di Mario URSINO
Il Palazzo Merulana, un restauro di eccellenza
Fino a pochi anni fa, chi attraversava via Merulana arrivando dalla Piazza San Giovanni e sostando al semaforo all’incrocio con viale Manzoni, scorgeva resti di un edificio diruto, sventrato diagonalmente [fig. 1], in pieno abbandono, lungo la strada che conduce a Santa Maria Maggiore. Si è sempre comunemente pensato (ed anche io lo immaginavo), senza approfondire troppo, che doveva trattarsi di un corpo di fabbrica danneggiato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Niente di più errato: si trattava invece della
sede dell’ex Ufficio di Igiene del Comune di Roma, inaugurato nel 1929 [fig. 2], “il cui progetto prevedeva la costruzione di fabbricati sui tre lati dell’isolato corrispondenti a Via Merulana, viale Manzoni e via Ariosto”. Ebbene oggi è avvenuto un vero e proprio miracolo; quell’oscuro e dimenticato edificio, attorniato da una folta vegetazione è risorto in maniera sorprendente [fig. 3], luminoso su quello scorcio dell’importante storica via, peraltro caratterizzata da un intenso traffico perenne. “Nel 1940 la planimetria generale dell’Ufficio di Igiene, che si affacciava sui tre lati dell’isolato, risultava completata”, come scrive Maria Paola Arena Samonà nel catalogo-guida Il Palazzo Merulana e la collezione Cerasi, Milano 2018
(pp. 73-75). Ma la sua storia è stata “breve”, scrive la studiosa, poiché negli anni Sessanta ne fu decisa la demolizione (per fortuna poi solo parziale, ecco perché noi vedevamo dalla strada quello strano corpo di fabbrica sezionato diagonalmente), impedita da un’opportuna decisione della Soprintendenza Comunale, ma lasciandolo purtroppo per lunghi anni (oltre cinquanta) nello stato di grave abbandono e quindi di nessun utilizzo. Finalmente nel 2014 si sono avviati puntuali lavori di ripristino. Ma chi ha compiuto questa mirabile opera di riqualificazione del monumentale corpo di fabbrica centrale, divenuto nel tempo, come detto, assolutamente irriconoscibile tanto da far pensare ad una distruzione avvenuta per cause belliche? Sono stati due illustri e raffinati mecenati che rispondono al nome di Claudio ed Elena Cerasi [v. i loro ritratti in figg. 4-5].
L’imprenditore Claudio Cerasi, in accordo con la Soprintendenza, ha finanziato e realizzato la ricostruzione filologica del monumentale edificio, per restituire e ricostruire una delle campate demolite negli anni Cinquanta, con il risultato di far rivivere gli spazi interni più pregevoli, costituiti dai saloni d’ingresso a doppia altezza del piano terra e del piano nobile. Cosicché chi entra ora nel prestigioso edificio viene accolto nell’ambiente elegantissimo dell’atrio colonnato [fig. 6], pavimentato di marmo travertino e marmo rosso di Verzegnis: “un tipo di marmo che è stato molto utilizzato a Roma all’inizio del Novecento per la sua somiglianza con il porfido rosso antico degli antichi romani”, come scrive lo stesso Claudio Cerasi nel catalogo sopra citato. Un restauro davvero esemplare, ed espressione di un gusto e di una sensibilità alquanto rara, anche tra altri facoltosi imprenditori che pure all’arte si sono voluti segnalare come sponsor di recuperi storico-artistici.
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Al recupero e alla riqualificazione dell’importante via Merulana, dove sono presenti rilevanti edifici antichi e moderni dal noto Teatro Brancaccio (già Teatro Morgana negli anni Trenta), al cosiddetto Auditorium di Mecenate; poco distante si trova il grande Palazzo Brancaccio, ex sede del Museo Nazionale di Arte Orientale; va ricordato inoltre che la via ha ispirato il famoso romanzo giallo del grande scrittore Carlo Emilio Gadda (1893-1973), Quel pasticciaccio brutto di via Merulana (1957), ricordato in una targa al numero 219 [fig. 7] e in un’altra posta dal Comune di Roma nel 1997 al numero civico 268 [fig. 8]; tutta la via poi sfocia sull’affascinante Basilica di Santa Maria Maggiore.
Un complesso stradale, dunque, ancorché di intenso traffico urbano e turistico, che viene ad arricchirsi appunto con il risorto monumento dell’ex Ufficio di Igiene del Comune di Roma degli Anni Trenta del Novecento, divenuto sede museale ed espositiva per la generosa volontà dei signori Cerasi e la loro Fondazione. Il nuovo Palazzo Merulana è suddiviso in tre livelli, dove si espongono novanta opere, e ancora più sopra, al quarto piano, troviamo un luminosissimo auditorium, o sala per conferenze, in cui permanentemente un video illustra la storia dell’edificio e del suo restauro; il pubblico può godere anche della vista dall’alto e di scorcio su tratti di via Merulana. Codesta sede, con ampie arcate con colonne e vetrate sulla strada, è un invito per il visitatore ad entrare per ammirare la prestigiosa collezione che i coniugi Cerasi hanno messo insieme dalla metà degli anni Ottanta ad oggi. Si tratta di una raccolta di sculture e dipinti distribuiti dal piano terra al secondo e al terzo piano con un nucleo selezionatissimo di opere in buona parte dell’arte italiana del primo Novecento, con una concentrazione di opere di autori della “Scuola Romana”, in tutto simile, direi addirittura speculare (almeno ai miei occhi) di sculture e dipinti degli stessi artisti che quotidianamente vedevo negli anni del mio servizio nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna, tra il 1987 e il 2011. E tanto più mi ha emozionato questo itinerario della Collezione di Elena e Claudio Cerasi (che certamente, anzi direi ne sono quasi sicuro, saranno stati assidui e attenti frequentatori del nostro museo d’arte moderna a Valle Giulia, e che presumo abbia potuto orientare le loro scelte per gli acquisti di opere), in quanto oggi nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna le collezioni sono state rimescolate con altri criteri (creativi e non, come ho scritto in altre occasioni), per cui una silloge di quella temperie storico-artistica del periodo tra le due guerre può ben rappresentare ciò che è stato obliato nel museo nazionale di cui sopra.
Ma la collezione dei Cerasi non si creda finisca qui: il loro gusto si estende con grande fiuto anche nel selezionare opere di assoluta contemporaneità, non solo in quei due doppi ritratti più sopra illustrati, eseguiti recentemente, nel 2016, dai bravissimi Stefano Di Stasio e Bernardo Siciliano, figlio dello scrittore e critico letterario, Enzo Siciliano (1934 – 2006), ma pure con opere di Luigi Ontani, Paola Gandolfi, Aurelio Bulzatti, e altri più giovani artisti, come Matteo Pugliese, che sono eredi di quella tradizione, per fortuna mai esausta, per il gusto del “mestiere” e della qualità dell’opera d’arte, i principi fondamentali diffusi dalla celebre rivista “Valori Plastici” (1918-1921) e della Metafisica dechirichiana.
Infine devo segnalare la grande sorpresa che desta l’allestimento del piano secondo, dove giganteggia nel centro della sala, come oro splendente, la scultura svettante in bronzo dell’artista Jan Fabre, che raffigura un uomo in una fantasiosa tuta da astronauta che impugna una bacchetta da direttore d’orchestra, e si rivolge ad un immaginario firmamento; e dunque l’opera del noto l’artista belga ha giustamente il titolo Uomo che dirige le stelle [fig. 9]. Onore al merito.
Mario URSINO Roma giugno 2018