di Michela Di MACCO
Docente La Sapienza Università di Roma
Un ricordo per Sandra
“Il generale Pinto”: era la locuzione scelta con arguzia da Gianni Romano per definire la personalità di Sandra Pinto quando, da Soprintendente, comunicò a noi, allora funzionari della Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Piemonte, di aver chiamato Sandra a Torino per mettere mano al riordino della Galleria Sabauda.
Sandra aveva dimostrato la necessità di riprendere in esame nella loro complessa varietà fonti, documenti, materiali per accertare con risultati affidabili la storia della cultura, nello specifico pubblicando per la Storia dell’arte Einaudi quel testo fondamentale che finalmente ragionava e metteva a confronto la promozione delle arti nei diversi Stati della Penisola nel lungo tempo che va dal Settecento riformatore all’unità d’Italia.
Anche in questa occasione Sandra andò ben oltre le aspettative e reimpostò lo studio delle collezioni e del museo, affidando a se stessa e a studiosi specialisti la ricomposizione della storia delle opere e dei contesti di appartenenza: da quelli collezionistici a quelli territoriali, dalle gallerie di palazzo e luoghi di devozione agli allestimenti nel museo.
Emergevano così le diverse anime della Galleria Sabauda: del collezionismo sabaudo, ordinato seguendo la cronologia dinastica con l’innesto della galleria viennese del principe Eugenio di Savoia Soissons straripante di capolavori seicenteschi dei maestri del classicismo e dei pittori fiamminghi e olandesi; del passaggio da Torino all’Italia nel Museo postunitario ordinato per scuole pittoriche; del collezionismo imprenditoriale riversato nel museo con l’allestimento della Collezione Gualino in forma di casa museo.
La lezione di metodo si avviava, per il riordino della Galleria torinese, con il libro Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice curato da Sandra nel 1987 per la collana diretta da Gianni Romano: una impresa editoriale resa possibile dalla Cassa di Risparmio di Torino con la presidenza di Enrico Filippi.
E qui dovrei citare alcuni colleghi di allora e ricordare me stessa, come direttore della Galleria, per lo studio, per la direzione dei restauri delle opere e per il lavoro, indefesso, di ordinamento e di allestimento dei settori, condotto con Sandra senza sosta e senza mai chiudere al pubblico la Galleria, interventi tutti resi possibili grazie alla citata Cassa di Risparmio: ma non voglio scivolare dal ricordo biografico in quello autobiografico.
Gianni conosceva bene le straordinarie capacità di Sandra museologa per averle viste in opera nella Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti e stimava il suo metodo di storica dell’arte applicata nell’ordinamento e nell’allestimento delle collezioni; Gianni aveva con Sandra un rapporto di lunga frequentazione che non escludeva contese amicali e reciproche affermazioni di indipendenza: erano coetanei, classe 1939, ma Sandra, neppure troppo scherzando, diceva di poter vantare un primato; era infatti maggiore di età, per un mese di differenza e, tragicamente, a un mese di distanza ci hanno lasciati, l’una dopo l’altro.
Nei ricordi e nelle commemorazioni di Sandra Pinto, che si leggono on line, ricorrono anche passi del libro Gli storici dell’arte e la peste curato da Sandra con Matteo Lafranconi (Electa 2006, dal 22 dicembre 2020, come fosse un dono per il trigesimo, uscito in versione e-book): un libro importante che riaffermava la necessità di dare allo storico dell’arte e alla disciplina una presenza, vigile nella società e critica nella cultura contemporanea.
Ancora nella serie dei ricordi è Claudio Gamba a testimoniare con le parole di Sandra il suo intendere il lavoro nello Stato come “servizio civile” e la “crucialità del presente nella cultura, e le responsabilità che esso assegna allo storico imponendogli di affrontare il nuovo da traghettare dal passato al futuro” «come dirà nel 2009 – scrive Claudio – ricordando il debito nei confronti di Giulio Carlo Argan, che era stato suo maestro, senza vincoli di discepolato».
Per come era la personalità di Sandra Pinto, per quel suo tradurre in pratica museale più che riservare a scritti teorici i suoi ragionamenti, ferisce dover dire che la diretta lettura dei suoi scritti -sempre testi innovativi di mirabile fondamento critico e metodologico che improntano l’esperienza museale o spesso nascono dalla stessa- non basta per comprendere il magistero e il portato della sua eredità culturale; come indispensabile altra faccia della stessa medaglia completavano il riconoscimento culturale della figura storica di Sandra gli ordinamenti museali da lei improntati e curati fino ad ogni minimo dettaglio, ora irrimediabilmente scomparsi: ai quali si dovrà dare voce recuperando la documentazione visiva almeno della Galleria Sabauda di Torino, nella versione avviata nel 1987, e della Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma, dal 1995.
Nel suo essere storica dell’arte come impegno civile improntata da Argan, nel rigore storico e filologico dei suoi studi avvalorato per la revisione critica sull’Ottocento italiano dall’incontro con Paola Barocchi, nel suo essere tutelatrice del patrimonio, nel suo progettare mostre fino ad allora impensabili che aprivano su scenari storici e artistici recuperati con sicura intelligenza storico-critica (penso a Garibaldi arte e storia, del 1982, e a Maestà di Roma. Universale ed Eterna. Capitale delle Arti ideata con Stefano Susinno e curata con Fernando Mazzocca e Liliana Barroero, del 2003) Sandra procedeva intrepida, sempre guidata dal suo obiettivo indiscutibile: accontentarsi solo se non si individua un risultato migliore, altrimenti procedere senza tregua.
Sandra: una persona davvero speciale, una maestra sempre. In proposito, ho ritrovato testi che ci inviavamo vicendevolmente per scambiarci pareri, osservazioni, correzioni e precisazioni lessicali. Tra questi, il “Camminar guardando” scritto da Sandra sul MAXXI (pubblicato nell’Indice dei libri del mese) si chiudeva così:
«Il museo di sé stesso non può e non deve essere offeso da sé stesso; e ad ogni modo sarebbe esempio di civiltà se eventuali ferite, o errori involontari, non dessero adito al solito inutile rituale di attacchi mal posti da fuori e autodifese mal fondate da dentro, ma subito si curassero le ferite, si riparassero gli errori. Camminar guardando fa bene».
Michela Di MACCO Roma 10 gennaio 2021