di Claudio LISTANTI
Un notevole successo di pubblico ha salutato il concerto del Quartetto di Cremona che l’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) ha inserito nella stagione concertistica in atto ed appartenente al progetto ‘Esplorando Schubert’ che l’istituzione musicale romana ha affidato alla prestigiosa formazione strumentale con la quale ha una collaborazione in esclusiva per la città di Roma, in essere dal 2013, che ha dato nel periodo straordinari frutti riguardo all’interpretazione dell’integrale dei quartetti per archi di Beethoven, Mozart e, ora con Schubert, per il quale ha orientato la lente di ingrandimento sulle ultime opere cameristiche per archi del compositore viennese. Un’operazione storico-musicologica che ha consentito e ne consente una analisi approfondita e ragionata della poetica musicale di ognuno di essi.
Esplorando Schubert, che lo stesso Quartetto di Cremona ha definito una ‘integrale in miniatura’ costituita da due concerti che hanno avuto inizio nella scorsa stagione e che si è conclusa con questo concerto del quale stiamo riferendo. Ma essere in ‘miniatura’ non significa superficialità né, tanto meno, povertà della proposta. Infatti questo breve ciclo di concerti ha posto in evidenza una parte importante della breve vita di musicista, scomparso all’età di 31 anni, nelle quali il sentimento della ‘fine’ dell’esistenza appare con una certa decisione.
Nello specifico sono state eseguite due opere pubblicate dopo la morte dell’autore, molto significative per esplicitare questo sentimento: il Quartetto per archi n. 14 in re minore D. 810 “Ver Tod und das Mädchen” (La morte e la fanciulla) ed il Quintetto in do maggiore op. posth. 163 D 956 due opere che per la composizione sono separate tra loro da quattro anni ma che, all’ascolto, possono considerarsi contigue.
Il Quartetto per archi n. 14 in re minore, D. 810 fa parte di un ciclo quartettistico che comprende altri due, quello il n. 13 in la minore D. 804 e il n. 15 in sol maggiore D. 887, ciclo che Schubert, nonostante ne desiderasse la conclusione, non riuscì a completare. Queste tre opere sono, quindi le ultime che il compositore viennese ci ha lasciato per il genere quartetto per archi.
Quartetto per archi n. 14 in re minore, D. 810 fu eseguito in una esecuzione privata nel febbraio del 1826, quindi Schubert ebbe la possibilità di ascoltarlo, ma fu però pubblicato solamente nel 1831. Elemento basilare di questo quartetto è il riferimento al lied “Der Tod und das Mädchen»” («La morte e la fanciulla») D. 531 che Schubert scrisse nel 1817 su un testo di Matthias Claudius il cui tema viene sviluppato dal musicista nel secondo movimento, lo straordinario Andante con moto che molti critici giudicano come ‘fulcro’ di tutta la composizione. Nel lied in questione c’è uno struggente dialogo fra la Morte e una fanciulla. Si tratta di un incontro drammatico nel quale la fanciulla cerca di scacciare la sua interlocutrice (“Sono ancora giovane… E non mi toccare”) ma la Morte cerca di incoraggiarla, nega la sua cattiveria e cerca di attrarla (“Non sono cattiva. Dolcemente dormirai fra le mie braccia”)
Queste parole hanno agito sulla sensibilità interiore del musicista conducendolo a riflettere sulla fine della vita ispirandone quindi le sonorità, spesso delicate e rarefatte, di questo secondo movimento, la cui drammaticità è introdotta dall’Allegro iniziale sentimento che ci porta nella ‘spettralità’ del secondo movimento dal quale il musicista esce con il magistrale terzo movimento (Scherzo e Trio) che sfocia nel brillante Presto finale con tratti a volte solenni, a volte particolarmente dinamici, quasi ad esorcizzare i contenti del drammatico episodio proposto dal lied. Una composizione che, come mette bene in evidenza il musicologo Lorenzo Tozzi nel coinvolgente saggio pubblicato ne programma di sala, può essere considerato “Una pietra miliare nel passaggio dal classicismo al romanticismo, considerata anello di congiunzione tra Beethoven e Brahms”.
Il Quintetto in do maggiore op. posth. 163 D 956 fu composto nel settembre del 1828, un paio di mesi prima della morte di Schubert, mentre la sua prima esecuzione avvenne al Musikverein di Vienna nel novembre 1850. Nel 1853 l’editore Spina lo pubblicò, ma in parte staccate, come opera postuma 163, mentre la prima edizione in partitura risale al 1871 grazie alla Peters.
Il Quintetto è un’opera a carattere ‘monumentale’, granitica nel suo insieme e con lo sguardo rivolto al futuro, elemento quest’ultimo che nella Storia della Musica ha creato sempre un rallentamento nella comprensione della poetica.
Già la scelta del violoncello come quinto strumento lo si può considerare una sorta di rottura con il passato. Mozart per composizioni di questo genere usò due viole e la soluzione adottata da Schubert, come sostiene spesso la critica, dona al brano una sorta di stile sinfonico e riesce a stabilire quella monumentalità prima accennata che ne caratterizza l’ascolto.
Il Quintetto in do maggiore D 956 è particolarmente complesso, una caratteristica che balza all’ascolto già dal primo movimento, Di tale complessità è emblematico l’iniziale Allegro ma non troppo con il complicato intreccio dei temi e delle parti nella quale si mette in particolare evidenza la contrapposizione tra le due parti violoncellistiche. Anche il successivo Adagio non si allontana da queste peculiarità; il contrasto tra la melodia eterea con il lirismo della sezione centrale del movimento crea una particolarmente tensione sonora che sfocia nello straordinario terzo movimento, Scherzo e Trio, con i molti evidenti caratteri popolari dove ritmi e melodie fanno regalano al brano lo spiccato carattere ‘sinfonico’ di tutta la composizione. A concludere l’incisivo Allegretto pervaso anch’esso da ritmi di danza che sovrastano alcuni elementi di malinconia che improvvisamente appaiono nello sviluppo melodico e che preludono alla conclusiva coda che sovrasta ed elimina ogni tristezza.
Il Quartetto di Cremona che ricordiamo è composto dagli strumentisti Cristiano Gualco che suona un violino Nicola Amati, Cremona 1640, da Paolo Andreoli che suona un violino Paolo Antonio Testore, Milano ca. 1758, da Simone Gramaglia che suona una viola Gioachino Torazzi, ca. 1680 e da Giovanni Scaglione che suona un violoncello Dom Nicola Amati, Bologna 1712; questi ultimi tre strumenti sono concessi da Kulturfonds Peter Eckes ha, come sempre, fornito una eccellente prova esecutiva. Come in altri concerti hanno messo in particolare evidenza una particolare amalgama che permette loro di offrire all’ascoltatore un intenso fraseggio ed una particolare cura del colore e della dinamica di suoni. Di grande effetto sono stati i due secondi tempi di ognuno dei brani proposti, l’Andante con moto del Quartetto D810 e lo strepitoso Adagio del Quintetto D956 nel quale sono riusciti a regalarci suoni rarefatti e impalpabili che sono stati forse l’elemento determinante per comprendere l’impronta interpretativa da essi impressa all’esecuzione. Per il Quintetto c’è stato l’inserimento del violoncello di Eckart Runge anch’egli giunto in compagnia di un prezioso strumento il violoncello dei fratelli Geronimo e Antonio Amati, Cremona 1495 concesso dalla Merito String Instrument Trust di Vienna. Runge ha dimostrato di essere strumentista di gran classe, ed inserito molto bene nell’insieme già perfetto del Quartetto di Cremona fornendo, assieme una prova di alto spessore esecutivo.
Il pubblico convenuto assai numeroso il 19 novembre scorso presso l’Aula Magna della Sapienza ha accolto l’esecuzione con molta soddisfazione applaudendo a lungo tutti gli interpreti a dimostrazione di un gradimento senza riserve ‘costringendo’ i cinque strumentisti ad un bis. Gli strumentisti hanno scelto un brano mahleriano il lied Ich bin der Welt abhanden gekommen (Perduto ormai io sono per il mondo) adattato per quintetto d’archi. Una scelta emblematica per il significato di tutta la serata in quanto, pur in presenza di una musica più ‘moderna’ rispetto allo Schubert proposto in programma, ha dimostrato di essere in linea con la poetica schubertiana esaltandone la sua modernità.
Claudio LISTANTI Roma 20 Novembre 2022