IL Requiem di Berlioz conquista Santa Cecilia. Esecuzione in grande stile per la Grande Messe des morts

di Claudio LISTANTI

Santa Cecilia inaugura con il trionfo del Requiem di Berlioz

Di rilievo la direzione di Antonio Pappano e la prestazione dei cori di Santa Cecilia e San Carlo di Napoli. Successo personale per il tenore Javier Camarena

La Stagione Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è partita lo scorso 10 ottobre con una esecuzione della Grande messe des morts op. 5, meglio conosciuta semplicemente come Requiem, del musicista francese Hector Berlioz (Fig 1). L’evento ha richiamato presso la Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica uno straordinario numero di spettatori che hanno affollato tutte e tre le recite in programma di questo interessantissimo concerto.

Fig 1 Il musicista Hector Berlioz in una foto d’epoca

Per spiegare il particolare fenomeno del quale è oggetto il Requiem di Berlioz vogliamo utilizzare un termine contraddittorio, quasi un ossimoro: opera musicale celebre ma poco conosciuta.

Celebre soprattutto per le ‘mitiche’ dimensioni della partitura; composta nel 1837, prevede un abbondante numero di esecutori (orchestra e coro) necessari alla sua realizzazione con quattro formazioni di ottoni collocate in contrapposizione nei quattro punti cardinali e tantissimi altri strumenti, utilizzati con una numerosità impressionante per raggiungere la massima amplificazione dei suoni. Una esecuzione che all’epoca impegnò circa 450 esecutori.

Poco conosciuta perché le sue esecuzione pubbliche sono piuttosto rare, ‘status’ dovuto proprio alle sue inusuali dimensioni che ne rendono difficoltosa, per le istituzioni preposte, la realizzazione visto il notevole impegno di mezzi e risorse necessari, non esclusi quelli di carattere finanziario.

Solo una organizzazione come quella dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia può possedere i parametri giusti per sostenere tale impegno e proprio grazie a questa istituzione, che ha deciso di aprire la Stagione Sinfonica 2019-2020 con il Requiem di Berlioz, abbiamo avuto la possibilità di ascoltare una composizione così vasta e variegata.

Fig 2 Giuseppe Fieschi in un disegno d’epoca

Per giudicare un’opera musicale come questa è necessario innanzi tutto fornire degli elementi storici. Come detto, fu composta nel 1837 e, come accade quasi sempre per composizioni di questo genere, a seguito di una commissione per ricordare i sette anni dalla rivoluzione del 1830 ed onorare la morte del maresciallo Mortier avvenuta nel 1835 a causa di un attentato organizzato dal corso Giuseppe Fieschi (Fig 1) contro Luigi Filippo nel quale morirono altre 17 persone. Fu il ministro dell’interno francese, Adrien de Gasparin ad assegnare la commissione a Berlioz che oltre ad una cospicua cifra in denaro chiese la possibilità di utilizzare cinquecento esecutori. La richiesta di denaro fu accordata ma gli esecutori concessi furono ‘solo’ quattrocentocinquanta.

Berlioz si mise sollecitamente al lavoro ma quando giunse in vista del traguardo la commissione fu annullata perché il governo, temendo dei contraccolpi di ordine pubblico per la celebrazione di una rivoluzione annullò la cerimonia. Si rimase, quindi, in attesa di un altro evento che potesse giustificare l’esecuzione di un Requiem. L’occasione, come dimostra spesso la Storia, non tardò a verificarsi. Esattamente il 12 ottobre dello stesso 1837, quando in Algeria il maresciallo Charles-Marie Denys, conte di Damrémont, governatore militare inviato da Parigi, fu colpito a morte durante una spedizione per conquistare la città di Costantina (Fig 3). Il fatto luttuoso ebbe un triste epilogo il giorno successivo; durante l’entrata in città delle truppe francesi ci furono altri cinquecento morti.

Fig 3 La città di Costantina in una stampa del 1838

La Grande Messe des morts trovò, quindi, la giusta opportunità ed il giorno 5 dicembre del 1837, presso la chiesa di Saint-Louis des Invalides a Parigi ebbe luogo, in pompa magna e con successo, la prima esecuzione.

Il fattore determinante che spinse Berlioz a comporre un lavoro di così ampio utilizzo di esecutori può essere considerato prettamente di carattere fonico ed acustico. Quando, giovanissimo, nel 1824, partecipò alle esequie di Luigi XVIII presso la chiesa di Saint-Denis nelle quali fu eseguito il Requiem in Do minore di Luigi Cherubini, composto nel 1816 su iniziativa dello stesso Luigi XVIII per onorare il fratello Luigi XVI giustiziato 20 anni prima, nonostante i duecentocinquanta elementi utilizzati per l’esecuzione, il musicista rimase deluso dal fatto che i suoni prodotti dalla splendida musica venivano percepiti piuttosto attutiti. Da ciò si può dedurre che la Grande Messe des morts possiede alla base una sperimentazione degli effetti acustici prodotti dall’utilizzo di consistenti numeri di esecutori per agevolarne la percezione (Fig 4).

Fig 4 Una vista d’insieme dell’esecuzione del Requiem di Berlioz alla Sala Santa Cecilia ©musacchio&ianniello

L’organico previsto da Berlioz per il Requiem è impressionante (Fig 5): duecento coristi, un tenore, una orchestra di 140 esecutori, quattro raggruppamenti supplementari di strumenti a fiato, due grancasse, sedici timpani, tre paia di piatti, tam-tam. Addirittura sembra che desiderasse di raddoppiare tale organico per una maggiore amplificazione dei suoni.

Fig 5 Antonio Pappano durante l’esecuzione del Requiem di Berlioz alla Sala Santa Cecilia ©musacchio&ianniello

L’opera è strutturata in dieci parti che si diversificano tra loro per elementi melodici, dinamici e timbrici (Fig 6) per mettere fuoco il contenuto ‘drammatico’, meglio dire ‘rappresentativo’, di ognuno di essi. Nell’insieme, a nostro modesto parere, questa continua ricerca dell’effetto sonoro, assieme alla particolare ‘elefantiasi’ strumentale-vocale, rende la musica ‘esteriore’ mancando, quasi ovunque, di ispirazione ‘spirituale’, ‘religiosa’. D’altronde Berlioz non nascondeva il suo ateismo, fatto che ha influito sulla mancata visione mistica del brano contrariamente ad altri famosi musicisti che, senza fare nomi, hanno affrontato questo genere, anche se appartenenti alla sponda laica hanno saputo dare un senso spiccatamente religioso.

Fig 6 Una immagine delle masse corali ©musacchio&ianniello

Traspare però la sua grande dote di strumentatore e, senza tanti preamboli, di compositore. Così, ad esempio, il Kyrie iniziale, la straordinaria successione sonora dal Dies Irae per transitare nell’esplosione strumentale del Tuba Mirum rafforzato ancor di più dai suoni terrificanti dal Rex Tremendae. Ma c’è una pagina di grande effetto, sicuramente scaturita da una riflessione di carattere spirituale da parte del compositore, il momento più intenso di tutta l’opera, il Sanctus dove una strepitosa frase melodica passa dalla melodiosa voce del tenore solista a quello dolce e soave del coro femminile quasi come un dialogo tra l’uomo e l’Altissimo. Momento struggente vanificato dalla forza del successivo Hosanna per congedare poi l’ascoltatore con l’Agnus Dei, altra mirabile pagina che evoca il riposo eterno ed inevitabile chiusura per un’opera di questo genere.

Fig 7 Una delle quattro sezioni di ottoni ©musacchio&ianniello

Antonio Pappano ha diretto mirabilmente questo concerto divenendo protagonista assoluto della serata. Sotto la sua guida l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha offerto una prova del tutto soddisfacente integrata per la parte ottoni da elementi della Banda della Polizia di Stato diretta da Maurizio Billi (fig 7) . Per l’occasione si è resa necessaria la partecipazione di due formazioni corali. Ovviamente il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretto da Piero Monti, neonominato e quindi per l’occasione esordiente, affiancato dal Coro del Teatro di San Carlo di Napoli diretto da Gea Garatti Ansini. Insieme i due cori hanno fornito una splendida prova integrandosi al meglio con la visione di Pappano. Ma la ‘fusione a freddo’ dei due complessi, del resto inevitabile, li ha un pochino svantaggiati nella resa complessiva.

Fig 8 Il tenore Javier Camarena in un momento della recita ©musacchio&ianniello

Concludiamo l’elenco degli interpreti con un altro debutto ceciliano, quello del tenore messicano Javier Camarena (Fig 8) splendido interprete del Sanctus poco prima citato, dotato di un notevole impianto vocale, dalla sicura intonazione e dalla voce molto calda che ‘correva’ molto facilmente negli ampi spazi della Sala Santa Cecilia che ha ospitato il concerto. E’ giovane e gli auguriamo una luminosa carriera sperando di trovarlo ancora nei concerti di Santa Cecilia.

 

Fig 9 Applausi per tutti gli interpreti al termine della recita ©musacchio&ianniello

La recita alla quale abbiamo assistito (12 ottobre) è stata salutata dal foltissimo pubblico convenuto al concerto con lunghi e scroscianti appalusi rivolti a tutti gli interpreti protagonisti della recita confermando il trionfo che, da notizie a noi pervenute, ha ottenuto l’esecuzione anche il 10 e 11 ottobre, nei due concerti precedenti.

Claudio LISTANTI     Roma  18 ottobre 2019