di Rodolfo PAPA
Caravaggio allo specchio tra salvezza e dannazione è il promettente titolo dell’ultimo libro scritto da Sergio Rossi, pubblicato dagli editori Paparo. Il testo raccoglie in una forma del tutto nuova i risultati delle ricerche già proposte da Sergio Rossi in una serie di articoli pubblicati a partire dal 1989.
Si compone di quattro capitoli, preceduti da un Prologo dedicato alle fonti di Caravaggio e seguiti da un Epilogo che pone un audace confronto tra Caravaggio e Van Gogh. (fig.1)
Il Prologo “Caravaggio e le fonti” ricostruisce innanzitutto il ricco ambiente culturale ed artistico di Roma, in cui Caravaggio arriva in una data paradossalmente ancora non accertata definitivamente, ma certamente precedente il 1595. Si dedica poi alla ricostruzione “del giudizio estetico (e moralistico) che i primi biografi hanno espresso sul nostro artista, dando inizio a una serie di equivoci e fraintendimenti che ancor oggi condizionano la ricostruzione che noi stessi continuiamo a fare del suo percorso artistico” (11) a partire dalla prima biografia a stampa di Carel van Mander, redatta secondo le informazioni del pittore Floris Caesz van Dick che fu a Roma fino al 1601 e che a sua volta ricevette notizie dal cavalier d’Arpino, il quale è forse all’origine non solo delle leggende sulle abitudini di vita del Caravaggio ma anche del pregiudizio di un Caravaggio che “dipinge solo ciò che ha davanti agli occhi” (p. 11), pregiudizio che ancora pesa sulla storiografia caravaggesca.
Il testo di Giovanni Baglione, colmo di odio personale, “sul versante estetico esaspera le critiche degli storiografi che lo avevano preceduto” (p. 12). Interessante è la lettura che Sergio Rossi dà degli scritti di Giovan Pietro Bellori, “una sorta di summa dell’idealismo accademico” (p. 13) in cui, nonostante alcune contraddizioni, viene proposta
“una sua logica ragion d’essere e cioè quella di contrapporre l’arte di Annibale Carracci, perfetto esempio di sintesi tra Idea e Natura, a quella del Caravaggio ‘puramente naturale’” (p. 13)
ed ancora
“per Bellori, naturalmente, l’artista contemporaneo che incarna alla perfezione la teorizzazione aristotelica circa l’imitazione di migliori e circa la natura corretta dall’idea è Annibale Carracci, che può proprio definirsi come il ‘pittore del verosimile’; al contrario Caravaggio imita ‘i simili o i peggiori’ e racconta la realtà così come essa è senza sottoporla a nessun filtro di carattere poetico o storico, così ‘vera’ da divenire ‘inverosimile’” (p. 14).
Ebbene Rossi ritiene che tale analisi, seppure frutto di una posizione pregiudizialmente a favore del classicismo seicentesco, è in grado di cogliere “in negativo” la novità della pittura di Caravaggio, tanto che può concludere
“tutto il testo belloriano, se adeguatamente storicizzato e contestualizzato e se si sa penetrarlo al di là dell’impalcatura ideologica che lo sostiene, mostra una capacità interpretativa, una finezza di giudizio ed una forza descrittiva incomparabilmente superiore a tanta trita rimasticatura contemporanea del Caravaggio che dipinge solo col modello davanti agli occhi” (p. 14)
Il primo capitolo “Nato sotto Saturno”, a mio avviso il più interessante ed originale, imposta la questione dell’immagine che Caravaggio dà di se stesso nelle proprie opere. Rossi parla di “una vera e propria ossessione autobiografica” che si esprime in tre tipologie di autoritratti.
La prima tipologia riguarda “gli autoritratti veri e propri, nei quali il pittore si raffigura come era realmente, senza abbellimenti o forzature espressive” (p. 17), tra i quali Rossi annovera il Bacchino malato della Galleria Borghese, in cui Caravaggio manifesta il proprio temperamento saturnino e tre personaggi secondari, ovvero la figura tra le persone che fuggono nel Martirio di San Matteo in San Luigi dei Francesi, l’uomo di profilo a destra nella Cattura di Cristo di collezione privata romana ed infine, invecchiato, l’uomo dietro Sant’Orsola, nel Martirio di Sant’Orsola ora a palazzo Zevallos a Napoli. (fig.2)
La seconda tipologia, invece, comprende “le immagini idealizzate, a volte raffigurazioni più che autoritratti veri e propri” (p. 17), e Rossi annovera tra questi il ragazzo rivolto agli spettatori nel Concerto ora al Metropolitan Museum di New York e per tre volte San Francesco: San Francesco in preghiera del Museo Civico di Verona, San Francesco in contemplazione della Collezione ex Cecconi e lo stesso soggetto ora nel deposito della Galleria di Arte Antica del Palazzo Barberini di Roma.
Infine la terza tipologia riguarda
“i dipinti in cui l’artista esaspera espressionisticamente i propri lineamenti, presentandosi addirittura come reprobo o carnefice in una sorta di autoespiazione catartica dei propri peccati” (p. 17)
e tra questi il Ragazzo morso da una lucerta di collezione privata romana, la Testa della Medusa degli Uffizi, il Golia del David trionfante su Golia del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Tutte e tre le tipologie sono sintetizzate in David e Golia della Galleria Borghese.
Rossi analizza tutte le opere, trovandone i rapporti interni, ricostruendo questioni documentarie e questioni iconologiche, utilizzando una vasta bibliografia, tracciando un percorso ricostruttivo di lettura di Caravaggio originario e complesso. (fig.3)
Le pagine dedicate al Bacchino malato sono al proposito molto significative; l’autore accoglie le ipotesi di lettura che lo interpretano come Bacco, come nato sotto Saturno e come Cristo, ritenendo che non ci siano contraddizioni tra queste dimensioni contemporaneamente rappresentate nel ritratto:
“In questa tela i riferimenti a Bacco come protettore del genio artistico e a Cristo sofferente e poi trionfante si saldano in un’immagine di pregnante forza autobiografica e insieme di cristallino nitore; le allusioni alle sofferenze personali del pittore non si riferiscono certamente al solo lato fisico, ma si estendono anche a quello morale ed alle difficoltà che ogni artista deve affrontare per affermare la propria personalità creatrice” (p. 22)
e in questo il dipinto si collega al più tardo Davide e Golia della Galleria Borghese
“in cui non a caso rievocherà questa sua immagine quasi adolescenziale, egli si raffigura in modo iconologicamente ambiguo: lì sia nelle vesti del reprobo che di colui che lo uccide, qui un po’ Cristo e un po’ Dioniso, un po’ melanconico e un po’ sorridente, ma a differenza del suo capolavoro tardo, ancora portatore di un afflato di speranza e di giovanile sfrontatezza” (p.25).
L’indagine non facile della ricostruzione del ritratto di Caravaggio riflesso nelle sue opere restituisce, dunque, l’immagine di una personalità umana ed artistica complessa, in cui convivono tratti diversi: violento e credente, ammirato ed inviso, “moltissimo ha peccato e costantemente ha cercato la grazia e il perdono” (p. 18), esprimendo così “la dualità secentesca” insieme a “valori universali che vanno ben oltre l’epoca in cui ha vissuto” (p. 17).
Occorre sottolineare l’impegno di Sergio Rossi di analizzare tutte le opere di Caravaggio, includendone anche alcune recentemente ricondotte alla sua mano, considerandole come “momenti” o “capitoli di un discorso che si dipana nel tempo e le cui connessioni erano alla fine chiare solo al pittore” (p. 35), rintracciando i significati di ogni elemento e della loro composizione, in modo dotto ed insieme originale. Con questo metodo, egli sistema anche per certi versi la cronologia delle opere soprattutto del primo periodo romano, rendendo motivata ipotesi la “provocazione” che le prime opere di fiori e frutta dipinte per il Cavalier d’Arpino non siano plausibili:
“E se queste esercitazioni di soli fiori e frutta non si fossero finora trovate semplicemente perché non sono mai esistite?” (p. 35)
Il secondo capitolo sviluppa il rapporto tra Caravaggio e la famiglia Mattei come significativo del mecenatismo romano del secolo XVII e delle implicazioni che la committenza e il collezionismo hanno avuto sulla pittura a Roma nel primo Seicento. Centrale mi sembra l’analisi della Cena in Emmaus definita “uno dei capolavori assoluti di tutta la pittura occidentale” (p. 51), esemplare per il metodo iconografico ed iconologico con cui viene condotta, basti considerare la puntualità con cui Sergio Rossi analizza la cesta di frutta in tutti i suoi componenti fino alla conclusione che
“ le canestre del Caravaggio sembrano soprattutto celebrazioni dei “frutti” del Cristo, i frutti di Grazia da lui portati” (p. 56).
L’analisi delle opere passa attraverso la puntuale disamina della ricca letteratura critica affrontata, e si chiude con una ricostruzione della cronologia dei dipinti per collezioni private, dalla Canestra di frutta dell’Ambrosiana del 1598-99 fino ai dipinti del 1603: il Sacrificio di Isacco degli Uffizi e i due San Francesco del Museo Civico di Cremona e della Collezione privata (già Cecconi).
Il capitolo III ricostruisce la vicenda umana e artistica del Caravaggio “cattolico e peccatore”, e l’analisi delle opere viene guidata dalla
“verità inoppugnabile delle profonde implicazioni religiose ed agostiniane del pensiero del Merisi” (p. 94).
Si veda per esempio l’analisi del ciclo di San Matteo nella Cappella Contarelli, entro il quale Rossi rivaluta la seconda prova di Matteo e l’angelo che a suo avviso consiste in
“una straordinaria dimostrazione di abilità nell’adeguarsi alle direttive dei committenti e di confrontarsi alla pari con il ‘concorrente’ Annibale Carracci” (pp. 100-101).
Il capitolo si chiude con la cronologia delle opere pubbliche dal 1600-1601, cioè dalla prime tele della Cappella Contarelli fino alle opere del 1606.
Il capitolo IV affronta i dipinti di tema mariano, ricostruendone i significati nell’orizzonte delle verità della fede cattolica e dei contesti teologici dei committenti, sorpassando la questione dello scandalo che ha impegnato tanta critica. Esemplificativa è la profonda analisi condotta sulla Morte della Vergine, che si conclude con una interessante osservazione:
“Con Caravaggio, in qualche misura, il cerchio si chiude e non è più la Madonna giovane che prefigura la futura morte del Cristo ma la Madonna morente che ci ricorda la nascita del Redentore: ma è sempre al ciclo nascita-morte-rinascita, tema fondante della religione cattolica, che si sta alludendo” (124).
Giustamente lo studioso dedica molto spazio alle Sette opere di Misericordia:
“Certo un’opera dottrinariamente così complessa non poteva che essere concepita in pieno concerto con il committente, il Pio Monte della Misericordia, che comprendeva tra l’altro personalità del calibro dei Carafa, dei Carafa-Colonna e degli Aragona. E la Congregazione si dimostrò in ogni caso, nell’approvare una tela così moderna e avanti nel tempo, più tollerante e ‘progressista’ di tanta storiografia artistica non solo del Seicento, ma addirittura del secolo scorso … ritengo che questo possa considerarsi, senza esagerazione alcuna, uno dei dipinti più innovativi di tutta la storia dell’arte occidentale” (p. 132).
La cronologia delle opere affrontate ricostruisce l’ultimo tratto del “discorso” di Caravaggio, dall’arrivo a Napoli fino alla morte. (fig.4)
L’epilogo presenta il quadro interpretativo di tutto il testo, reinserendo le opere ed il loro significato nel contesto della volontà autobiografica di Caravaggio e delle tre tipologie di ritratto. Si sofferma ancora su Davide e Golia in cui Caravaggio è vittima e carnefice, proponendo una originale lettura parallela con il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde: Dorian Gray prova a cancellare i propri peccati distruggendo il proprio ritratto reso ripugnante dai segni dell’età e della dissolutezza, ma in questo modo uccide se stesso divenendo egli stesso ripugnante mentre il ritratto ritrova invece l’originale purezza:
“Ma Dorian Gray ed Oscar Wilde non erano minimamente sorretti dalla fede e quindi il romanzo ha tutte le caratteristiche di un apologo senza speranza e senza possibilità di riscatto. Al contrario, nel suo dipinto, Caravaggio, decapitando metaforicamente attraverso David il suo alter ego Golia in cui si sono concentrati tutti i segni del peccato e del male, spera ancora di potersi redimere ed ottenere un doppio perdono, divino ed umano: il suo urlo di disperazione è alla fine anche un’invocazione di aiuto che David, attraverso la sua espressione di pietas cristiana, sembra ancora di volergli concedere” (pp. 136-137).
Infine, in modo del tutto originale, il percorso di Caravaggio viene affiancato a quello di Vincent van Gogh che secondo Sergio Rossi riprenderà alcuni temi poetici ed esistenziali di Caravaggio operando però “una sorta di rovesciamento romantico dell’estetica caravaggesca” (137). In modo particolare “il rapporto totalizzante con il colore” che li accomuna, diventa per van Gogh un percorso inverso, “dal troppo scuro delle prime opere, quasi impastate con la pece, ai bagliori esplosivi dell’ultimo periodo” (p. 137).
Rossi sostiene questa sua affermazione presentando una breve monografia su van Gogh, percorrendone le opere nel loro portato tecnico e contenutistico, fino alla morte che per van Gogh coincide con l’inizio del successo, così come Caravaggio ottiene in punto di morte la grazia papale che gli avrebbe consentito di tornare a Roma.
Il libro di Sergio Rossi è corredato da un ricco apparato di immagini a colori e porta una ricca e strutturata bibliografia finale, che ben riflette l’indubitabile pregio di offrire un esaustivo quadro dello status quaestionis, entro una sintesi per molti aspetti originale e nuova. Sicuramente le prossime ricerche su Caravaggio necessariamente dovranno fare riferimento a questo libro di Sergio Rossi.
Rodolofo PAPA Roma 30 Novembre 2022