di Rita RANDOLFI
Come ho già scritto più volte[1], spesso le opere d’arte viaggiano più di quanto possa fare un motivato esploratore, passando da un proprietario ad un altro per diversi motivi: economici, collezionistici, finemente culturali. Dietro ogni viaggio si nascondono le intenzioni, i sogni, ma anche le disponibilità finanziarie di una determinata personalità del passato, che risente ovviamente del momento storico in cui vive, delle mode e delle crisi di un’epoca.
Talvolta gli studi si concentrano sull’acquisto ed il conseguente ingresso di un’opera in una collezione e sulla destinazione attuale, ma i passaggi di proprietà, le vendite rivestono un notevole interesse, in quanto documentano l’attenzione riservata nei confronti di un manufatto piuttosto che di un altro, l’evoluzione del gusto, l’attribuzione di un valore e quindi di un costo, l’andamento sul mercato, la fortuna di un autore o di uno stile.
In questa sede si intendono ripercorrere le tappe tortuose di un pezzo di notevole qualità artistica, che partì da Roma per trovare una sede definitiva in un prestigioso museo estero, l’Ermitage. Si tratta di «Un Sileno antico, e ristorato alla mano sinistra tiene l’uvi del vino, et alla destra tiene una tazza alto p.mi 6 ¼ et il zoccolo oncie 3 sc. 350» che nel 1698 Pietro Papaleo descrisse al n. 42 dell’inventario di Flavio Orsini (fig. 1)[2].
Costui era nato il 4 marzo del 1620. Il padre, Ferdinando, gli cedette, nel 1657, il ducato di Bracciano. Nel 1660, dopo la morte del genitore, Flavio divenne anche duca del feudo di Sangemini. Non eccessivamente portato per la cura del proprio patrimonio, preferì dedicarsi alla poesia e, tra gli Arcadi, era conosciuto con il nome di Clearco Simbolico. Il duca sposò, in prime nozze, Ippolita, figlia di Orazio Ludovisi, nipote di Gregorio XV e vedova di Giorgio Aldobrandini, spentasi nel 1674, senza aver avuto figli.
Nel 1675 Flavio si unì in matrimonio con Marie Anne figlia di Luigi de la Trémoille, vedova Talleyrand Périgord, nata tra il 1635 ed il 1642. Le nozze erano state combinate dai fratelli D’Estrée, Cèsar, cardinale, e Annibal ambasciatore di Luigi XIV, che intendevano avvicinarsi ad una famiglia romana e, di riflesso, al pontefice.
Tuttavia la vita coniugale si presentò fin dall’inizio difficile a causa dall’incompatibilità di carattere tra i due sposi, tanto che nel 1676 Marie Anne decise di partire per Parigi, dove rimase fino al 1683. Nel 1694 si stabilì nell’Urbe, ma il 5 aprile di un anno dopo il marito venne a mancare. La principessa Orsini, allora, fece ritorno in Francia dove Luigi XIV la nominò cameriera maggiore di Gabriella di Savoia, prima moglie di Filippo V di Spagna. Nel 1704, poiché si erano creati degli equivoci spiacevoli tra l’ambasciatore di Francia, D’Estrée, e la corona spagnola, la donna ricevette l’ordine di tornare in patria, ma, durante il viaggio, venne invitata a rientrare a Madrid. Nel 1714, morta la regina Gabriella, Marie Anne consigliò Filippo V di prendere in moglie Elisabetta Farnese, che la liquidò in tutta fretta. La vedova di Flavio, allora, cercò rifugio dapprima in Francia e, in seguito, a Genova. Da qui si trasferì, favorita dall’appoggio del nipote Luigi Lante, a Roma dove giunse nel 1720, andando ad abitare in un palazzo situato di fronte a quello dei Colonna e accanto alla dimora degli Stuart in esilio[3]. Morì il 5 dicembre del 1722 a ottantacinque anni[4], lasciando un patrimonio considerevole, ereditato dal marito[5].
Il Sileno, dunque, si trova descritto nell’inventario dei beni della princesse Orsini, stilato da Domenico Maria Muratori, come:
«Statua di un Sileno coronato di ellera con tazza in mano e pelle attorno appoggiata ad un tronco alta palmi 6 ⅓».
Rispetto al collega Papaleo, Muratori, che per giunta non era uno scultore, mise in evidenza alcuni elementi degni di interesse, come il particolare della corona d’edera sul capo del protagonista, e la pelle di animale appoggiata al tronco dell’albero. Come segno di gratitudine nei confronti di Luigi, Marie Anne gli lasciò in deposito l’eredità Orsini, che verrà acquisita integralmente alcuni anni più tardi, dal primogenito del duca, Filippo. Infatti nel 1781, il segretario personale del cardinale Federico Marcello, Giuseppe Sardaghi, perspicace conoscitore delle vicende e dei passaggi di mano tra gli Orsini ed i Lante, fu incaricato da Filippo di compilare gli elenchi delle opere d’arte, con la specifica delle provenienze. Luigi, che aveva ricevuto un’ingente somma dal fratello cardinale Federico Marcello, con il vincolo che fosse impiegata in opere pie, ottenne dal papa il permesso di utilizzare quel denaro per riscattare definitivamente la collezione Orsini.
Il figlio Filippo, schiacciato dai debiti, avvertì la necessità di conoscere l’entità dei suoi beni, per disfarsi di qualche pezzo e ripristinare una tranquillità economica troppo compromessa. Dagli elenchi del Sardaghi si viene a sapere che strategicamente il Sileno si trovava: «Sotto l’Entrone» del palazzo di rappresentanza, situato in piazza dei Caprettari, nel cuore del rione Sant’Eustachio, in modo che qualsiasi passante lo avesse potuto notare e desiderare di possedere.
Nella stessa collocazione lo vide Vincenzo Pacetti nel 1794, il quale, restando ammirato dalla dimensione, dall’antichità del marmo e della sua fattura, lo valutò duecento scudi. Il motivo di tale perizia è esplicitamente dichiarato dall’artista stesso: Luigi II Lante, primogenito di Filippo, non si poteva permettere di temporeggiare ancora, doveva rinunciare a qualche pezzo della collezione per garantirsi qualche entrata. Nonostante ciò il marmo venne momentaneamente risparmiato, per ritrovarsi nelle perizie di Antonio d’Este che, dal 1807 in poi, divenne lo scultore ufficiale dei Lante.
L’amico di Canova stimò l’opera ben 800 scudi, reputandola: «Di ottimo stile». Tuttavia, obbligato dalle leggi del mercato dell’epoca, nel febbraio del 1808 ne abbassò il prezzo a 500 scudi.
Nel 1811, alla morte del duca Vincenzo, il Sileno fu trasferito all’interno della saletta al pianterreno della villa sul Gianicolo, e per la prima volta D’Este precisò che le gambe e le braccia del personaggio erano moderne, forse aggiunte in un restauro risalente al 1657 realizzato da Baldassarre Mari, per conto di Leonardo Agostini, commissario delle antichità e amico di Lelio Orsini, fratello di Flavio[6]. In un altro elenco, senza data, ma riferibile a quegli anni, la statua era ospitata nella sala da pranzo della villa.
Il motivo di questi continui traslochi si deve probabilmente all’acume di Vincenzo, l’unico della casata che, rendendosi conto del valore della collezione, cercò di tutelarla e preservarla per il futuro, arrivando a progettare, con il sussidio di esperti come Jean Baptiste Wicar e Antonio d’Este, una sorta di galleria museo nel palazzo di piazza dei Caprettari. Per sottrarre il Sileno alla vista dei curiosi, che potevano trasformarsi in possibili acquirenti, Vincenzo pensò di sistemarlo nella sala da pranzo della villa gianicolense, lontano da sguardi indiscreti. Ma la morte improvvisa del duca lasciò i congiunti nella più profonda costernazione e il futuro porporato Alessandro, fratellastro di Vincenzo, si rivolse nuovamente al D’Este, che compilò una lista in cui, partendo dai prezzi stabiliti da Pacetti si proponeva una nuova valutazione: il costo del Sileno fu quindi ulteriormente ridotto a 400 scudi.
Nel 1814 la statua venne nuovamente trasferita nel palazzo di piazza dei Caprettari, e collocata in una nicchia lungo lo scalone. Il cambiamento di sede è spiegabile tenendo conto dell’intenzione del cardinale Alessandro di vendere la villa sul Gianicolo, e della maggiore possibilità da parte di Pietro Ferrari, computista di famiglia, incaricato dal prelato di procacciarsi acquirenti privati, di mostrare il pezzo per il quale si poteva più facilmente entrare in trattative.
Nelle due stime compilate anteriormente al 1816 ancora da Antonio d’Este, il Sileno risulta segnato con il numero 12 e posizionato in una sala del: «Primo appartamento e principiando a man dritta» di palazzo Lante.
Nella
«Copia in essere della descrizione de’ quadri e statue appartenenti all’Eredità Orsini fatta sull’Istrumento del 1723 di concerto colli rappresentanti di Case Odescalchi e Borghese e S.D. Periti Armano e Ceccarini»
del 1822, il Sileno è menzionato all’ingresso del portone del palazzo, esattamente come registrato da Pacetti nel 1794 e ricordato con la tazza in mano, la corona d’alloro in testa e la pelle d’animale sul tronco.
Tale descrizione è ripresa da Filippo Albacini nel 1827 nella stima richiestagli da Giulio Lante, una volta ottenuto il permesso di poter vendere liberamente le opere della propria raccolta. Giulio, più legato all’argenteria, che alla collezione artistica, riuscì a portare a compimento l’abile azione diplomatica dello zio Alessandro e di Pietro Ferrari, e ottenuti i vari permessi, organizzò un’asta pubblica, durante la quale riuscì ad alienare diversi pezzi. Il Sileno fu acquistato da uno degli antiquari più importanti del momento, nonché amico di Canova, Ignazio Vescovali, nel cui negozio lo comprarono i Demidoff. Da loro all’Ermitage, dove tutt’oggi si trova, il passo fu breve.
E’ importante evidenziare come la statua fosse stata ampiamente reintegrata negli arti superiori e inferiori, come il solo D’Este non mancò di sottolineare, e non è da escludere che, dopo la cessione al Vescovali, abbia subito ulteriori modifiche. L’antico personaggio mitologico ha, infatti, mantenuto la testa originaria, coronata di un ramo d’edera, ma ha perduto la tazza nella mano destra, restaurata come se sollevasse una pelle di caprone. L’altra mano, anch’essa di restauro, non tiene più i grappoli d’uva, come ricordava Papaleo, ma un animale. Che la statua sia la stessa, però, si desume dagli altri attributi, l’edera, il tronco su cui il personaggio si appoggia e la pelle di capro che indossa, oltre alle dimensioni e alla puntuale storia ricostruita attraverso i documenti.
Dopo aver viaggiato per tanto tempo, essere stato oggetto di restauri, puliture, progetti museografici finalmente il Sileno ha trovato una casa stabile in Russia, dove il pubblico oggi può ammirarlo, grazie alla sensibilità degli Orsini e dei Lante.
Rita RANDOLFI Roma 19 luglio 2020
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