di Giulio de MARTINO
Il segno pittorico travolgente di Mario Schifano (Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998) trova una accurata e piacevole illustrazione antologica nella mostra curata a Napoli – nella spettacolare sede museale delle Gallerie d’Italia in via Toledo – da Luca Massimo Barbero.
Si tratta di 50 grandi lavori – cronologicamente disposti dagli anni Sessanta agli anni Novanta – provenienti dalla Collezione di Intesa Sanpaolo, dal Museo del Novecento di Milano e dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, oltre che da gallerie d’arte e collezioni private nazionali ed internazionali con la collaborazione dell’Archivio Mario Schifano.
Partendo dalla intuizione – maturata nel contesto aurorale degli anni ’60 – della sostituibilità di ogni forma di rappresentazione e di riproduzione con una «immagine» costruita con la pura forza della fantasia e della narrazione artistica, Schifano ha mostrato l’enorme potenza acquisita dalle «icone» nella società dei consumi.
Dopo essersi formato – negli anni ’50 – come restauratore al museo d’arte etrusca di Villa Giulia a Roma, Schifano si avviò a riprodurre la metamorfosi delle figurazioni antiche nei segnali urbani e nelle icone dei prodotti reclamizzati, come la benzina “Esso” e la bevanda della “Coca Cola”.
L’icona, per essere piacevole, deve avere grandi dimensioni e affascinare lo sguardo dei passanti con i suoi colori, provocando una vertigine astrattiva. Potrà così trascinare lo spettatore in un mondo finzionale/funzionale ed esteticamente gratificante.
Con intuizione pop – insieme agli altri artisti del gruppo di piazza del Popolo (Mambor, Festa, Angeli) – Schifano ha scoperto – come e più di Andy Warhol e Roy Lichtenstein – il punto d’incontro tra l’arte classica e la pubblicità.
Il suo linguaggio post-pittorico, di tipo analitico e gestuale, incorpora via via la cornice, la tela e lo spazio dentro la superficie dipinta. Dalla implosione dell’immagine artistica nella monocromia sarebbe fuoriuscita – negli anni ’70 e ’80 – l’immagine iconizzata.
Il cortocircuito concettuale era dietro l’angolo. Le dottrine marcusiane e situazioniste, come pure le suggestioni del maoismo, avevano posto l’artista – negli anni ’60 – sulla lama del rasoio dell’ideologia e della funzione rappresentativa.
Schifano scartò il realismo socialista e il populismo politico scomponendo le immagini in una sequenza di icone come Umberto Boccioni e Marcel Duchamp. Riprese, così, la lezione dei Futuristi e dei Dadaisti estetizzando l’ideologia.
Tra il 1969 e il 1972, il concetto di «tela computerizzata» si costituiva per l’abbandono della regia cinematografica (1964-1969) e per l’assimilazione della televisione in quanto nuova forma della fruizione totale e a distanza.
Dall’action painting e dai pop-artisti americani imparò a modificare il supporto e a rivoluzionare la tecnica della pittura producendo le immagini sia con la pura gestualità che con le ottiche elettroniche.
La sua personale collezione di icone prelevò dalla storia dell’arte gli «acerbi» – come rielaborazione delle nature morte barocche -, i paesaggi, i fiori e i prati provenivano dalla figurazione naturale – «en plein air» – degli Impressionisti, mentre la storicità dei personaggi e degli eventi tracimava dalla polluzione della cronaca televisiva.
La selezione delle icone attingeva alla sua memoria visiva privata come pure all’alterazione dello spazio semiologico urbano e massmediale: la mente estesa attraverso le droghe psichedeliche emulava la mente espansa dagli schermi e dalle tecnologie.
Mario Schifano ha inaugurato, con la sua post-pittura (emulsioni, serigrafie, polaroid), la stagione della post-immaginazione digitalizzata.
La sua straripante creatività e la sua inarrestabile produzione di foto, tele, icone, hanno rappresentato nel massimo grado il furore e la manìa di un artista che ha incorporato nella sua soggettività il cambiamento estetico e tecnologico della fine del ‘900.
Il diluvio iconico, il bombardamento di immagini, realizzati da Schifano nello spazio simulato dell’arte e delle mostre, hanno anticipato di almeno un ventennio la sovrapproduzione e la sovraesposizione alle immagini poi attuata da internet.
Ciò che la mostra napoletana evidenzia è la capacità di Schifano di «fare sintesi», di far stazionare nello spazio artistico diacronie storiche e sincronie percettive oramai sfuggite alla rappresentabilità: ogni icona resta segno e resta pittura anche quando della pittura moderna e delle sue narrazioni non resta più nulla.
La morte dell’arte è, ancora una volta, palingenesi dell’artista.
La categoria della postmodernità trova nell’opera di Mario Schifano la sua incarnazione più compiuta. Si tratta di una postmodernità tendente alla liquefazione, ma ancora gestibile e controllabile, rinchiudibile e trasportabile in forme e in strutture solide.
La moltiplicazione delle icone, dei colori, delle opere ricostruisce nel laboratorio dell’artista la serialità della televisione. Questo vuol dire che c’è ancora il tempo per fotografare e per far tornare – per puro esperimento – l’immagine dallo stadio digitale allo stadio analogico.
Il flusso tecnologico è sincronizzabile con lo «stream of consciousness» di Mario Schifano.
La mostra
Mario Schifano: il nuovo immaginario. 1960 -1990
a cura di Luca Massimo Barbero
Gallerie d’Italia NAPOLI 02 giugno – 29 ottobre 2023 Palazzo del Banco di Napoli Progettato da Marcello Piacentini- Via Toledo 177, 80134 Napoli-Catalogo a cura di Luca Massimo Barbero, Skira, 2023
Giulio de MARTINO Napoli 4 Giugno 2023