di Francesco MONTUORI
Migranti su About
M. Martini e F. Montuori
EREDITA’ DEL MODERNO
Adalberto Libera, la sala cinematografica Airone
Agli inizi degli anni ’50 la Cassa Nazionale per l’Assistenza agli Impiegati Agricoli e Forestali incaricava lo studio SCM dell’ing. Leo Calini e dell’arch. Eugenio Montuori per la realizzazione di alcune abitazioni nella zona del quartiere Appio-Latino nella periferia sud di Roma.
Le cinque palazzine progettate da Eugenio Montuori, furono localizzate in un isolato compreso fra via Lidia e via Segesta, confinante con il Parco della Caffarella. All’interno del complesso fu riservata un’area per la realizzazione di un cinema; la sala fu realizzata su progetto di Adalberto Libera insieme allo studio SCM.
Il dorso di un’enorme balena affiorò fra le palazzine del comprensorio (fig1).
Si perviene alla sala cinematografica da un atrio con ingresso in via Lidia (fig.2);
la sala è incassata per circa 7 metri nel terreno compreso fra le palazzine; una successione di scale permettono di superare il dislivello fra l’atrio e la sala cinematografica. Il soffitto della scalinata fu affrescato da un’opera dell’artista Giuseppe Capogrossi che accompagna lo spettatore fino all’invaso della sala (fig.3).
Libera non aveva costruito nessun cinematografo ma da molti anni lavorava ad una forma destinata ad una sala per spettacoli; sulla rivista “L’Architettura. Cronache e storia”, n. 5 del 1956 Bruno Zevi illustrando l’opera realizzata, pubblicò un intervista ad Adalberto Libera.
“Ottimo il cliente, buona la direzione dei lavori, mezzi sufficienti, area non vincolante, insomma tutte le condizioni favorevoli. Ma io ero al primo cinematografo e non dominavo il tema …. Mi è sembrato un caso interessante di poter realizzare il vaso unitario della sala, eliminando quello normale gemellato in spazi più o meno opprimenti, sopra e sotto la galleria”.
L’area era ampia e permetteva di disporre tutti gli ottocento posti richiesti dalla committenza nello spazio della platea; l’abolizione della galleria permise a Libera di lavorare ad uno spazio unitario che potesse ospitare tutti gli spettatori, una platea con una forma ovoidale unitaria orientata verso un unico punto, lo schermo cinematografico.
Libera si pose il quesito: “Qual è la sua forma ideale, necessaria e sufficiente?”. Il senso di “spalle al muro” gli suggerì di abbassare la copertura verso il fondo della sala (fig.4),
mentre un senso di “ampio respiro” lo invitò a gonfiare lo spazio sul davanti, il boccascena (fig.5).
A questo punto Libera si interrogò:
“data una forma ideale di platea e la sua relazione con lo schermo, qual è la forma più organica di una copertura?”.
Nei diari depositati oggi all’Archivio di Stato Libera annota:
“immaginai l’interno della sala come l’interno di un mandolino, ma non avevo l’ausilio di una formula matematica; disegnai empiricamente delle sezioni ellittiche che verificai in seguito in corso d’opera”.
Ne sortì una forma geometrica simile ad un ovoide, per ottenere una spazio vuoto, netto e semplice che lo distinguesse dallo spazio del manierismo classicista e dal modernismo, un po’ all’antica e un po’ moderna (fig.6).
Si trattò a questo punto di affrontare il problema di rivestire l’interno l’ovoide della grande sala per ottenere un acustica adeguata. Dopo vari tentativi Libera scelse dei materassini di stoffe colorate, trapuntati e rimboccati, con strisce ortogonali al boccascena, nei due colori bianco e verde giada; quindi risolse l’alta zoccolatura rivestendola con scuri listelli di materia plastica (fig.7). Questa soluzione tuttavia comportò una rinuncia al carattere astratto dello spazio ovoidale; Libera si rese conto di aver commesso un errore; scriverà nei suoi diari
“se potessi ricominciare d’accapo rivestirei unitariamente tutto l’ovoide da pavimento a pavimento, senza zoccolatura”.
L’illuminazione è tutta concentrata attorno al boccascena con una collana di fari applicati a circa un metro dal soffitto, subito prima del boccascena. L’interno del cinema Airone fu presto battezzato il “ventre della balena”, immagine suggestiva cui Libera non aveva mai certamente pensato.
Adalberto Libera era nato a Villa Logarina, in provincia di Trento, il 16 luglio 1903; nel 1926 si iscrive alla Scuola superiore di Architettura di Roma, dove si laurea nel 1928. Per anni progetta mostre, fiere, esposizioni; nel 1933-34 riesce a realizzare, con Mario De Renzi il palazzo postale all’Aventino (vedi About del 7 aprile 2019). Arreda lo spazio della Galleria la Cometa, alle pendici del Campidoglio. Qui viene ritratto con i suoi amici di allora: Mircko, Cagli, Moravia, Sibilla Aleramo, Libero de Libero. Aderì al Movimento razionalista prima facendo parte del Gruppo 7 con i milanesi Luigi Figini, Gino Pollini, Sebastiano Larco Frette, Enrico Rava, Giuseppe Terragni, quindi, fra il 1926 e il 1927 fondando e dirigendo il Miar, Movimento italiano per l’architettura razionale. Razionale, scriverà, è l’aggettivo qualificativo del sostantivo architettura. Razionali furono i costruttori greci e romani come lo furono Brunelleschi e Palladio nel Rinascimento italiano.
In un articolo pubblicato sulla rivista “Stile” del 1942 Giò Ponti presenta un bilancio degli ultimi dieci anni dell’architetto trentino. Ne parla Giorgio Ciucci in Adalberto Libera, Opera Completa (Electa 1989); Giò Ponti presenta l’opera di Libera come esempio di “buona architettura”; Libera, sottolinea Giò Ponti, ha la capacità di ricondurre ogni sua idea architettonica ad un risultato di semplicità, unità, leggibilità.
Nell’opera di Libera si riconosce quel suo particolare “spirito classico” che in lui si esprime con chiarezza in un’ idea di forma; un’architettura che ha raggiunto il suo stile, connotata dalle profonde caratteristiche della sua personalità, dalla sua conoscenza e dal suo giudizio sulla storia e la classicità, ed infine dalla sua esperienza nel movimento razionalista italiano. Un’identità chiara che conferisce un segno distintivo alla sua opera esaltando quel “tono fondamentale” che secondo i componenti del Gruppo 7, partecipa tanto dello spirito della moderna tecnologia costruttiva quanto dello spirito greco classico. In Libera l’affermarsi di una coscienza architettonica moderna si fonda sulla riproposizione del rapporto con la tradizione classica, tema questo centrale della cultura italiana ed in particolare sostanza dell’architettura moderna italiana.
Con Libera lo stesso Giò Ponti intende fornire un esempio di architettura che ha raggiunto un suo stile, una sua riconoscibilità e che, al tempo stesso partecipa del comune linguaggio moderno italiano.
Nei progetti di concorso per l’Auditorium, in viale Aventino (fig.8), redatto da Libera insieme a De Renzi e Vaccaro e in quello per il Palazzo dei Congressi all’E42 (fig.9) giunge così a maturazione il senso di una ricerca che si dipana a partire da un’idea, un’immagine formale capace di racchiudere in sé le soluzioni plastiche, di ordinarle, controllarle, organizzarle fino a renderle funzionali. La funzione non è dunque il punto di partenza dell’idea-forma, ma la verifica delle possibilità della sua concreta realizzabilità.
Nell’idea-forma dei progetti di Libera ricorrono spesso i volumi, i segni, gli elementi primari di volta in volta studiati, reinterpretati, rielaborati, trasformati in icone, in simboli ricorrenti. Le forme si fanno via via più astratte ed emerge con chiarezza la loro essenza geometrica e ritmica.
Si esprime così l’ambizione di creare “un mondo decisamente moderno”, espresso in forme semplici, definito da volumi precisi, arricchito da nuovi materiali. L’astrazione formale diviene il motivo dominante.
Nelle opere del dopoguerra Libera rimarrà fedele alla lezione razionalista: figure elementari, dominanti e unitarie, spazi interni dilatati, cavi e ricchi di pathos, elementi plastici compiutamente definiti, geometricamente esatti che conferiscono carattere metafisico, assoluto ma necessario, allo spazio architettonico. Conclude Maria Calandra nella presentazione del cinema Airone sulla rivista di Bruno Zevi:
“lo spirito aspirante all’astrazione di Libera è stato portato ad una visione emotiva, spettacolare, sfuggente” ma controllata razionalmente”.
Nell’immensa sala dell’Auditorium del 1936 possiamo riconoscere l’origine dell’idea del grande guscio vuoto del cinema Airone del 1952.
Anche in quest’opera l’idea guida rimane quella della forma-struttura, dove la qualità formale e quella tettonica-costruttiva si identificano e costituiscono la regola stessa dell’organizzazione spaziale. L’ovoide del cinema Airone si identifica in toto con la forma architettonica, il “ventre della balena”, un vuoto spaziale puro ed assoluto destinato ad essere osservato e vissuto solo all’interno.
Dopo un tentativo purtroppo fallito di Ennio Moricone di fare del Cinema Airone un suo personale centro di studi musicali, negli anni Ottanta la grande sala fu dismessa e trasformata in sala da ballo; la spazialità venne gravemente compromessa poiché comportò la realizzazione di un solaio piano e la rettifica della dolce inclinazione della pavimentazione della sala cinematografica: fu rimosso rivestimento in vetroflex della grande volta, l’atrio di ingresso fu trasformato in bar-ristorante (fig.10).
Il dipinto murale di Capogrossi che seguiva l’andamento delle scale, fu ricoperto da molteplici strati di tinteggiature. La scritta Airone venne smontata e la sala da ballo si chiamò “Stellarium” (fig.11). Ma anche la sala da ballo ebbe vita breve e presto fu abbandonata.
In particolare l’abbandono e il perdurare delle infiltrazioni d’acqua all’interno dell’ex cinema contribuirono a far degenerare lo stato di conservazione dell’opera pittorica del dipinto di Capogrossi.
Nel 2016 la dottoressa Paola Mezzadri affrontò le problematiche e la morfologia del degrado della “plastica murale”, ormai in condizione conservative critiche. La sua Tesi di Diploma in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali sulla pittura di Capogrossi le permise di effettuare sondaggi ed indagini scientifiche e di verificare la possibilità di un recupero dell’opera pittorica. La possibilità di un suo recupero è comunque collegata al rifacimento delle coperture in sicurezza da parte del Comune di Roma che è oggi il proprietario della struttura edilizia (fg.12).
Il futuro del Cinema Airone, una struttura importante per la riqualificazione delle periferie urbane, è ancora nelle possibilità dell’Amministrazione comunale romana. La vicenda del Cinema Airone non è ancora conclusa.
Francesco MONTUORI Roma 31 gennaio 2021