di Claudio LISTANTI
Sabato 12 ottobre l’Aula Magna della Sapienza ha ospitato il Quartetto di Cremona per recuperare il concerto che l’Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC) aveva programmato nella scorsa primavera e più volte riprogrammato in conseguenza delle manifestazioni organizzate dagli studenti della Sapienza che di fatto hanno bloccato le attività dell’ateneo romano.
Il concerto, che ha avuto un notevole riscontro di pubblico e un notevole successo, era molto atteso qui a Roma perché facente parte di un piccolo ma significativo ciclo di due concerti dedicato a quartetti per archi espressione della poetica musicale e della maturità artistica di grandi musicisti. Late Quartes è il titolo del ciclo iniziato nel novembre del 2023 con Šostakovič e il Quartetto n. 13 in si bemolle minore op. 138, con Dvořák e il suo Quartetto in fa maggiore op. 96 “Americano” di Antonin Dvořák e Borodin con il Quartetto n. 2 in re maggiore.
La seconda tappa di questo viaggio prevedeva la presenza di altre tre grandi pagine quartettistiche, opere di particolare rilievo della maturità di altrettanti grandi musicisti, composizioni di straordinario fascino come la Grande Fuga op. 133 di Ludwig van Beethoven, il Quartetto per archi n. 2 “Lettere intime” di Leós Janàček e il Quartetto per archi n. 6 in fa minore, op. 80 di Felix Mendelssohn-Bartholdy.
La proposta musicale della serata può essere considerata una sorta di quadratura del cerchio di questo excursus nella maturità compositiva di importanti musicisti della storia. Ciò che accomuna i tre quartetti ascoltati all’Aula Magna della Sapienza, oltre ad essere stati scritti nell’ultimo periodo della vita di ognuno di essa è, anche, quella di essere conseguenza di particolari ‘ossessioni’ personali che hanno condizionato specifici momenti dell’esistenza dei singoli musicisti. Tale elemento è stato confermato anche da Cristiano Gualco, il primo violino del Quartetto di Cremona che, come di consueto, ha commentato per il pubblico il contenuto di quanto eseguito.
Le tre ‘ossessioni’ sono di diversa origine esistenziale. Beethoven con la Grande fuga in si bemolle maggiore per quartetto d’archi op. 133, composta nel periodo 1825-1826 e dedicata all’Arciduca Rodolfo, è forse influenzato dalla ricerca di nuovi schemi e nuove forme il cui sguardo sia rivolto al futuro. Tale ricerca è ben presente nell’esperienza compositiva dei suoi ultimi quartetti, che coprono un periodo che va dal 1822 al 1826, ma che con la Grande Fuga giunge ad eccezionali livelli in quanto a superamento formale ed espressivo. In poco meno di venti minuti Beethoven riesce a colpire l’ascoltatore ad iniziare dalla seducente ‘Overtura’, dove presenta il materiale tematico che sarà sviluppato in maniera imponente per giungere ad una grandiosa ‘costruzione’ musicale che si sviluppa con la successiva fuga che si articola in tre sezioni ideali realizzate, di massima, come un allegro, un tempo lento e uno scherzo. Il musicista riesce a condurre un discorso musicale serrato e incisivo sia armonicamente che contrappuntisticamente per un risultato sonoro veramente strabiliante. Se riesce a rapire a quasi duecento anni di distanza l’ascoltatore del terzo millennio, il cui orecchio è abituato alle più ardite sonorità dell’ultimo secolo, possiamo immaginare, solo parzialmente forse, quale fosse l’effetto sull’ascoltatore del 1827 anno della morte di Beethoven.
Nel Quartetto per archi n. 2 “Lettere intime” di Leós Janàček l’ossessione è del tutto personale e ben descritta nel titolo “Lettere intime”. Composto nel 1928, poco prima della sua morte, nella versione definitiva è stato intitolato come ‘Lettere intime’, termine con il quale lo conosciamo oggi. Con esso l’autore volle rendere omaggio alla sua lunga amicizia con Kamila Stösslová, una donna sposata molto più giovane di Janáček. Una relazione questa di tipo spirituale (o forse anche più?) tradotta in musica ispirandosi alle numerosissime lettere che Janàček e Kamila si scambiarono per un rapporto che influenzò l’arte musicale del compositore ceco per almeno gli ultimi dieci anni della sua vita.
Anche questo quartetto (siamo nel 1928) riesce a superare gli schemi formali per presentare un discorso intenso e suggestivo. Strutturato in quattro movimenti ognuno dei quali descrive con i suoni la sviluppo di questo rapporto ‘autobiografico’ procedendo in modo ‘temporale’ come diversi commentatori hanno evidenziato. L’Andante iniziale vuole ricordare il primo incontro con la ragazza, il secondo movimento è dedicato al ricordo del soggiorno estivo a Luhakovice in Moravia dove scattò la loro reciproca attrazione. Gli altri due evocano l’immagine dell’amica verso la quale prova però un senso di timidezza che si insinua nel quarto movimento soprattutto nel delizioso Andante centrale e nello struggente Adagio conclusivo.
L’elemento che balza all’ascolto è l’utilizzo cospicuo ed inusuale della viola che si esplicita con forza nell’incipit del secondo movimento, con un canto appassionato dai contorni quasi erotici, con la quale il musicista rappresenta la figura di Kamila e l’attrazione verso di lei.
Nel complesso, anche per Janàček il discorso è serrato e avvincente anche per l’utilizzo di diversi temi di carattere popolare, elemento costitutivo dell’arte musicale del musicista ceco, che balza con forza nell’elegante Allegro che apre il quarto movimento.
A conclusione del concerto Mendelssohn con il Quartetto per archi n. 6 in fa minore, op. 80 anch’esso conseguenza di una ‘ossessione’ personale del musicista, la morte dell’amatissima sorella Fanny, scomparsa prematuramente nel maggio 1847. La perdita della sorella, alla quale Felix era legato da indubbio vincolo spirituale ed emotivo, precedette di qualche mese la morte del musicista, avvenuta del novembre del 1847 per cui l’esecuzione del quartetto op. 80 avvenne postuma nel novembre del 1848.
In tutto il quartetto, come evidenzia buona parte della critica, si nota una profonda inquietudine di base, testimonianza di un gran dolore interiore, che si proietta su tutti e quattro i movimenti anche quelli più brillanti come l’ Allegro vivace assai iniziale e nel seguente Allegro assai, nei quali è ben presente un certo senso di ‘affanno’ e ‘irrequietezza’ ai quali si contrappone l’elegiaco Adagio permeato da un senso di quasi inevitabile malinconia che l’Allegro molto finale, pur nella sua brillantezza, non riesce a mitigare.
Il Quartetto di Cremona ci ha regalato una esecuzione mirabile sotto tutti gli aspetti, felicemente omogenea grazie alla particolare intesa tra i suoi quattro strumentisti che lo compongono che ad ogni concerto dimostrano uno straordinario virtuosismo strumentale abbinato ad una sempre più evidente ‘maturazione’ nello spirito e nella sensibilità di ognuno, che si riverbera decisamente con una amalgama sempre più ‘robusta’ ed una musicalità veramente trascinante.
Il Quartetto di Cremona, ricordiamo, da molti anni è ospite in esclusiva della IUC, elemento questo che valorizza l’attività musicale e organizzativa dell’istituzione romana, è composto da Cristiano Gualco che suona un violino Nicola Amati, Cremona 1640, da Paolo Andreoli che suona un violino Paolo Antonio Testore, Milano ca. 1758, da Simone Gramaglia che suona una viola Gioachino Torazzi, ca. 1680 e da Giovanni Scaglione che suona un violoncello Dom Nicola Amati, Bologna 1712. Questi ultimi tre strumenti sono concessi da Kulturfonds Peter Eckes.
Il pubblico accorso numeroso presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza ha riservato agli interpreti un caloroso e vistoso successo con fragorosi appalusi e numerose chiamate al proscenio assieme a diverse richieste di bis che il Quartetto di Cremona ha esaudito proponendo un brano di Anton Webern, Langsamer Satz.
Claudio LISTANTI Roma 13 Otobre 2024