di Lori FALCOLINI
Numinosum, scrive Jung nel 1937, può essere una qualità dell’oggetto visibile o l’incontro con una forza irresistibile che porta con sé un motivo “non ancora svelato”.
Dalla numinosità della chiesa rupestre di S. Maria in Grotta che ha ispiratoVerità, installazione di undici sculture in argilla cruda, nasce il filo segreto che percorre le ultime opere di Franco Nuti, artista sperimentale che mette in scena tracce, chiaroscuri emozionali, memorie. Le opere riunite sotto Il segno come parola, esposte nello spazio romano di Storie Contemporanee, raccontano significanti materici e suggestioni filosofiche.
Fili che intrecciano rimandi, nuove verità annunciate da una citazione scelta dall’artista.
“Se tali verità, bene apprese, tu ritieni nella memoria, la natura ti appare, subito libera e sottratta a padroni superbi, da sé sola spontaneamente tutto compiere senza gli dei.”
(De rerum natura, libro secondo, Lucrezio)
Scrive Anna Cochetti, curatrice della mostra:
“Le parole sono il segno che costituisce il percorso stesso dell’installazione, costruita come una sorte di spazio sacro…. in cui è posto in essere il processo di conoscenza razionale/emozionale cui l’artista invita, nel silenzio, il visitatore”.
Epicuro, Ovidio, Marx, Freud e Lucrezio accompagnano idealmente le opere in esposizione nutrendo il percorso creativo di Nuti.
Nella installazione site-specific lo spazio all’interno di undici box diventa teatro del colore e ricettacolo misterioso di frammenti di argilla cruda. L’osservatore è quasi costretto – stretto insieme- ad entrare in un rapporto ravvicinato con l’opera per aprirsi alla verità di ciò che vive nell’oscurità. Il lavoro di Franco Nuti come insegnante presso il laboratorio artistico di un Centro di Salute Mentale di Roma, risuona nella necessità di vicinanza empatica.
L’indicibile si esprime diventando “gioco” nella cultura della condivisione; dice l’artista:
“Nell’installazione di S. Maria in Grotta come in quella site-specific ho cercato di rappresentare l’emozione che si prova entrando in una chiesa rupestre o in uno spazio costruito dall’immaginazione in cui è possibile recuperare l’elemento primario. Memoria è riguardare le cose o ancorarle alla tela o ad un altro materiale non per farne un feticcio e preservarlo come qualcosa di ancestrale ma come proiezione in avanti”.
Per James Hillman, che ha costruito una psicologia sul senso immaginale e sulla nozione di anima, la memoria conduce alla necessità archetipica delle cose ed è una via per esprimere ciò che veramente si è.
“Le cose m’interessano per quello che possono dare”, mi ha detto un giorno Franco Nuti parlando del suo percorso creativo.
“Da bambino mi piaceva fare delle cose che avessero il senso della concretezza e del gioco insieme. Il gioco è invenzione che nasce dalla storia di ognuno di noi, è creatività. Boys dice che non sempre la creatività si trasforma in arte, quando ciò accade evidentemente c’è un qualcosa che ti permette di fare un passo ulteriore.”
Le forme in processione nel collage della teca, esposto nella galleria, creano una partitura enigmatica di presenze/assenze.
“Il vuoto –dice l’artista- ha la stessa importanza del pieno. Cesare Brandi, in un saggio sull’architettura barocca, diceva che convessità e concavità non sono altro che un pieno che si espande e crea un vuoto, gioco di pieno che è vuoto, movimento di spinta. È come se ci fosse una pausa in una partitura musicale, una scansione ritmica.”
In Il segno come parola l’arte di Nuti si esprime per composizioni. Dentro e fuori, pensieri ed emozioni, semplicità e complessità con-vivono in un dialogo silenzioso.
Lori FALCOLINI Roma 12 Giugno 2022