di Fabio OBERTELLI
La pala raffigurante il Martirio di San Lorenzo (fig 1) viene dipinta dal Calvaert nel 1583 circa, quando ormai il pittore si trova nella sua più piena maturità artistica.
Un’opera di cui esiste una bibliografia molto scarna (il dipinto viene citato da Ferdinando Arisi nella storia della pittura piacentina e da Paolo Borghi nel dizionario biografico degli italiani) e che è stata oggetto di analisi recente dalla persona che sta scrivendo, in collaborazione con il Dott. Marco Horak (si veda Panorama Musei – “il Martirio di San Lorenzo”, aprile 2018). L’opera è custodita nella piccola chiesa di San Lorenzo dell’omonima frazione del comune di Castell’Arquato (fig. 2). Un luogo di culto al margine delle tipiche tappe turistiche che quotidianamente attraversano la provincia di Piacenza, un edificio ad aula unica dal carattere estremamente raccolto che ha custodito sapientemente l’eccelso Martirio di San Lorenzo del Calvaert.
Qualche anno prima della pala piacentina, “Dionisio Fiammingo” crea La flagellazione di Cristo, ora conservata nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, una tela sicuramente di importanza nodale, in grado di decretare l’inizio di un nuovo periodo, di un nuovo modo di dipingere. Il Calvaert infatti si allontana dal forzato linearismo fiammingo e arricchisce sempre di più il ventaglio cromatico delle sue opere, fino ad arrivare, negli ultimi anni della sua vita, ad una pittura estremamente luminescente, quasi fluorescente, come nel caso de Le nozze mistiche di Santa Caterina a Lipsia. Esperienza determinante per la sua produzione pittorica è il viaggio e il soggiorno a Roma, dove gli è possibile studiare ed analizzare le opere dei maggiori artisti che la capitale attirava quotidianamente; è infatti chiarissimo, solo per citare un esempio, il richiamo alla Flagellazione di Sebastiano del Piombo che già da qualche decennio prima dell’arrivo del Calvaert abbelliva la cappella Borgherini in San Pietro in Montorio. Impegnato nella decorazione delle sale vaticane, ha l’occasione di poter fagocitare la straordinaria rivoluzione apportata da Raffaello, artista di cui si ricorderà quando dipingerà la nostra tela. Nel 1574, ritornato a Bologna fonda la sua scuola di pittura, che può vantare, come allievi, artisti poi celebri come Guido Reni, Domenichino e Francesco Albani. Locata sull’altare maggiore della piccola chiesa di San Lorenzo, la forza di questa tela si cela agli sguardi dei più, per rivelarsi miracolosamente intatta e qualitativamente inalterata agli occhi curiosi di chi si addentra in questo piccolo luogo di culto sperduto nella provincia. La scena narrata è il
Martirio di San Lorenzo per mano dell’imperatore Valeriano nel III secolo d.C., un culto, quello del santo, particolarmente caro alla devozione popolare e qui rappresentato dal Calvaert seguendo un modello celebre nella storia dell’arte moderna. È palese infatti il richiamo al Martirio di San Lorenzo di Tiziano (fig. 3) conservato nella chiesa dei Gesuiti a Venezia. La posizione del corpo del santo e la graticola, infatti, sono simmetricamente opposti rispetto all’invenzione tizianesca ed entrambi richiamano la scultura classica del Galata Morente della collezione Grimani a Venezia. Una tela, quella di Tiziano, che ha influenzato notevolmente il panorama artistico italiano (se ne ricorderà anche lo stesso Caravaggio per la sua celebre Cattura di Cristo conservata presso la National Gallery of Ireland a Dublino), ma che il Calvaert personifica e rielabora secondo il proprio estro. Anche le fonti storiche (si veda il Malvasia solo per citare una delle più autorevoli fonti) ci attestano l’immensa capacità del maestro fiammingo nell’utilizzo dei colori, una maestria che lo accumuna al maestro cadorino, ma che lui interpreta in modo molto personale, una force chromatique che si sviluppa e si adagia sui corpi rendendoli quasi dalla superficie laccata e che invece permea e si effonde nell’atmosfera per quanto riguarda gli effetti luministici ambientali. Tinte sgargianti, anatomie ben definite entro forti linee contenitive, conferiscono all’opera un sapore manierista spezzato però dalla resa naturalistica del pennacchio del soldato di spalle alla destra nel dipinto, dal cromatismo lampeggiante del fuoco, che arde la graticola e del bagliore divino che, uscendo dalla parte superiore sinistra del dipinto, si infrange sulle nubi sottostanti accennando un piccolo putto. Inoltre, il manierismo viene smorzato dal magnifico sfondo che il Calvaert lascia volutamente appena accennato e fumoso (quasi una firma tintorettiana).
Uno scenario tumultuoso sta alle spalle del santo, una figura a cavallo intenta a impartire ordini (forse un ufficiale dell’esercito imperiale intento ad attuare l’editto con cui Valeriano mise a morte tutti i vescovi, presbiteri e diaconi tra cui lo stesso Lorenzo) che sovrasta una folla di soldati con lance che si stagliano su di un cielo plumbeo. Il Calvaert ha senza dubbio vivo il ricordo della battaglia di Ponte Milvio della scuola di Raffaello in Vaticano e qua sembra reinterpretare questa scena. Pur essendo un maestro di tecnica, si lascia travolgere da un pathos emotivo tale da annullare quasi del tutto gli sfondi prospettici, rivestendo le tinte di un tonalismo fuligginoso. È inoltre opportuno, come ricordato dal Dott. Horak nell’articolo in Panorama Musei, il confronto col Coreggio. L’espressione estatica e l’aura santificante che rivestono la scena sono rimandi diretti alle composizioni correggesche, si veda ad esempio il Martirio dei quattro santi conservato in Pinacoteca Nazionale a Bologna; in più, la posa del San Lorenzo abbozza il ricordo del Cristo benedicente della cupola di San Giovanni Evangelista in Parma. In ultimo è importante evidenziare come la tela del Calvaert, pur essendo oggi misconosciuta, in passato sia stata un parametro stilistico a cui molti artisti piacentini si sono rivolti riscoprendone il focale rilievo artistico. Testimonianza di quest’apprezzamento-devozione è data da almeno due opere locate nei comuni di Cortemaggiore e Monticelli d’Ongina in Piacenza.
Nella Basilica di Santa Maria delle Grazie di Cortemaggiore, è infatti rinvenibile, nella navata sinistra, una tela dipinta da Giovanni Rubini – fig. 4- (pittore concittadino) sul finire del XVII secolo, la quale altro non è che una copia del Martirio del Calvaert. Inoltre, di esecuzione coeva, è la pala di Robert De Longe (impegnato nella decorazione della zona absidale tra il 1682 e il 1694 circa) Martirio di San Lorenzo collocata alle spalle dell’altare maggiore della Basilica di san Lorenzo in Monticelli d’Ongina.
La composizione del De Longe, (fig. 5) seppur più semplicistica e figurativamente ingentilita, ricalca quella del Calvaert andando a riproporre la stessa postura del Santo martire (dalla muscolatura d’ipertrofica crescita). Inoltre derivanti dalla stessa invenzione sono l’inserimento del soldato a cavallo sullo sfondo della scena e la luce divina che taglia la composizione (seppur in maniera meno drammatica rispetto al Calvaert) dal margine superiore e sinistro della tela. La raffigurazione delongiana si appropria ulteriormente degli aspetti decorativi del dipinto tizianesco, inserendo e la statua della divinità pagana che Lorenzo ripudia e il colonnato di colonne dal fusto liscio e capitello composito, entrambi presenti (seppur diversamente proposti) nella tela del Tiziano sita nella Chiesa dei Gesuiti in Venezia. Concludendo, è giusto ritenere la tela piacentina del Calvaert una delle principali opere del maestro, un capolavoro dell’arte italiana del tardo cinquecento cruciale per l’ambiente artistico locale e non solo, eseguito da uno dei più eclettici artisti che ha saputo reinterpretare l’arte fiamminga avvalendosi della tradizione artistica romana, veneziana, emiliana, ponendo le basi per la nascita e lo sviluppo della scuola bolognese.
Fabio OBERTELLI Modena 1 luglio 2018