di Umberto CROPPI
Un mese fa, il 19 gennaio, ci lasciava Bianca Attolico, nota a tutti gli amanti dell’arte come grande collezionista e geniale connoisseur del contemporaneo. La notizia allora ci colse di sorpresa, pur conoscendo le sue condizioni di salute assai precarie, perchè appena un mese prima ci eravamo incontrati al Macro, in occasione della mostra di Anna Di Fusco, artista molto amica di entrambi, cui Bianca aveva partecipato con la solita vivezza di spirito nel dibattito che si era aperto con i numerosi intervenuti all’evento. Ed invece si trattava di un’apparenza, come se, di fronte ai lavori di un’artista che amava e si piccava di aver ‘scoperto’, la realtà del male dovesse soccombere alle ragioni dell’arte. Non era così, ed oggi ringraziamo il Presidente Umberto Croppi, che è stato uno dei suoi più cari amici, che ha voluto esprimere il suo sentito ricordo per una persona indimenticabile.
“Ciao Umberto, domani inaugura … mi serve un cavaliere” un invito che ammetteva una sola risposta: “a che ora passo?”. Bianca era così, ed essere prescelto come accompagnatore ufficiale era un segno di amore cui non potevi sottrarti. Un privilegio tutt’altro che esclusivo, perché il suo amore Bianca Attolico lo distribuiva con selettiva generosità.
Ora che ne scrivo avverto la difficoltà di parlarne al passato, perché lei era una presenza che aleggiava anche durante le settimane di silenzi; so per certo che è così per tutti quelli che lei aveva adottato e che curava con la stessa attenzione che dedicava ai pezzi della sua collezione.
L’arte per lei era qualcosa più di una passione, era un complemento della sua esistenza, estensione dei suoi sensi. Bianca ha sempre avuto un’occhio straordinario nel capire dove si manifesta precocemente il talento, nello scommettere su un’opera, su un artista, era la gioia che riempiva le sue giornate. E non ha mai sbagliato. La sua casa-galleria, era essa stessa un’opera d’arte, la sua creazione: ogni stanza il teatro di un’emozione, ogni pezzo un pezzo della sua memoria.
Una casa-laboratorio, dove sottoponeva i suoi ospiti, soprattutto i giovani ospiti, a tenaci interrogatori e dove si divideva l’esperienza di quanto di meglio il paesaggio umano che fa da sfondo all’arte era in grado di offrire.
La burbera ironia e un affetto infinito per tutti i suoi commensali, la discreta capacità di farti sentire speciale, perché ammesso in quel gorgo di scambi, erano gli ingredienti dell’atmosfera che la sua sola presenza riusciva a creare.
Non c’era solo istinto nella sua ricerca, ma vero studio: ogni saggio, ogni catalogo che andava ad aggiungersi alla sua biblioteca era passato sotto il suo vaglio e te ne parlava e te ne chiedeva con l’acume di un indagatore, senza far mostra di nessuna erudizione.
La sua collezione racconta una storia italiana, un percorso che arricchisce le opere di un ingrediente essenziale alla loro comprensione, l’umanità di chi le ha scelte e custodite.
E forse definirla collezione schiaccia quella perfetta raccolta su una dimensione unica, perché la caparbietà con con cui l’ha costruita non era una mania, ma un atto d’amore, da alimentare ogni giorno e da condividere con il popolo del suo personale mondo.
Bianca starà con noi ancora a lungo e, sentendo squillare il telefono, ogni tanto ci aspetteremo di sentire la sua voce “ Che fine hai fatto? Possibile che se non mi faccio viva io …”