di Gloria GATTI*
Da alcune settimane si sta celebrando un nuovo “processo” mediatico alla Battaglia di Anghiari, questa volta negando che Leonardo l’abbia mai dipinta.
La sala Grande di Palazzo Vecchio e la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci è il titolo di un volume collettivo a firma di Emanuela Ferretti, Gianluca Belli, Cecilia Frosinini e Roberta Barsanti, pubblicato dalla Casa Editrice Leo S.Olschki nel dicembre del 2019, che raccoglie gli Atti del Convegno Internazionale di Studi «La Sala Grande di Palazzo Vecchio e i dipinti di Leonardo. La configurazione architettonica e l’apparato decorativo dalla fine del Quattrocento ad oggi, tenutosi il 17 dicembre 2016 a Firenze.
Dopo un silenzio di quasi quattro anni dal convegno e di un anno dall’uscita della pubblicazione, coincisa con il cinquecentenario della morte di Leonardo, il volume è stato presentato a Firenze il 7 ottobre scorso nell’Auditorium Vasari della Galleria degli Uffizi, alla presenza del direttore del museo Eike Schmidt e si propone, con un approccio, definito dagli autori scientifico rigoroso e multidisciplinare, «unico antidoto alla derealizzazione mediatica», di dimostrare che Leonardo non realizzò mai La Battaglia di Anghiari ma solo il suo cartone e che
«la vicenda della ricerca dei presunti resti della Battaglia di Anghiari partecipa appieno del clima entusiastico che si sviluppa ogni qualvolta il nome dell’artista di Vinci venga associato ad una indagine dai caratteri più simili al romanzo giallo che ad un progetto scientifico».
Il testo, tuttavia, rilegge solo le fonti archivistiche note e le reinterpreta grazie anche a una meticolosa ricostruzione del contesto storico e politico del tempo, formulando una tesi antitetica a quella per decenni sostenuta, tra gli altri, dal Prof. Carlo Pedretti, massimo esperto del genio vinciano e autore di oltre 600 pubblicazioni in materia tra saggi e libri, scomparso il 5 gennaio del 2018, e pubblicate nel ’68 nel libro Leonardo inedito, e corroborata dalle ricerche scientifiche pubblicate dall’ing. Maurizio Seracini e dallo stesso condotte nella Sala Grande di Palazzo Vecchio (il Salone dei Cinquecento) e fortemente credute dall’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi e autorizzate da MIBACT e Soprintendenza.
In particolare, l’esame endoscopico, eseguito all’interno dei microfori (realizzati dai restauratori dell’Opificio delle Pietre Dure) sulla parete est della Sala retrostante la Battaglia di Scannagallo dipinta da Giorgio Vasari nel 1565 circa, ha permesso di dimostrare l’esistenza di una intercapedine di circa 3 cm tra il muro su cui si trova la pittura vasariana e la parete retrostante, come già in precedenza ipotizzato con una indagine tramite georadar.
Inoltre, l’analisi chimica dei frammenti di materiale organico prelevati attraverso le 7 microperforazioni (di 6-10 mm di diametro) ha consentito di individuare del “materiale nero” di natura organica, che presenta un’insolita abbondanza di manganese rispetto al ferro, composizione rara e corrispondente a quella rinvenuta nei dipinti di Leonardo nelle collezioni del Louvre (Gioconda e San Giovanni) così come descritta nelle pubblicazioni scientifiche di Philippe Walter, direttore del Laboratoire d’archeologie moleculaire et structurale (Lams), Cnrs, Universite´ Pierre et Marie Curie (Upmc) pubblicate nella “European Review” (Vol. 21, No. 2, 175–189 r 2013 Academia Europæa).
Nonostante la lezione di Galileo e un calendario che segna l’anno 2020, arte e scienza sono ancora in lotta e non in dialogo secondo un approccio realmente multidisclinare, e la “Battaglia” di Leonardo, artista e scienziato, per beffa della sorte, ne è diventata il nuovo simbolo.
Ma gli autori del volume definiscono “quella” ricerca scientifica
«[un tentativo] irresponsabile e violento di chi ai nostri tempi ha voluto andare a vedere se c’era un Leonardo in quella sala nascosto dietro l’affresco del Vasari»,
tralasciando di rammentare che i 7 microfori furono eseguiti da personale della Soprintendenza, in punti da loro scelti e in cui la pittura vasariana era caduta o in corrispondenza di ridipinture riferibili a interventi di restauro senza, quindi, arrecare danno alcuno all’affresco e senza metterlo in pericolo, come anche attestato dalla Procura di Firenze che ha archiviato la denuncia presentata per il suo lamentato danneggiamento da una folta schiera di intellettuali conservatori.
La storiografia del cinquecento sulla Battaglia, tuttavia, per come è a noi pervenuta, da sola, non può, nemmeno grazie a una rilettura corale, competente, contemporanea e umanisticamente multidiciplinare, come quella tracciata dagli autori nel volume, dare alcuna certezza, a differenza della scienza, e solo per quanto le compete.
Le fonti archivistiche frammentarie non consentono una lettura univoca e molti sono gli elementi, senza pretesa di esaustività, che potrebbero deporre a favore dell’esecuzione di una pittura muraria da parte di Leonardo in quel luogo.
Il 14 marzo 1505 fu montato il ponte di fronte alla parete da dipingere, il 31 agosto dello stesso anno, risultano pagati 5 fiorini «a Ferrando spagnolo dipintore per dipingere con Lionardo da Vinci nella Sala del Consiglio» e 1 fiorino a Tomaso di Giovanni Masini suo garzone «per macinare i colori» e c’è anche la lettera con cui Anton Francesco Doni nel 1549, scriveva a un amico che si sarebbe recato in visita a Firenze che
«entrato in Palazzo… e salito le scale della Sala Grande, diligentemente date una vista a un gruppo di cavalli e d’uomini, che vi parrà una cosa miracolosa […] un pezzo di battaglia di Leonardo da Vinci che vi parrà una cosa miracolosa» e il «piccol principio» di pittura nei Ricordi di Bartolomeo Cerretani.
E in un processo “vero”, e non una battaglia mediatica (forse anche un po’ politica) la circostanza che Vasari avesse già protetto un’opera da una sua committenza con un tamponamento, come avvenuto per la Trinità di Masaccio e la sua Vergine del Rosario a Santa Maria Novella e la sua scritta “cerca trova”, forse, sarebbero stati ritenuti altri elementi rilevanti almeno per continuare a “cercare”.
Gloria GATTI Milano 22 novembre 2020