di Sante GUIDO & Giuseppe MANTELLA*
Sante Guido e Giuseppe Mantella svolgono attività di restauro a Roma dalla metà degli anni Ottanta. Hanno all’attivo numerosi restauri quali la Medusa e l’ Urbano VIII di Gian Lorenzo Bernini presso i Musei Capitolino oltre all’ Estasi di Santa Teresa d’Avila e alla Cappella Cornaro nella Chiesa della Vittoria; opere di Arnolfo di Cambio e Antonio del Pollaiolo nella basilica di San Pietro in Vaticano. Da 25 anni lavorano a Malta, ad iniziare con un progetto di restauri di circa 10 anni nella co-cattedrale di La Valletta. Da più di 15 lavorano ad un progetto di ricerca su “Mattia Preti a Malta”, pittore del quale hanno restaurato circa 30 dipinti l’ultimo dei quali “I Cinque Sensi ” di Palazzo Barberini. Guido è docente a contratto presso le Università di Trento e Pontificia Gregoriana di Roma. Mantella è direttore della Fabbriceria della cattedrale di Gerace (RC). Con questo articolo iniziano al loro collaborazion con About Art.
«in conformità del parere del Cavalier Matthia»
Opere e avvenimenti nella chiesa di Santa Caterina a La Valletta durante il primo soggiorno maltese di Preti nell’estate del 1659
Entrando, attraverso la porta principale, all’interno della fortificazione che racchiude La Valletta, dopo pochi metri sul lato destro è ubicata la chiesa dedicata a Santa Caterina d’Alessandria [fig.1], annessa all’Albergo della Lingua d’Italia, ove risiedevano i cavalieri italiani − indifferentemente dal loro luogo di nascita o regno di provenienza − dell’Ordine Gerosolimitano di San Giovanni Battista.
Un edificio di culto che assunse particolare importanza in relazione alle vicende e alle opere realizzate nel primo breve viaggio a Malta, nell’estate del 1659, di fra’ Mattia Preti[1] «cavaliere d’obbedienza » − fin dal 1641 con Breve di papa Urbano VIII[2] −, su invito del gran maestro, lo spagnolo Martin de Redin (1657-1660)[3], come ricordato sulla tomba del pittore [fig.2]
L’edificio venne costruito tra il 1576 e il 1579, quale cappella privata dell’Albergo, dall’architetto dell’Ordine Girolamo Cassar, artefice della costruzione di quasi tutti i palazzi pubblici della città, a poco anni dalla suo fondazione, in base al progetto urbanistico del cortonese Francesco Laparelli (1521-1570). La chiesa fu da subito dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, quale patrona dei cavalieri italiani[4], fin dal medioevo quando in Terra Santa ad essi venne affidata la custodia del monastero sul monte Sinai sorto attorno al luogo ove gli angeli portarono in volo il corpo della giovane Santa[5].
La chiesa, originariamente costituita da un modesto vano a pianta quadrangolare coperto da una volta a padiglione costolonata, venne in parte ricostruita tra il 1607 e il 1627 su disegno di fra’ Fulvio Tassoni[6], cavaliere e architetto militare dell’Ordine che aveva lavorato per il re di Polonia, Sigismondo III Vasa. La primitiva cappella divenne il presbiterio di una nuova più vasta costruzione mediante l’aggiunta di grande un’aula ottagonale [fig.3].
L’edificio seicentesco corrisponde all’attuale struttura con otto imponenti semipilastri sui quali si impostano gli arconi a tutto sesto che scandiscono le pareti interne, al di sopra dei quali si ergono una grande cupola suddivisa in otto spicchi e una piccola lanterna dalla forma allungata [fig.4]. La cappella, modificata per integrarne le forme architettoniche cinquecentesche ai nuovi volumi barocchi, venne coperta con una cupola posta sopra l’altare. Tra il 1713 e il 1721 la chiesa venne ulteriormente arricchita, su progetto dell’architetto Romano Carapecchia, allievo di Carlo Fontana[7], di un nuovo altare maggiore marmoreo, di una cantoria su balconata, di due altari minori, di dorature e nuovi ornamenti e soprattutto di una nuova facciata, costituita da un imponente pronao con coronamento a serliana.
La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, chiusa per anni e restaurata al suo interno in tutte le sue parti decorative tra il 2008 ed il 2011, grazie ad una serie di sponsor organizzati dall’Ambasciata d’Italia a Malta, è oggi luogo di preghiera della numerosa comunità italiana residente sull’isola, al punto di essere nota con l’appellativo di “Chiesa d’Italia“. Interessante annotare che il restauro della volta ottagona, dal quale queste osservazioni sono scaturite, era stato precedutoda un intervento eseguito nel 1665 da parte dell‘Istituto Centrale di Restauro di Roma diretto da Pasquale Rotondi ed eseguito da Luigi Pigazzini e Guido Regoli, come attestato da una dipintura non visibile da terra, [fig.5].
Ritornando a Preti e alle vicende relative alla chiesa dell’Albergo d’Italia, non è ancora stata data la necessaria importanza alla sua trasformazione, avvenuta nell’estate del 1659, con decorazioni uniche nel contesto maltese e foriere di novità che cambiarono per sempre la storia dell’arte di Malta, della quali il «cavalier calabrese» divenne ispiratore e protagonista.
Fra’ Mattia Preti, da poco giunto sull’isola, presentò istanza ai suoi confratelli italiani di essere elevato dal grado di «cavaliere d’obbedienza » dopo 18 anni di appartenenza all’Ordine Giovannita. L’11 agosto 1659, fra’ Fabrizio Cagliola presentò quindi al consiglio della «Venerabile Lingua Italia» un memoriale nel quale
«Matthia Preti Cavaliere obedientia magistrale servitore umilissimo delle Signorie Loro Reverendissime espone che, per obbligarsi maggiormente a servire il loro Sacro Ordine, desidera essere ammesso nello stato e grado di Cavaliere di Gratia»[8].
Nella stessa riunione venne inoltre discusso uno secondo argomento[9] che coinvolse il celebre artista cioè «di procurar il riparo di opera [di pittura] fatta alla rozza per mano di pittor capace a disposizione del Cavalier fra’ Matthia»[10]. Sul fine degli anni Cinquanta del Seicento, infatti, erano stati intrapresi nella chiesa di Santa Caterina, interventi di riqualificazione riguardanti le superfici murarie interne dei quali il consiglio della Lingua d’Italia non era soddisfatto e per i quali necessitava un diverso progetto d’intervento. Avere a disposizione un artista di fama come Preti fu occasione che i suoi confratelli non si fecero quindi sfuggire. Da un secondo documento redatto esattamente tre mesi più tardi − 10 novembre 1659 − si evince che fra’ Mattia effettivamente assolse alla richiesta del consiglio della «Venerabile Lingua Italia» in quanto il «remediamento della pittura in detta cappella [ fu realizzato ] in conformità del parere del Cavalier Matthia dato a Leonardo Romeo Pittore»[11]. L’operato di Romeo, che probabilmente era già l’artefice della «opera fatta alla rozza», venne quindi rimodulato e realizzato tra l’agosto ed il novembre del 1659 su precise indicazioni fornitegli da Preti.
L’intervento consistette nel creare una base neutra e uniforme sulle superfici murarie, eliminando nel caso del pareti dell’aula centrale, pregressi motivi ornamentali e simbolici, con rose e stemmi − identificati in tracce durante i recenti restauri − che sarebbero risultate incongruenti con il un nuovo progetto decorativo. Frutto dell’ingegno del «cavalier calabrese» fu infatti l’ideazione di concentrare sulle superfici della cupola l’intero apparato esornativo con una composizione a finti stucchi, che ornano gli otto spicchi della grande cupola [fig.6] a costoloni con festoni,
secondo uno schema tipico del barocco romano di metà Seicento, e con scene monocrome, a finto rilievo scultoreo, racchiuse in elaborate cornici architettoniche con Storie di Santa Caterina d’Alessandria [fig.7].
Una sintassi decorativa della quale non si ha alcuna testimonianza a Malta prima dell’arrivo di Preti sull’isola. La narrazione agiografica, suddivisa negli otto medaglioni, inizia con la prima vela a sinistra dell’ingresso principale che rappresenta La nascita di Caterina ambientata all’interno del palazzo reale; prosegue con l’Incontro con l’eremita, che le dona un quadro dipinto con l’immagine della Madonna. Il medaglione che segue è dedicato alla Visione mistica di santa Caterina alla quale appare la Vergine in trono con il Bambino che evita di rivolgerle lo sguardo, sdegnato per la mancata conversione della giovane. Caterina quindi si reca nuovamente con la madre presso l’eremita e chiede di ricevere il Battesimo. La giovanetta convertita al cristianesimo è sottoposta dal governatore Massimino ad un confronto con retori, filosofi e sacerdoti ai quali controbatte con le argomentazioni della Fede nella Disputa. La successiva Reclusione è la conseguenza della sua caparbietà nel rifiutare di adorare idoli, cui segue il primo terribile Supplizio della ruota [fig.8] che fallisce per intervento divino.
A questo punto il racconto a episodi descritti sulla cupola si interrompe e la storia prosegue con l’immagine della pala d’altare, famoso dipinto a olio con la raffigurazione del Martirio di Santa Caterina [fig.9], che è quindi parte integrante della sequenza narrativa illustrata sulla volta, della quale costituisce il momento più significativo. Il racconto si conclude con l’ultimo medaglione a monocromo che raffigura l’epilogo della vicenda con la Traslazione delle spoglie mortali della giovane fanciulla martirizzata portate in volo da angeli sul monte Sinai.
Il ciclo pittorico, che Preti fece eseguire sotto la sua direzione da maestranze locali, presenta decorazioni fitomorfe ed architettoniche con una precisione attenta e schematica priva di elaborazione personale. Questo venne realizzato ad olio direttamente sul parato murario, costituito da blocchi della tipica pietra maltese. Si tratta nello specifico di un biocalcare marino, detto globigerina, del tutto simile a quello della Val di Noto in Sicilia che caratterizzata tutti gli edifici storici delle due isole al centro del Mediterraneo. La pietra, come evidenziato dalle indagini scientifiche propedeutiche all’intervento di restauro, venne imbibita d’olio e ricoperta da un sottile strato di bianca, carbonato di piombo, anch’essa diluita in olio[12]. Tale trattamento servì a conferire una maggiore omogeneità alla superficie, neutralizzando le irregolarità del supporto lapideo, dovute alle naturali cavità della globigerina e ai segni di lavorazione dei blocchi della muratura, e inoltre ad ottenere un uniforme tono neutro sul quale eseguire, per mezzo di larghe campiture, tutta la decorazione monocroma realizzata sui toni del bianco e del grigio chiaro. Le otto scene delle Storie di Santa Caterina d’Alessandria furono invece realizzate con poche e velocissime pennellate, con una capace tecnica pittorica, lasciando a vista, quale fondo, la pietra locale sfruttandone il naturale colore miele intensificato dall’imbibizione dell’olio [fig.10];
sopra tale strato furono eseguite le figurazioni con rapide pennellate bianche e nere con straordinario effetto monocromo, unico caso maltese, grazie a due soli pigmenti quali il bianco di san Giovanni e il nero carbone molto diluiti in olio. Si tratta del lavoro di un pittore altamente capace nel proprio mestiere, che ben utilizza la tecnica della pittura a olio direttamente sul parato murario e altrettanto egregiamente conosce l’uso degli effetti tonali a contrasto, che a distanza appaiono perfettamente congrui con una resa pittorica descrittiva e naturalistica. I documenti fin qui rintracciati non possono supportare l’ipotesi che Preti sia anche l’autore di queste figurazioni che appaiono stilisticamente distanti dalle prove più alte del “cavalier calabrese” ma possono, in via ipotetica, attribuirsi a Leonardo Romeo, del quale al momento non sono ancora state rintracciate altre attestazioni archivistiche o opere attribuibili alla sua mano[13]. Al «Cavalier Matthia» è tuttavia sicuramente attribuibile il ruolo di protagonista nella direzione dell’intervento, solerte nel suggerire la struttura compositiva articolata in ornamenti, putti giocosi e finte architetture, ma soprattutto il ruolo di ispiratore degli ovali a monocromo delle Storie di Santa Caterina che presentano possibili rimandi al cantiere napoletano di San Pietro a Maiella, realizzato tra il 1657 ed il 1659, le cui composizioni iconografiche sono in parte d’ispirazione dei finti rilievi della cupola maltese.
Forte dell’esperienza acquisita nel cantiere per le decorazioni a olio su muro per la cupola grande, fra’ Mattia realizzò, negli stessi mesi dell’estate del 1659 e con la stessa tecnica, la raffigurazione della Gloria di Dio Padre tra Angeli [fig.11], sulla piccola cupola del presbiterio.
Una immagine identica a quella che dipingerà alcuni anni più tardi − 1663 circa − al centro della volta nella chiesa conventuale di San Giovanni, come fulcro della narrazione agiografica dell’intera vita del Battista[14] e che rimanda a più di un rifermento ad opere precedenti.
La Gloria di Dio Padre tra Angeli è un’opera di particolare importanza in quanto può considerasi il suo primo esperimento autografo di Preti di pittura a olio sulla pietra maltese. Dal raffronto ravvicinato in fase di restauro fra le decorazioni della cupola grande e quelle eseguite sul cupolino sopra l’altare emergono similitudini e discordanze che attestano come Preti calibrò la tecnica maltese dell’olio su muro in relazione al suo modo di dipingere a olio, ma su differente supporto quale la tela.
NellaGloria di Dio Padre, il Cavalier Calabrse, si preoccupò di predisporre il parato lapideo livellandolo con un primo strato di preparazione a biacca[15]. È quanto risulta evidente a luce radente [fig.12], ove la pellicola pittorica appare stesa direttamente sulla pietra precedentemente imbibita di olio [fig.13], come confermato dalle stratigrafie e dalle foto a luce ultravioletta[16].
Una mancanza che condizionò pesantemente la buona conservazione del dipinto, maggiormente soggetto quindi alle sollecitazioni ambientali e al conseguente forte degrado della pellicola pittorica [fig.14]. Si è riscontrata invece una perfetta analogia − per mezzo di indagini stratigrafie − tra l’opera di Preti e quella delle maestranze maltesi, circa la tecnica esecutiva del dipinto: la lettura delle sezioni dei campioni analizzati mostra una pellicola pittorica di pochi micron costituita, nella maggior parte dei campioni analizzati, da bianco di piombo e smaltino molto diluiti in olio, stesi per larghe campiture di fondo per definire le aree successivamente interessate per i dettagli, da colpi di luce e zone d’ombra. Preti, fatto tesoro della lezione dei colleghi maltesi, lasciò a vista larghe zone di pietra imbibita d’olio sfruttato il tono biondo non solo per i fondi neutri, ma anche per le campiture degli incarnati o delle nuvole. L’artista utilizzò con abilità questo espediente per velocizzare i tempi di esecuzione senza pregiudicare il livello qualitativo del suo lavoro per il quale si servì di diversi pigmenti molto diluiti. Sono stati infatti identificati, oltre al bianco di piombo, il bianco di San Giovanni, lo smaltino per i toni blu del cielo e l’azzurrite per i verdi delle vesti degli angeli; le ocre calde, le lacche rosse ed il minio per i toni degli incarnati; le campiture gialle si devono all’uso di ocre chiare e di terre, mentre quelle scure vennero impiegati il nero carbone e terre brune. L’intera decorazione appare realizzata senza l’ausilio di disegni preparatori o incisioni guida sulla superficie: è stato possibile rilevare solo sparute tracce di grafite in punti isolati. Il colore è applicato in larghe stesure, seguite da rare corpose pennellate in sovrapposizione per creare le ombre più marcate; i volti sono dipinti con estrema rapidità: nei grandi occhi scuri, nelle bocche e nelle chiome mosse si riconoscono i caratteri tipici della produzione del “cavaliere calabrese”. Non si sono riscontrati pentimenti rilevanti, con l’eccezione del panneggio della veste di un angelo nel gruppo prospiciente la figura di Dio Padre, emendato per sovrapposizione e parzialmente occultato da una nuvola.
Il restauro ha evidenziato la sapiente tecnica compendiaria del «Cavalier Matthia» maestro nel “mestiere del dipingere” con poche pennellate di colore e deformazioni prospettiche dei corpi sulle superfici curve della calotta semisferica che, se da una visione ravvicinata appaiono deformi, restituiscono invece dal basso quali perfette composizioni [fig.15] che rimanda a più note ed autografe figurazioni sospese nel cielo tra nubi, come ad esempio quelle della chiesa di San Biagio a Modena o a quelle dell’Allegoria dell’Aria, che Preti dipingerà nella primavera del 1661 nella seconda stanza al piano nobile di Palazzo Doria Pamphilj a Valmontone, ultima opera italiana prima del definitivo trasferimento a Malta.
La straordinaria esperienza acquisita nel cantiere della chiesa di Santa Caterina, permise a Preti, consapevole delle caratteristiche della pietra maltese quale supporto e medium da impiegare come base per la stesura della pellicola pittorica, di realizzare il prestigioso ciclo pittorico con le Storie del Battista dipinto in solo cinque anni tra il 1661 ed il 1666 appena trasferitosi definitivamente a Malta[17]. [fig.16]
Preti nell’estate del 1659 trovò pertanto il modo di mettere a punto una tecnica pittorica perfettamente funzionale ai materiali locali e alla sua «maniera veloce» di dipingere sfruttando inoltre, come confermato in occasione del restauro, effettuato nel 2013, del monumentale Trionfo dell’Ordine [fig.17] nella controfacciata della chiesa conventuale,
il caldo tono della pietra maltese, parzialmente lasciata a vista come componente cromatica delle raffigurazioni sulle quali applicare il colore con pennellate molto diluite. Caratteristiche tecniche che fra’ Mattia continuò ad utilizzare a Malta fino al termine della sua carriera, quando venne chiamato a realizzare il Naufragio di San Paolo nel catino absidale della cattedrale di Mdina concluso nel 1689.
Il capolavoro di Mattia Preti nella chiesa dell’Albergo d’Italia rimane tuttavia la grande pala d’altare con la maestosa scena del Martirio di Santa Caterina [fig.18], realizzata a Napoli nella primavera del 1659 durante le fasi conclusive della decorazione del soffitto di San Pietro a Maiella con 10 tele con le storie della stessa Santa e di san Celestino V. Si tratta di un dipinto ad olio di grandi dimensione − cm 365 x 267 −, eccezionalmente realizzato su una unica grande pezza di canapa, che egli donò ai suoi confratelli Cavalieri d’Italia quale prova della sua arte. Il 10 giugno di quell’anno infatti, come viene segnalato da un documento d’archivio, «nella sala delli Venerandi Ammiragli si trova conservato il quadro di Santa Caterina del Cavalier Preti», per il quale doveva ancora essere stabilita la destinazione definitiva. Compiaciuti e ammirati per il prezioso omaggio ricevuto dal celebre pittore, i componenti dell’Assemblea della Lingua d’Italia, l’11 agosto successivo e sempre nella riunione della quale si è già accennato, accordarono a Preti l’ammissione al grado di «Cavaliere di Grazia» quale « ricompensa del donativo che ha fatto alla Venerabile Lingua del quadro di Santa Caterina sua mano»[18]. La scena della decollazione della Santa venne posta sull’altare della chiesa e, come già accennato, costituisce il momento più significativo del racconto agiografico che si sviluppa nei monocromi della cupola, attestando quindi la perfetta orchestrazione di fra’ Mattia nell’intera progettazione delle decorazione della chiesa.
Il dipinto, in pessime condizione di conservazione prima del recente restauro [fig.19], illustra gli inutili tentativi di Massimino, governatore romano di Egitto e Siria, di imporre alla fanciulla l’abiura a Cristo e la conseguante definitiva e rabbiosa condanna. In primo piano è raffigurato l’attimo esatto nel quale il carnefice sta per sguainare la speda. Per la grande pala l’artista rielaborò l’analogo soggetto già dipinto nella chiesa napoletana di San Pietro a Maiella, con un inquadramento che, grazie al taglio prospettico dalle ascendenze teatrali, concentra la tensione sul momento del martirio. La tela prevede infatti la visione dal basso che conduce per piani, occupati prima dagli astanti poi dagli imponenti gradini in pietra grigia del podio, alla scena centrale. Caterina investita dalla luce divina va incontro al suo destino con la serenità ferma e fiduciosa che aveva contraddistinto i momenti significativi della sua vicenda. La fanciulla, illuminata dalla grazia, emerge dall’oscurità grigia e confusa del fondo con il candido incarnato che si tinge di rosa, con la preziosa veste cangiante e il manto ambrato e luminoso che evidenziano la sua nobile origine. E’ la stessa luce attraverso la quale Preti costruisce la figura del giustiziere, piena di contrasti cromatici e chiaroscurali. Tutto intorno, attoniti spettatori contribuiscono all’intensità drammatica del momento con una partecipazione emotiva trattenuta, quasi introspettiva, colta nell’attimo tesissimo e sospeso che precede il compimento ultimo della vicenda terrena della Santa. Collocati in alto, all’origine della grazia divina, due putti alati assistono alla scena con la corona destinata alla martire, mentre sulla destra altri due angeli sono pronti per trafugare le sacre spoglie di Caterina per trasportarle sul Monte Sinai.
La pittura di Preti è veloce e sapiente e i colori quasi puri sono stesi con pennellate corpose. Il restauro del dipinto ha evidenziato alcuni pentimenti tipici del fare del maestro che tuttavia servono a comprendere l’intento anche didascalico dell’immagine e l’esigenza di ottenere la più perfetta chiarezza rappresentativa: volendo isolare la figura di Caterina al centro della composizione in modo da darle maggior risalto il pittore trasforma una grande alabarda dipinta sul lato sinistro in una sottile lancia, mentre sulla destra due volti di giovani donne [fig.20], già ben definiti nei dettagli, vengono nascosti −oggi a vista a causa di un pessimo restauro ottocentesco − ricoprendoli con la tinta del cielo blu lapislazzuli.
Il soggetto e l’interpretazione date da fra’ Mattia del martirio della giovane ebbero presto un tale successo e risonanza da rendere necessaria l’esecuzione di numerose copie come quella realizzata per la chiesa parrocchiale a Zejtun, nel sud di Malta, dedicata alla Santa; quella oggi conservata nel Musée Granet a Aix-en-Provence e quella nella della Basilica di Santa Caterina a Pedara (Catania). Quest’ultima ripropone, forse grazie all’utilizzo di un cartone, la stessa immagine del dipinto ma in modo speculare, con la giovinetta rivolta a destra ed il carnefice al suo lato sinistro[19] e si pone quale opera di grande interesse per quanto riguarda la bottega di Preti sulla cui individuazione e attività sono in corso ricerche negli archivi maltesi.
Il dipinto del Martirio di Santa Caterina, giunto da Napoli, rappresentò per Malta non solo la straordinaria prova del talento del “cavalier calabrese”, ma soprattutto – nel 1659 – il primo esempio sull’isola di una macchina barocca ricca di suggestioni ed effetti teatrali tipici del linguaggio barocco, nell’interpretazione di fra’ Mattia Preti, fatto di immagini cariche di enfasi retorica e suggestivi effetti scenografici, mai visti prima se non nelle opere lasciate sull’isola cinquanta anni prima -1608 – da Caravaggio.
Sant GUIDO Roma 6 ottobre 2109
*Parte dei dati qui riportati sono desunti da S. Guido, G. Mantella, Mattia Preti 1613-2013. The Masterpieces in the Churches of Malta. A Commemoration of the Fourth Centenary of the Birth of the Cavalier Calabrese, Sliema (Malta) 2013.
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