prima volta nell’arte occidentale che un’opera scultorea non venga volontariamente finita nel suo prospetto visivo, dando inizio ad una tendenza estetica che impronterà l’arte futura del Buonarroti e non solo la sua.
L’interesse maggiore di Michelangelo per della Strage degli innocenti di Nicola Pisano, insisteva tuttavia non tanto nella cornice, ma nell’insieme della composizione, che pur risultando troppo stipata e ancora piuttosto arcaica (fig.12),
poteva offrire qua e là suggestivi esempi di lotta (figg. 13,14).
Ancora meglio per il giovane Michelangelo era rifarsi alle formelle del pulpito di Sant’Andrea di Pistoia del figlio di Nicola, Giovanni Pisano, in cui le figure si ergevano più dinamiche e libere fra loro, talora quasi con forza a tutto tondo, che era poi l’intento plastico scultoreo cui aspirava arrivare il giovane apprendista scultore (fig.15), e inoltre suggerivano anche accorgimenti formali fondamentali, come quello di contrapporre diagonalmente i corpi dei protagonisti della zuffa per ottenere il massimo senso di moto e di tensione emotiva.
Nel rifarsi in preferenza al pluteo della Strage degli innocenti di Pistoia di Giovanni Pisano, piuttosto che alle informi e stipate stragi dei carnefici di Erode che si avventano sulle madri in un vero e indistinto horror vacui della Strage di Nicola Pisano, emerge infatti la misura rinascimentale del giovane Michelangelo, che, lasciando dovuti spazi fra le varie coppie in lotta, alla fine sceglie di creare una composizione equilibrata e ritmata dai volumi emergenti dei combattenti in lotta che acquistano lo stesso valore e lo stesso ritmo che possono avere i diversi colori in una composizione di Mondrian (vedi fig.10).
Alcuni gruppi di madri e aguzzini della formella del pulpito di Sant’Andrea di Pistoia di Giovanni Pisano devono aver particolarmente colpito l’attenzione di Michelangelo, come in basso a sinistra una madre seduta in terra disperata per la morte del suo piccolo che egli non esiterà a riprodurre nella stessa posizione nella sua composizione (figg.16,17).
E ancor più forse lo ha interessato la scena tratta dalla Strage degli innocenti del pulpito di Pistoia Giovanni Pisano in cui un carnefice di Erode trattiene per le gambe un bambino che vuole strappare alla madre, che ancora lo trattiene con la forza di tutte e due le sue braccia (fig.18), che probabilmente gli ha suggerito come elaborare l’episodio forse più complesso della lotta dei Centauri in cui si assiste il centauro Eurito (?), che trattiene di forza col braccio sinistro il torso visto di schiena di una donna, Ippodamia (?), che a sua volta per sfuggirgli si afferra con ambo le mani al braccio del lapite suo marito Piritoo (?), che cerca di trascinarla via prendendola per i capelli (fig.19).
Le suddette citazioni sono la prova lampante che Michelangelo abbia studiato a fondo i pulpiti dei Pisano per impostare la sua Lotta dei lapiti e dei Centauri non solo nell’insieme, ma anche nei dettagli e che alcuni episodi tratti dalle formelle della Strage degli innocenti del pulpito di Siena di Nicola Pisano e di quello di Pistoia di Giovanni Pisano lo abbiano particolarmente suggestionato (vedi figg.13,16,18).
Tuttavia, se il rifarsi ai plutei delle Stragi degli innocenti dei pulpiti dei Pisano diede a Michelangelo l’idea di come sviluppare in generale il tema della Lotta dei Lapiti e Centauri, queste stesse opere non erano in grado di fornire una guida iconografica completa sull’intera composizione e quindi insufficienti a svilupparne appieno l’intero divenire.
Innanzi tutto, non solo si trattava di due tipi di lotte diverse, perché nelle varie Stragi degli innocenti dei Pisano, si assiste a dei soldati che si avventano su donne indifese per massacrare i loro bambini, mentre nel caso della Battaglia dei Lapiti e Centauri non si trattava di una lotta impari, ma di una zuffa mortale ad armi pari, dove chi si difende deve contemporaneamente pensare ad offendere, tanto che alla fine risulta difficile distinguere chi sia il perdente o il vincitore.
A questa incertezza conseguiva un accentuarsi delle tensioni dei corpi che ovunque si torcono e si avvinghiano per avere la meglio.
E sopratutto mancava il riferimento all’antico che i Pisano, pur essendo partiti dagli ignudi dei pili o dei sarcofagi romani del cimitero di Pisa li avevano dovuti coprire con delle vesti perché le tematiche delle Stragi degli Innocenti da loro narrate erano accadute fra popolazioni storiche e non mitiche ,e pertanto non potevano essere sfruttate ai fini iconografici più di tanto, quando solo i corpi nudi dei protagonisti avrebbero garantito della classicità alla storia che Michelangelo, anelava raccontare con una sua ferma aspirazione all’antico.
La precoce passione del giovane Buonarroti per l’antichità classica si manifesta anche nei giovani nudi o no inseriti nelle sue prime opere pittoriche, come la Madonna di Manchester e il Tondo Doni.
La ricerca sull’antico il Buonarroti, in assenza degli originali, poteva compierla forse attraverso i disegni di artisti che prima di lui avevano copiato marmi e sarcofagi classici. Fogli del genere circolavano a Firenze visto ad esempio l’entusiasmo con cui Donatello e Brunelleschi avevano studiato un sarcofago dionisiaco a Cortona che finì come urna per raccogliere le spoglie del Beato Guido Vignottelli. E del resto anche il Bertoldo era partito dall’antico per il suo fregio in terracotta invetriata realizzato nella bottega dei Della Robbia per la villa Di Poggio a Caiano. E così ancora sappiamo che disegni di questo tipo, eseguiti dal Ghirlandaio e la sua scuola, ora nel foglio 43v del Codice Escurialensis alla biblioteca di El Escurial, circolavano nella sua bottega dove era stato e dove ancora andava Michelangelo anche dopo essere passato nel giardino di San Marco.
Il ricorso alla grafica del suo Maestro al momento di intraprendere la sua prima opera scultorea non deve stupire perché il modo di procedere di Domenico Ghirlandaio di fronte al foglio di carta bianca dove fissava in primis l’idea primigenia della composizione che aveva in mente in forme assolutamente schematiche (fig.20) per poi in un secondo tempo arrivare a disegnarne in altri fogli i particolari era in pratica lo stesso che Michelangelo applicava al pezzo di marmo informe sulla cui superficie proiettava col lapis l’abbozzo della sua idea per togliere via via in tappe successive tutto il superfluo man mano che scendeva in profondità.
Un procedimento che il giovane Michelangelo a detta anche di coloro che hanno potuto studiare direttamente sull’opera sembra abbia applicato nello scolpire l’altorilievo della Lotta dei Lapiti e Centauri, per cui non sembra sia partito da un bozzetto in gesso o terracotta, ma piuttosto da dei disegni preparatori. ( )
Appare quindi logico pensare che, in quella bottega di cui aveva appena finito di essere dipendente, ma che non aveva del tutto smesso di frequentare, abbia rivolto la sua attenzione a un’opera come il Giudizio Universale appena abbozzato da Domenico Ghirlandaio, dove le figure non erano ancora definite, e quindi anche se le tematiche rappresentate e da rappresentare fossero ben diverse, offriva una panoramica di nudi variamente atteggiati e accorpati in modi diversi e comunque in pose che potevano essere utili a suggerire posizionamenti di corpi impegnati alla sua Lotta dei Lapiti e dei Centauri. (figg.21,22).
Questa pala non finita di Domenico Ghirlandaio, di cui il giovane Michelangelo, frequentandone la bottega, aveva avuto modo di assistere alla iniziale definizione e che comunque conosceva assai bene tanto da ricordarsene molti anni dopo al momento di concepire il Giudizio Universale, conservava nella sua forma di abbozzo o sinopia, pur trattando un tema piuttosto dissimile a quello della lotta, come avevo già accennato in una mia precedente ricerca su questa pala, molteplici atteggiamenti di personaggi che potevano offrire lo spunto per molti episodi di quei mitici lottatori di cui Michelangelo si accingeva a tradurre in scultura la storia (vedi figg.21,22) .
A principiare dal Centauro che, posizionato il alto al centro della composizione, ripete un po’ il gestire delle braccia ruotanti del Cristo giudicatore del Giudizio Universale del Ghirlandaio, per cui sembra essere a capo di tutti i Centauri presenti, e attorno a cui, come perfezionerà Michelangelo ancor più nel Cristo giudice della Sistina, sembra ruotare tutta la composizione (figg. 23,24).
Non per nulla qualcuno (A. Parronchi,1992) aveva intuito, come questo personaggio della Lotta dei Centauri presentasse affinità con il Cristo del Giudizio Universale della Sistina, senza però poterne dare una spiegazione esauriente, non conoscendo il Giudizio Universale del Ghirlandaio, da cui entrambi derivano.
Contro questo “capo” centauro in basso a sinistra un Lapite lottatore avanza baldanzoso verso il centro della lotta muovendo in avanti la gamba destra alla pari del San Michele nel Giudizio, con la sicurezza di chi sa, come costui, di aver in pugno il dominio della situazione, ruotando appena il torso per poter meglio lanciare contro l’avversario la grossa pietra che tiene nella mano destra (figg.25,26).
Certamente l’idea di porre in basso a sinistra una lapite seduta in terra ferita e disperata proviene dalla formella della Strage degli Innocenti del Battistero di Pisa di Giovanni Pisano (figg. 27,28), come già detto,
ma il gesto qualificante della sua mano portata alla testa in segno di estrema disperazione è un’idea tratta dalla peccatrice affranta per esser sospinta da San Michele verso la barca di Caronte che la traghetterà all’Inferno del Giudizio Universale abbozzato da Domenico Ghirlandaio (figg. 29,30).
Questa integrazione mostra quanto sia complessa e meditata l’elaborazione di questa figura in Michelangelo che non si ferma alle semplici indicazioni formali fornite dal Pisano, ma le arricchisce con connotati sentimentali tratti dal Giudizio del Ghirlandaio (figg.29,30).
Sempre a sinistra un poco più in alto un lapite barbuto di mezza età brandisce con ambo le braccia e le mani un grosso sasso ruotandole dall’alto della sua spalla sinistra per colpire l’avversario, esattamente come Caronte con lo stesso gesto delle braccia fa ruotare il suo remo per gettare i condannati nella sua barca da cui li traghetterà all’Inferno (figg. 31.32).
Analogo gesto compie in alto a destra un centauro sempre con una rotazione più completa delle spalle rispetto a quella del Caronte (figg. 33,34).
E ancora in basso a destra due lapiti o centauri in piena lotta uno dietro all’altro ruotano e alzano il braccio destro minacciosamente per colpire il rispettivo avversario con lo stesso braccio e lo stesso gesto con cui lo ruotava, ma con ben altra intenzione, il Cristo nell’atto di giudicare del Giudizio Universale abbozzato da Domenico Ghirlandaio (figg. 35,36).
I ragruppamenti di beati e di dannati presenti nel suddetto Giudizio Universale possono avere inoltre suggerito l’inserimento di busti e di teste di combattenti in secondo piano così da non lasciare spazi liberi fra le figure di combattenti più rilevate e animate che emergono coi loro corpi quasi a tutto tondo nella agitata e aggrovigliata Lotta fra i Lapiti e i Centauri, combattuta da tutti i protagonisti fino all’ultimo spasimo (figg. 37,38).
Tutti questi accostamenti figurativi fra i protagonisti del Giudizio del Ghirlandaio e la lotta fra Lapiti e Centauri non sono casuali e presuppongono un attento studio da parte del giovane Michelangelo,che opportunamente li elaborò grazie al suo genio e alla sua manualità già straordinariamente matura creando un’opera così nuova e complessa da meritarsi il titolo di primo capolavoro scultoreo, quasi un prologo in rilievo di quello che poi Michelangelo confezionerà in affresco con i medesimi soggetti suggeriti dalla stessa pala non finita del Ghirlandaio, cui ricorse ancora quando si trattò di imbastire la straordinaria composizione del Giudizio Universale della Cappella Sistina, ordinatagli da papa Clemente VII.
Si può quindi concludere che nella composizione della Lotta fra Lapiti e Centauri le teste e i corpi di molti dei protagonisti, dopo l’impostazione ad altorilevo desunta dalle formelle dei Pisano, acquistarono espressioni e movenze definitive seguendo la suggestiva falsariga di precorrenti figure tracciate dal Ghirlandaio nella sua pala abbozzata del Giudizio Universale (vedi figg. 23,25,29,31,33,35,37), quasi in un atto di devozione dell’allievo verso il maestro, che però Michelangelo era già conscio di aver superato, come del resto aveva previsto lo stesso Domenico Ghirlandaio, quando ammirando in bottega i disegni del giovane Buonarroti, profeticamente esclamò “Costui presto mi supererà”
Paolo E. MANGIANTE Genova 1 Settembre 2024
BIBLIOGRAFIA.