di Claudio LISTANTI
Grande successo alla Iuc per Sabine Meyer ed i sassofoni di Alliage Quintett
Per gli appassionati di musica parlare di Sabine Meyer è come parlare di un mito. Il suo nome, infatti, è legato ad un episodio che ha interrotto una certa stortura che la tradizione musicale europea conservava: quella che una regola interna ai Berliner Philharmoniker non consentiva ad una donna di entrare a far parte della celebrata compagine.
Eravamo nel 1985 e la giovane clarinettista era molto stimata dal grande Herbert von Karajan che ne propose l’inserimento nei ranghi della grande orchestra trovando però forte opposizione da parte dell’orchestra stessa per produrre un contenzioso che minò i solidi equilibri interni. Karajan la spuntò e la Meyer subentrò come primo clarinetto a Karl Leister, altro grande e stimato strumentista. Dopo poco più di un anno la Meyer, per favorire la sua crescente fama di solista lasciò l’incarico.
Questa aura ‘mitica’ che da quegli anni accompagna la figura della Meyer nei suoi frequenti concerti in giro per il mondo produce sempre grande attrazione per il pubblico. Così è avvenuto anche sabato 23 febbraio, quando un foltissimo pubblico ha gremito l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma, per il concerto al quale ha partecipato Sabine Meyer ed inserito nella stagione 2018-2019 dell’Istituzione Universitaria dei Concerti (Iuc), palcoscenico sul quale la Meyer è salita fin dal 1992, quando la bravissima clarinettista tedesca si esibì con una prestigiosa ensemble in un indimenticabile concerto al quale parteciparono grandi nomi del concertismo internazionale come Gidon Kremer, Clemens Hagen, Catherine Metz e Oleg Maisenberg.
Per questa occasione Sabine Meyer è giunta a Roma assieme all’Alliage Quintett una formazione molto apprezzata in tutta Europa composta da quattro sassofoni ed un pianoforte per proporre un raffinato programma composto da trascrizioni di celeberrimi brani del repertorio sinfonico/cameristico che hanno valorizzato le qualità tecniche ed interpretative mostrate da tutti gli strumentisti impegnati nel concerto grazie anche allo speciale affiatamento mostrato durante tutta l’esecuzione.
Il programma proposto era diviso in due parti ideali. Nella prima c’erano brani di ispirazione favolistica ad iniziare da una delle favole in musica più famose, The Fairy Queen di Henry Purcell qui proposta in una suite con una trascrizione operata dallo stesso Alliage Quintett, che non prevedeva la partecipazione del clarinetto; un brano che ha introdotto con efficacia alla valenza espressiva di tutta la serata anche se la mancanza delle sonorità del clarinetto ne hanno un po’ limitato la necessaria leggerezza.
Seguiva la trascrizione de L’apprenti sorcier di Paul Dukas, curata da Rainer Schottstӓdt, che ne ha lasciato intatte la magia e l’invenzione narrativa mentre la chiusura della prima parte è stata affidata alle gesta di Scaramouche che Darius Mihlaud propose nel 1937 con l’opera 165, per un adattamento de Le Médicin Volant di Molière operato da Charles Vildrac dal quale lo stesso Mihlaud ricavò una composizione cameristica per due pianoforti. Sebastian Pottmeier che di Alliage Quintett è sassofono baritono, ne ha approntato una trascrizione per pianoforte, sassofoni e clarinetto che è risultata piuttosto scintillante nell’insieme sia per il vivace ritmo del ‘Vif’ iniziale al quale si contrappone il delicato ‘Modéré centrale per concludersi con la ‘scaramuccia’ ben espressa con la energica e scattante ‘Brazileira’ finale.
La seconda parte del concerto era ispirata al mondo della Danza. In apertura uno dei grandi balletti simbolo del ‘900, L’uccello di Fuoco di Igor Stravinskij presentato nella seconda suite con la trascrizione di Sebastian Gottschick, elaborazione che ha lasciato intatto il fascino sonoro originale pur in presenza delle oggettive difficoltà che contiene la partitura originale destinata alla grande orchestra, riuscendo a descrivere quel mondo antico ma senza tempo lasciando inalterato il fascino sonoro della Danza dell’uccello di fuoco, della magia della berceuse e del trascinante e grandioso finale.
In coda al programma un’altra pagina di grande balletto, le Danze Polovesiane di Aleksander Borodin proveniente dal secondo atto de Il Principe Igor quando il capo dei Tartari intrattiene il Principe Igor suo prigioniero; danze dalle melodie orientaleggianti ma anche straordinariamente ritmiche fino a raggiungere momenti di tipo orgiastico. Tutti elementi questi messi in risalto dall’ottima trascrizione di Staphane Gassot e Camille Pépin. Nel programma c’era anche la trascrizione di Levon Atovmian dei Cinque pezzi per due violini e pianoforte di Dmitri Shostakovich eseguiti in due tronconi ognuno dei quali collocato nella zona mediana di ognuna delle due parti, composizione utilizzata come elemento di collegamento tra ognuna di esse per donare indiscutibile elemento di continuità con quanto proposto e dimostrato dalla quasi complementarietà tra il Preludio, presentato nella prima parte assieme alla Gavotta e l’Elegia inserita nella seconda parte in compagnia del Valzer e della Polka, tutti brani evocanti la tradizione russa dove coesistono sentimenti nostalgici, quasi di rimpianto come spesso accade con Shostakovich e momenti colmi di allegria.
Per quanto riguarda l’esecuzione c’è da segnalare, ancora una volta, la grande prestazione di Sabine Meyer che ha messo in evidenza, oltre alla suadente voce del suo clarinetto anche una tecnica strumentale sopraffina elementi propri di un grande interprete senza dimenticare l’intesa coinvolgente ed assoluta con i componenti di Alliage Quintet: la pianista Jang Eun Bae e gli, altrettanto, straordinari sassofonisti Daniel Gauthier (soprano), Miguel Valles (alto), Simon Hanrath (tenore) e Sebastian Pottmeier (baritono). Un concerto che ha destato l’entusiasmo di tutto il pubblico convenuto i cui numerosi e scroscianti applausi sono stati gratificati con un molto apprezzato bis: America da West Side Story di Leonard Bernstein; prezioso suggello di una piacevole serata musicale.
Claudio Listanti Roma Marzo 2019