di Sabatina NAPOLITANO
«Il paesaggio delle Crete e della Val D’Orcia suscita e tiene vive molte emozioni dell’animo. Questa terra eccita ed alimenta la condizione enigmatica dell’uomo: la rappresenta e l’asseconda. Ciascuno di noi ha dentro di sé queste perplessità dense di mistero e qui trovano un “luogo”».
E dunque con queste parole di Mario Luzi che presento la mostra allestita presso il Conservatorio San Carlo Borromeo a Pienza fino al 5 novembre con tema “Il paesaggio stato d’animo. The landscape as a frame of mind”. Curata da Leonardo Scelfo e organizzata dal Comune di Pienza, dall’Unesco, da Fondazione Musei Senesi e dal Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena, la mostra è da considerarsi un significativo dialogo tra la poesia di Mario Luzi e i dipinti di Dario Neri.
La manifestazione è inserita nell’ambito della Candidatura di Val Di Chiana Capitale della Cultura Italiana 2026 e fa parte delle celebrazioni dei vent’anni di Fondazione Musei Senesi. I dipinti sono stati esposti grazie ai collezionisti privati e collaboratori: Sandro Bagnoli, Maria Cristina Bardelli, Marcello Bianchi, Emilio Giannelli, Fiamma Cardini, Ettore Pellegrini, Antonella Tognazzi. Allora come oggi, è davvero impossibile non essere coinvolti dal momento che Mario Luzi è stato uno dei maggiori poeti contemporanei che tra l’altro ha sfiorato il Nobel più volte, e Dario Neri è stato il maggior interprete delle terre senesi (accanto all’incisione, all’editoria d’arte e alla grafica per cui eccelleva).
La maggior parte dei dipinti testimonia la ricchezza delle Crete Senesi, della Val d’Arbia e della Val D’Orcia al punto che i due intellettuali sembrano avere una stessa voce che si fonde, alla presenza di queste terre desertiche, “senza dolcezza di alberi”, a volte monotone, che
“si coprono al verde e al rosso dei prati, del giallo del grano maturo e poi ritornano desolatamente bianche e nude”.
Il paesaggio è soggetto interiore dell’opera d’arte, quindi anche i pochi personaggi che appaiono sono dinamici lavoratori che esistono congenialmente alle Terre, come figure predilette, essenze di un popolo definito dal suo grano, dalle sue acque e dai fiori che sublimemente dicono ancora oggi chi siamo.
In altre occorrenze abbiamo considerato la poesia di Mario Luzi dipendente dai temi del vuoto, del silenzio, dell’assenza e del valore simbolico della luce come affermato dallo stesso curatore e in questa mostra, in particolare, vengono riportate e sottolineate le straordinarie metafore con le Crete e la Val d’Orcia che diventano dimensione psicologica dove il paesaggio abbraccia la vita interiore: le colline ondulate come il mare mosso, in una terra che eccita ed alimenta la condizione enigmatica dell’uomo, e quindi condiziona a una reazione cioè una citazione letteraria per una immersione nella eternità della storia.
“Non posso non guardare quei dossi aggrumati di terra senza provare il brivido di un’inquietudine, di qualcosa che non dà mai pace”.
Ci troviamo di fronte ad una serie di sorprese che le Crete regalano, ad un primo livello, la richiesta di essere descritte e nominate nella storia letteraria, la chiamata quindi alla testimonianza storica; in un secondo piano di lettura, le Crete al di là dei tipici topos letterari di tutti i tempi, sono decisive di una appartenenza forte e pungente. Chi ama questi deserti al punto da permettere che operino trasformazioni profonde nella natura intima, compie un passaggio attraverso una interpretazione complessiva della vita, come una sorta di percorso iniziatico, ancora una volta, di preavviso di ricognizione, per una dimensione superiore ai sensi e pure così legata alla sensualità e all’esperienza.
Si possono ricordare anche i versi di Luzi dove parla della pittura in senso allegorico:
“La tensione a captare il vivente o gli affetti o le suggestioni del vivente con il segno, con il colore, è una tentazione quasi irresistibile; la pittura sembra una via forse meno essenziale però più breve e più drastica della parola, del linguaggio della parola (…) Il lavoro del pittore mi spinge ad appuntire sempre più il linguaggio, a renderlo sempre più preciso, più ricettivo di luci, di suoni, di tonalità, di circostanze, di frangenti, che rimangono presi dentro il linguaggio come dentro un cristallo.”
La presenza dei dipinti di Dario Neri non è la sola fortuna del dibattito di questa manifestazione, se la pittura da un lato “capta il vivente o gli affetti o le suggestioni del vivente col segno, con il colore” dall’altro“sembra una via forse meno essenziale però più breve e più drastica della parola”.
Lo stesso Dario Neri scriverà:
“Queste monotone desolate distese di argilla rotte da burroni, da fossi, da crepacci, che ora si coprono di verde e del rosso dei prati, del giallo del grano maturo e poi ritornano desolatamente bianche e nude fino a che l’autunno non vi accende macchie d’oro e di viola dei querceti e l’inverno col gelo le riduce deserti lividi, mi esaltano e mi commuovono e dipingendole io mi sento perfettamente felice. […]”;
quindi la pittura rende comunque felici, se in Luzi viene ad essere meno drastica della parola e più essenziale, in Neri è una definizione, una dichiarazione di svelamento.
“Io non adopero più effetti impressionistici perché la vastità del paesaggio non comporta facili giochi di luci brillanti e il colore si richiede parco come in un affresco. Dà molto risalto invece al volume perché la forma di questo paesaggio lo esige e con un ragionato chiaro-scuro ricerco una plastica precisa”.
Allo stesso modo in cui lo strumento della parola svela l’intento dell’uomo che ne è complice, la pittura arriva insieme all’artista ad una grazia obliqua, una dichiarazione coerente eppure così lirica:
“Non mi occupo molto di primi piani, o di ricercare effetti da essi, perché sul vero questi non sono importanti. Sono semplici ondulazioni di terreno che ripetendosi all’infinito con le stesse forme creano il motivo. Le case degli uomini, le Pievi, i solitari cipressi, le poche piante, sembrano miracoli di pazienza e di tenacia resistendo come fanno le frane, al vento, al calore e perciò m’indugio a ben definirli nel vasto orizzonte”.
La tecnica descritta è dimostrata da Neri nelle circa cinquanta opere che si trovano esposte al conservatorio (tra alcuni titoli “Crete tormentate e serenità di cielo”, “Lupinella in fiore”, “Veduta di Siena”, “Sulla in fiore”, “Siena con la sulla in fiore”, “Crete senesi in inverno”. Nell’altra sala “Autunno”, “Mattino di maggio”, “Crete senesi in estate”, “Il Poggio sementato”, “Luglio”. Nella terza sala “L’Amiata dalle Crete”, “Il gregge”, “Tramonto nelle Crete”, “Crete dalla foce a mezzogiorno”, “Una collina”, “In creta”, “Grano maturo”, “Sementa nella valle dello Stile”, “L’artigianato campestre nel territorio senese”, “Estate”, “Visione estiva delle Crete”, “Trebbiatura”, “Le opere e i giorni. Mietitura”, “Poggi in inverno”, “Totona, presso Montepulciano”, “Crete Senesi”, “il paradiso delle lepri”, “La primavera”, “Crete senesi”, “Siccità”, “Nuvole e boschi”, “Crete in estate”, “La querce nella neve”, “Le balze di Monte Oliveto”, “Mietitura in Val di Sorra”).
Le tele con olio su compensato sono realizzate nel periodo dal 1920 e il 1956. Tra una sala e l’altra si sentono le parole di Luzi registrate, che per oltre venticinque anni, dal 1979 al 2005 soggiornò a Pienza. Cittadino onorario di Pienza, il poeta ha amato molto le nostre terre delle Crete riprese negli oli dai colori originali e avvolgenti, come nella descrizione di un viaggio in una leggenda consacrata alle vertigini senesi: si passa per la scala dei grigi usata per le colline argillose, ai verdi brillanti delle vedute su Siena.
L’essenziale sta nella capacità che l’olio regala sia al pittore che allo spettatore nella gradazione cromatica, la scelta meticolosa e paziente dei colori, infatti e la gradazione degli stessi, detta le differenze tra i campi avvolgenti e i cieli nuvolosi. È così che l’Autunno è un paesaggio diviso nelle sue nature, a sinistra quella tardiva di un manto d’oro a destra quella avara, prepotente e sconfinata del verde. Al centro un albero dalle grosse chiome che si staglia tra i giochi dei verdi e dei blu all’orizzonte. [1]
In questo articolo si riportano le opere delle Crete (da 2 a 10), ma in mostra si trovano tanti altri dipinti di luoghi evocativi (si può intuirlo anche dai titoli delle opere stesse) come un profondissimo cielo che finisce in un orizzonte boschivo in “nuvole e boschi”, gli orizzonti verso Montepulciano, la valle dello Stile che lasciano spazio alla poesia, alla felicità o al dolore degli uomini, e cristallizzano il dono della natura in una capacità nuova di districarsi tra i paesaggi.
I punti di contatto tra i pittori italiani dello stesso periodo di Neri non sono evidenti ad un primo colpo d’occhio, e anche Luzi stesso e Neri non si sono mai accompagnati pubblicamente, come scrive il curatore della mostra Leonardo Scelfo:
“Dario Neri e Mario Luzi non si conoscono, almeno direttamente, non si sono mai confrontati artisticamente”.
Eppure il destino di entrambi è associato a Pienza e alle terre senesi, al vivido incontro tra pittura e poesia.
A questo punto Neri passa attraverso le persone, coloro che lavorano anche alla mietitura, la trebbiatura, l’artigianato campestre nel territorio senese senza tralasciare di raccontare l’Amiata, monumentale, diletta, spettatrice quasi sacra che anche Luzi celebra:
“Il profilo del Monte Amiata, che guardo dalla finestra, a Pienza, è come una visione della memoria, filtrata attraverso il tempo. Proprio il suo profilo, appare talmente delicato che non è più una montagna, è una forma dell’avventura umana: potrebbe essere la montagna del Purgatorio, il Paradiso terrestre. Una straordinaria epifania (…)”.
La lezione di Leopardi, come in Origo (Iris Origo, Leopardi, Castelvecchi, 2015) è forte in queste terre, ma non possiamo dimenticare di menzionare l’invenzione dantesca per Luzi, che ne aveva assimilato il lavoro e la voce.
“Dante è stato uno dei miei maestri”, dirà nelle interviste, “è un esempio di alto stile poetico e di impareggiabili emozioni intime e anche testimonianza di umanità così commuoventi”.
Rielaborato il tema dell’Amiata in Neri (L’Amiata dalle Crete, 1950) appare sulla sinistra del quadro in una figura appuntita impressa nei blu e viola della lontananza. [4] Sul primo piano, un’apertura sensuale di valli di grano che non sottrae potenza all’essenza della cima del vulcano, anzi ne conferma un dialogo col pittore come fatta di suprema delicatezza, foderata e idealizzata proprio come in un affresco.
Altrettanto vive le opere delle allegorie delle stagioni (come la bellissima opera “Estate”, “Autunno”, “Primavera”). Un vero e proprio excursus tra la creta che va a formare le colline e il grano maturo che rende le distese meno brulle, un’immersione nei mesi (come in “Mattino di maggio”, “Luglio”) che mostrano come non ci si è soliti ripetersi negli anni, che con le Crete si tratta di venire a patti con sé stessi: si cerca di rispondere alle domande sul tempo come qualcosa che ci attende, una epifania dell’evento. Scrive ancora Neri: “sembrano miracoli di pazienza e di tenacia” non dimentichiamo infatti che il pittore fu direttore dell’Istituto d’arte senese dal 1939 al 1943, che fu membro della consulta municipale di Belle Arti, presidente della commissione provinciale per la tutela del paesaggio. Quando lasciò la direzione dell’Istituto Sclavo, di cui si occupò per moltissimi anni, si dedicò ai testi d’arte come editore fondando l’Electra Editrice. Se quindi Neri tradusse la sua pazienza e tenacia nel paesaggio è anche vero che il paesaggio permette riflessioni poetiche e irripetibili in spiriti temerari e liberi come quello di Neri e Luzi.
Si passa quindi, per le Crete tormentose e predilette, [3] che il pittore dipinge come in istanti di dinamismo, di movimenti che presagiscono promesse di cambiamento, dalle curve sensualissime e ricercate, che sembrano comunicarsi a noi come capaci di meraviglia, anche se incomprese non sono per niente prive di slancio, anzi, finiscono per rappresentare un paesaggio verosimile, fiabesco, simbolico, con le cime bagnate di terra e pochissimi alberi sopravvissuti quasi allo smarrimento mentre il cielo sereno bilancia l’audacia della visione. In inverno le Crete Senesi [4] riacquistano il loro aspetto eterno, arpeggiato nei grigi e immaginifico in dei tratti, come in Tramonto nelle crete [6], in Crete dalla foce a Mezzogiorno [7], Crete senesi [9]. In Visione estiva delle crete [8] Neri aggiunge alle sue visioni una casa sulla destra, con dei cipressi, sullo sfondo centrale la vetta dell’Amiata, e anche qui una strada dalle linee sinuose che serpeggia costeggiando il podere, mentre incombono immense e grigie le biancane. In estate però a guidare il nostro sguardo l’oro del grano come in Crete Senesi [10] anche questo instabile, informe, metafisico, come nudo.
E se la nudità segna il passaggio dal finito all’infinito, sperduti nelle immensità fiabesche delle Crete di Neri restiamo sorpresi da una bellissima Primavera [11] di una fanciulla nuda, elegante e sinuosa che gioca con le primizie di un ramo, dei fiorellini bianchi.
Stesa sulla destra del dipinto tiene con il braccio sinistro il ramo per ascoltare il profumo dei fiori, e con la destra gioca coi petali. Segno di gratitudine, abbondanza, purezza e abbandono, la fanciulla non appare come una delle tipiche ninfe che solitamente avanzano nei quadri paesaggistici di nostra conoscenza, anzi la Primavera in Neri è forte e ruvida come le Crete, specchio livido di chi ascolta le nostre terre, simbolo trascendente, musa fiduciosa che si accompagna alle parole di Luzi:
“Ogni presenza umana ha un doppio aspetto, c’è quello esistenziale di semplice relazione, e poi però c’è quella capacità di rigenerarsi, di rigenerarsi come mito, come immagine mitica, come immagine di tipo trascendentale”.
Non possiamo che essere grati.
Sabatina NAPOLITANO Asciano (SI) 9 Luglio 2023