di Claudio STRINATI (with english text)
(Il Direttore e la redazione di About Art on line sono grati alle EDIZIONI MUSEO DEL VIOLINO per aver concesso la pubblicazione integrale del saggio)
Sembrano maturi i tempi per affrontare la più importante questione caravaggesca emersa negli ultimi venti anni di ricerche, quella del Suonatore di Liuto proveniente dalla collezione del Duca di Beaufort. In primo luogo infatti c’è l’alta plausibilità della provenienza stessa. A prescindere da qualunque giudizio di merito, è accertato senza dubbi che l’opera deve essere stata acquistata in Italia dal Duca di Beaufort durante un tipico viaggio del Grand Tour nel 1726 ed è improbabile che il dipinto fosse stato visto su un mercato ‘minore’ e marginale, anche se la versione proveniente dall’eredità Del Monte (sembra accertato che il Caravaggio eseguisse due versioni del soggetto, una Giustiniani, una Del Monte) passata poi a i Barberini è stata meglio individuata nel quadro “ex Wildenstein” per molti anni esposto al Metropolitan Museum di New York.
Il fatto in sè non è prova di nulla sull’autografia ma non può essere minimizzata la scelta meditata di un personalità colta e consapevole quale risulterebbe essere stata quella di Henry Somerset III, Duca di Beaufort. Poi va ribadito come la versione “ex Beaufort” sia l’unica tra quelle note che corrisponde sul serio con la descrizione di un Suonatore di Liuto del Caravaggio fornita da Giovanni Baglione nella Vita di Michelangelo da Caravaggio : “e dipinse per lo cardinale … anche un giovane che suonava il Lauto, che vivo e vero tutto il parea con una caraffa piena d’acqua, che dentro il riflesso di una finestra eccellentemente si scorgeva con altri ripercotimenti di quella camera dentro l’acqua, e sopra quei e sopra quei fiori una viva rugiada con ogni esquisita diligenza finta. E quello (disse) che fu il più bel pezzo che facesse mai”.
E’ pur vero che la obiezione principale addotta contro la versione “ex Beaufort” è la possibilità che si tratti di una copia antica del quadro descritto dal Baglione con tanta accuratezza, ma è pur vero cha la eccezionalità della testimonianza implica un’analisi altrettanto impegnativa ed approfondita. Il testo del Baglione contiene infatti una frase che non compare mai nelle Vite in rapporto a nessun altro pittore e nemmeno a Caravaggio stesso. E tale frase è proprio quella in cui viene ricordato il giudizio dell’artista sulla sua stessa opera, un attestato pressoché unico in tutto il libro delle Vite. Il Caravaggio ricorda dunque essere stato il Suonatore di Liuto il quadro più bello da lui dipinto. Le eventuali anomalie che i vari esegeti del nostro dipinto hanno evidenziato meritano allora di essere vagliate alla luce di tale asserzione.
E’ stato infatti notato, sia pure informalmente, che il quadro “ex Beaufort” sarebbe fin troppo bello ed edonistico per essere realisticamente creduto del Caravaggio. La materia pittorica è stata giudicata raffinatissima, quasi eterea, priva di quella forza terrificante che viene per lo più legata al nome di Michelangelo Merisi, con la proposta conseguente di considerare l’opera più tardi del tempo di Caravaggio. Qualcuno ha ritenuto che potrebbe essere addirittura molto più tarda proprio per questo presunto eccesso di raffinatezza e di bellezza. Ma proprio il confronto con la versione “Ermitage”, capolavoro indiscusso, induce a qualche prudenza in più, specie in rapporto alla fase attuale degli studi caravaggeschi che hanno visto emergere opere assai più problematiche della nostra, avallate da analisi insoddisfacenti prive dei più elementari requisiti di qualità.
Nel nostro caso, proprio l’alta qualità dell’opera è stata presentata come elemento di dubbio, anche se le analisi scientifiche condotte sul dipinto non hanno denunciato nessun elemento inequivocabilmente contrario alla datazione nel tempo caravaggesco. Che cosa intendeva dire Caravaggio dichiarando che il Suonatore di Liuto sarebbe stato il dipinto più bello da lui fatto? E come mai il Baglione cita tale testimonianza, avallandola con una descrizione accuratissime ed entusiasta, pur essendo stato acerrimo rivale del Merisi? E’ pur vero che la biografia del Caravaggio scritta dal Baglione è molto equilibrata e serena e non è affatto denigratoria , ma è altrettanto vero che quella lode suprema suona molto strana nell’economia generale della impostazione delle Vite. Baglione, in altri termini, dice chiaramente che il Suonatore di Liuto è un’opera straordinaria nell’ambito della produzione caravaggesca senza informare del fatto che il maestro avrebbe eseguito due versioni dello stesso soggetto. E’un attestato di lode formidabile implicante quindi una eccezionalità intrinseca all’opera stessa e, guarda caso, il passo del Baglione è stato sottoposto ad una disamina approfondita dalla storiografia più di qualunque altro passo del Baglione stesso, sollevando una serie di questioni di carattere testuale e sostanziale.
Quando il Baglione cita la caraffa di fiori intende riferirsi al Suonatore o a un’opera distinta? In alcune edizioni delle Vite c’è la parola flauto e non lauto. E’ un errore di stampa o che altro? E che vuole dire il Caravaggio esattamente quando dichiara (se mai lo dichiarò) che quella fu la sua opera più bella? Ed è sicuro che il testo del Baglione non si riferisca al quadro oggi all’Ermitage?
Certo è che la versione “ex Beaufort” sembra l’unica, tra quelle oggi conosciute al di fuori del quadro “Ermitage”, degna di essere vagliata seriamente dalla storiografia, come emerge bene dalla più seria ricerca pubblicata negli ultimi anni in materia, quella di Barbara Savina (Caravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento. Etgraphiae, Foligno-Roma, 2013, p. 107 e segg.). Sia la versione “ex Wildenstein” proclamata di provenienza Del Monte, sia la versione Salini appaiono di qualità incompatibile con la mano del Caravaggio. Certo le fonti dicono che Carlo Magnone eseguì una copia del Suonatore e la mano di questo insigne copista non è facilmente riconoscibile, per cui un tale aspetto non può non condizionare la ricerca. Del resto, il Baglione, informatissimo sul Suonatore, parla di un unico originale che descrive con la massima precisione. La ricerca storica e archivistica ha poi dimostrato che invece dovettero esistere almeno due versioni, una Del Monte ed una Giustiniani. Su questa base sembra dunque legittimata una ricerca che tenti di circoscrivere meglio un quadro come quello “ex Beaufort”, che è di alta qualità, attendibile in numerosi aspetti di carattere filologico specie quelli inerenti alla descrizione dello strumento musicale e tecnicamente rispondente alle nostre più accurate deduzioni scientifiche.
Un possibile lecito approfondimento è offerto dal testo della Vita del Bellori, laddove lo studioso, che doveva conoscere molto bene sia il lavoro del Caravaggio sia le testimonianze coeve alla vita del grande maestro, dà una versione dei fatti molto più ampia e complessa rispetto al Baglione. Bellori infatti inquadra l’esecuzione del Suonatore di Liuto proprio nel momento aurorale e, certamente, più difficile della carriera del Merisi, giustificando l’importanza cruciale di quel dipinto in termini che si potrebbero definire di critica filologica-filosofica. Nondimeno, la testimonianza belloriana, che è cruciale, è ambigua e lascia comunque un margine notevole di interpretazione per gli esegeti moderni, in quanto è lecito supporre che il Bellori da un alto fosse ben informato delle dinamiche della vita caravaggesca, ma dall’altro non avesse cognizione precisissima e diretta di alcune opere fondamentali di cui pure mette in evidenza il valore. Bisogna ricordare, in una circostanza del genere, come rispetto agli scritti di Mancini, Celio, Baglione stesso, Bellori appartenga alla generazione che in sostanza ha inventato la critica d’arte intesa nel senso ancora attuale. Il testo del Bellori non è una cronaca ma una storia artistica in cui il significato e lo stile delle opere diventa fattore discriminante ed educativo. Da Bellori, quindi, dobbiamo trarre non solo e non tanto l’esattezza filologica delle informazioni ma il senso dell’evoluzione artistica di diversi Maestri da lui descritti e raccontati. In tal senso va letto il testo belloriano, e in tal senso può arrecare ancora desso spunti determinanti per la piena comprensione di alcuni momenti di snodo nella carriera caravaggesca.
E’ da ritenere che il Bellori voglia suggerire che il Suonatore nasca proprio in rapporto alla soluzione del primo, grande problema dell’esordiente Merisi: la necessità di dipingere da un modello, perché senza non era capace e nei primissimi tempi del suo soggiorno romano non se lo poteva permettere per motivi economici. Ecco il testo del Bellori :” Condottosi a Roma vi dimorò senza recapito e senza provvedimento, riuscendogli troppo dispendioso il modello, senza il quale non sapeva dipingere, né guadagnando tanto che potesse avanzare le spese. Sicché Michele, dalla necessità costretto, andò a servire il cavalier Giuseppe
d’Arpino, da cui fu applicato a dipingere fiori e frutti sì bene contraffatti che da lui vennero a frequentarsi
a quella maggior vaghezza che tanto oggi diletta. Dipinse una caraffa di fiori con le trasparenze dell’acqua e del vetro e coi riflessi della finestra d’una camera, sparsi li fiori con freschissime rugiade ed altri quadri eccellentemente, fece di simile imitazione. Ma esercitandosi egli di mala voglia in queste cose, e sentendo gran rammarico di vedersi tolto dalle figure, incontrò l’occasione di Prospero, pittore di grottesche, ed uscì di casa di Giuseppe per contrastargli la gloria”.
A questo punto Bellori narra che Prospero Orsi, che era un dotto ed un mercante, spinge Caravaggio a dipingere quadri alla maniera di Giorgione, con “scuri temperati”, il cui primo esempio è il quadro del Baro acquistato dal cardinale Del Monte, che compra poi dal Merisi altri quadri e se li tiene in casa. Questi quadri del nuovo stile sollecitato e quadi suggerito da Prospero, sono “una musica di giovani ritratti dal naturale in mezze figure” (il Concerto di New York), “una donna in camicia che suonava il liuto con le note davanti” e “Santa Caterina ginocchione appoggiata alla rota” (il quadro Thyssen, già Barberini). Questi ultimi due quadri sono, stando al Bellori, di un colorito più tinto “cominciando Michele a ingagliardire gli scuri”, che poi diventeranno, dice ancora il Bellori, “scuri gagliardi” nelle opere immediatamente successive.
Ora ci si può chiedere quale quadro Bellori descrive quando parla della Caraffa con fiori dipinta dal Caravaggio al momento dell’ingresso nella bottega dell’Arpino e quale quadro descrive quando parla della donna in camicia che suona il liuto con la musica davanti. La precisione del Bellori e la sua profonda conoscenza delle opere del Caravaggio non devono far sottovalutare il fatto che lo storico parli di una serie di quadri di natura morta di cui quella caraffa meravigliosa sarebbe la più bella, e parli di una donna che suona, vale a dire descriva due quadri che potrebbe essere entrambi scomparsi, anche se un Suonatore di liuto è documentato nella collezione Del Monte passato poi a Berberini e il quadro “ex Wildenstein” viene dalle raccolte Barberini. Del resto la figura del Suonatore è talmente ambigua da giustificare facilmente l’equivoco sul sesso del personaggio.
Occorre allora seguire il metodo Bellori che fa storia dell’arte e non cronaca spicciola per cui le sue indicazioni vanno sempre lette in tal senso. Allora, dove è la verità? Noi abbiamo oggi un quadro, come quello “ex Beaufort” che contiene in sé gli elementi di due quadri diversi descritti appunto in maniera distinta da Bellori. Nel quadro “ex Beaufort” c’è una donna (perché non c’è dubbio che la figura del giovinetto è formulata in quest’opera con un’accentuazione molto forte di una marcata androginia) che suona con la musica davanti, e c’è una caraffa di fiori che corrisponde in tutto alla descrizione belloriana del quadro che Caravaggio avrebbe fatto appena entrato nella bottega del Cavalier d’Arpino. Però dovrebbe trattarsi di due quadri diversi che, guarda caso, Bellori dichiara eseguiti subito prima e subito dopo l’incontro fatale del Caravaggio con Arpino prima e Orsi subito dopo.
Caravaggio è insofferente e appena incontrato Orsi, avendo appena dipinto la caraffa meravigliosa ed altre opere simili, esce dalla bottega di Arpino per contrastarne la gloria, alleandosi appunto con Orsi che fino a un momento prima era collaboratore strettissimo di Arpino stesso. E Orsi gli prescrive di attenersi alla maniera di Giorgione, garanzia di eccellenza, e Giorgione era ricordato come elegante, colto ed affascinante pittore, Suonatore di liuto e cantante. Insomma, è come se Bellori dicesse che di questa svolta cruciale Caravaggio prima fa una parte (la Caraffa con fiori e altre opere simili) poi fa l’altra (si cala nei panni di Giorgione e dipinge Baro come una sorta di prova generale e poi la donna che suona il liuto, Musici –fig 5- che pure suonano e cantano, Santa Caterina d’Alessandria).
E’ come se Bellori volesse suggerire una continuità tra due momenti diversi e pure talmente interconnessi da implicare l’esecuzione da parte del Merisi spalleggiato, anzi proprio aiutato, da Prospero Orsi di due serie di opere che si connettono l’una con l’altra per consacrare la scoperta del nuovo stile alla veneta, giudicato anche da Arpino stesso, il più bello esistente in Italia. Insomma, il Caravaggio, sotto gli auspici di quel grande “manager”che fu Prospero Orsi (“Prospero acclamando il nuovo stile di Michele accresceva la stima delle opere sue con util proprio fra le prime persone della corte”) trasforma il disagio procuratogli dal Cavalier d’Arpino in una forza eccelsa che gli permette, caso quasi unico in tutta la storia dell’arte italiana, di creare una continuità tra due momenti in apparenza incompatibili, quello della difficoltà dolorosa e quello del trionfo glorioso, due tempi vicinissimi tra loro ma distinti da una sorta di pausa, incarnata nell’avvento salvifico di Orsi, tale da permettere che la situazione maturasse a livello ottimale.
La Caraffa di fiori di cui Bellori parla dicendola dipinta immediatamente prima di incontrare Prospero Orsi è e non è la caraffa dipinta all’interno del Suonatore “ex Beaufort”. E il suonatore del quadro “ex Beaufort” è e non è la donna in camicia che suona il liuto, dipinto appartenuto al cardinal Del Monte. Un paradosso, è evidente, ma giustificato dal testo del Bellori quando egli dice che la Caraffa di fiori fu dipinta insieme “con altri quadri di simile imitazione” e furono tutti eccellenti; e quando dice, commentando i quattro dipinti, cui aggiunge anche un San Giovanni nel deserto, che in questa primissima e gloriosa fase giorgionesca, che “non faceva mai uscire all’aperto del sole alcuna delle sue figure” volendo farci capire che la serie fu ben più ampia di quattro/cinque quadri pur bellissimi. Insomma, Bellori omette di citare alcune opere perché tiene a far comprendere il metodo operativo e speculativo messo in atto dal Caravaggio per incrementare la sua gloria, subito prima e subito dopo l’incontro con Orsi, suo turcimanno come dice il Baglione e che oggi possiamo ben tradurre come “manager”.
Ora il Suonatore di liuto “ex Beaufort” è dipinto in una maniera che è esattamente intermedia tra quella arpinesca e quella giorgionesca (almeno secondo l’idea del giorgionismo condivisa da Orsi, Zuccari ed altri valentuomini del tempo). Il quadro è tenero, morbido, appena venato di edonistico erotismo. E’ vicinissimo al capolavoro assoluto dell’Ermitage ma la somiglianza delle due figure è ambiguamente percepibile, mentre il Suonatore “ex Wildenstein” è chiaramente ripreso da quello “Ermitage” , senza condividerne affatto la dimensione edonistica e men che meno erotica, èper non parlare della versione Salini che si direbbe copia antica di quest’ultimo e potrbbe ben essre la copia di Carlo Magnone di cui parlano gli inventari Barberini.
Il Suonatore “ex Beaufort” potrebbe allora essere l’unica opera testimoniante il momento del passaggio del Merisi dalla bottega di Arpino alla protezione di Orsi, quando Caravaggio dipinge di malavoglia meravigliosi quadri di fiori e frutta, ma subito riesce a lavorare col modello orientando il suo stile su un nuovo, imprevisto, prodigioso amalgama di maniera veneta e maniera romana. Il Suonatore “ex Beaufort” non denota certamente la mano del Cavalier d’Arpino, ma lo stile con cui è condotta la figura è arpinesco e arpinesco era in quel momento Orsi stesso, che tuttavia orientò Caravaggio fuori dall’arpinismo. Il quadro Ermitage mostra invece il Caravaggio nella piena ed assoluta potenza del suo naturalismo nel suo momento fatale, intorno all’anno 1600, quando si ha l’impressione, confrontando i dati di stile con i documenti d’archivio, che il Merisi faccia tutto insieme, dato che tutti i conclamati capolavori sembrano scaturire dalla cappella Contarelli, da lui eseguiti nel giro di due o tre anni.
A questo punto va ribadito come la caraffa di fiori, nel quadro “ex Beaufort” sembra veramente pertinente alla mano di un Caravaggio obbligatoriamente arpinesco nella fase immediatamente precedente all’ “ingagliardimento” degli scuri, e la figura, a sua volta, sembra ugualmente formulata nello stesso ambito di pensiero figurativo, forse dal Caravaggio stesso, ma guidato da una mano coerente con l’impostazione che Prospero Orsi doveva avere in quella fase. E’ vero che Prospero era soprannominato “delle grottesche” ma è altrettanto vero che è documentato anche come pittore di figura e ne sono testimonianza certa i notevoli affreschi da lui eseguiti alla Scala Santa nel 1588c, quindi almeno dieci anni prima della probabile esecuzione del Suonatore “ex Beaufort”, dove la figura è molto garbata e tendente a un discreto naturalismo, proprio come si vede alla Scala Santa ad esempio nell’affresco di Isacco che benedice Giacobbe dove, tra l’altro, è in bella evidenza una caraffa che sembra l’antenata diretta di quella caravaggesca. Che il “turcimanno” ed il Merisi possano aver messo mano insieme a qualche opera nel momento nascente della loro alleanza non è strano, anzi sembrerebbe addirittura necessario. Il Suonatore “ex Beaufort” potrebbe esserne testimonianza.
Arpino voleva che Caravaggio lavorasse sui fioro e sulle frutta nell’ambito della sua bottega e il Caravaggio fece vari quadri del genere ma, caso singolare, Bellori ne può ricordare solo uno. E dove sono finiti questi quadri, dato che l’identificazione tra Caravaggio giovane e il Maestro di Hartford non sembra giusta? Il Suonatore “ex Beaufort” potrebbe essere, del resto, un quadro elaborato sotto Prospero Orsi, magari cominciato nella bottega dell’Arpino e completato dopo la svolta giorgionesca. Vige, naturalmente, il principio della qualità e della verifica documentaria e l’opera è talmente fresca (al punto che la si considera addirittura come imitazione settecentesca) e ben condotta da non poter essere rubricata come copia. Dunque, il quadro di cui parla Baglione (se si accetta la lettura come riferita ad un’opera sola) potrebbe essere proprio quello e il Bellori ne riferirebbe in una forma criticamente complessa ma giustificabile dall’eccezionalità della presumibile vicenda dell’opera stessa. Qualunque sia la soluzione del problema della provenienza dei quadri “Ermitage” ed “ex Wildenstein” resta il fatto che l’evidenza documentaria fa pensare che di questo Suonatore esistessero veramente più versioni rapportabili, in modi diversi, alla mano del Caravaggio stesso. Certo la questione documentaria non si può dire risolta definitivamente. Ma è sempre più evidente il fatto che il caso del Suonatore riflette una fase di rapporto problematico e conflittuale tra Merisi e Arpino, attraverso la mediazione di figure cruciali nella cultura figurativa di un passaggio storico epocale che si incentra sul Giubileo, tale da provocare una serie di presupposti e conseguenze di cui il Suonatore è il fulcro essenziale. Esso costituisce un caso a sé per tutta la storia della parabola del Caravaggio e per una migliore cognizione del funzionamento del metodo di lavoro tra l’organizzazione in bottega e l’organizzazione in gruppo: perché tale è il significato della parola “corte” in quel passo cruciale della testimonianza belloriana quando si dice che Orsi fu fra le prime persone della corte, cioè della cerchia caravaggesca che, appunto, non è più organizzata col sistema della bottega.
E il quadro “ex Beaufort” è una testimonianza, in tale ottica, della somma dottrina dell’ambiente manierista e della sua elegante, eletta ragionevolezza, che si sta trasformando nella più forte esperienza naturalistica del tempo moderno.
di Claudio STRINATI
(Il quadro ex Beaufort è esposto attualmente nella mostra Monteverdi e Caravaggio Sonar strumenti e figurar la musica al Museo del Violino, Cremona, fino al 23 luglio)
Tackling the most important issue concerning Caravaggio to have emerged in the last 20 years of research, that of the Lute Player from the Duke of Beaufort’s collection (fig 1), is long overdue. To begin with, the provenance of the work is highly plausible. Setting aside any judgment on its merits, it has been established beyond doubt that the work have been purchased in Italy by the Duke of Beaufort during a standard Gran Tour trip in 1726, and it is unlikely that the painting would have been seen on a ‘minor’ marginal market, even though the version passed down by Del Monte (it seems certain that Caravaggio painted two versions of the subject, the Giustiniani and the Del Monte versions), which then ended up in Barberini’s hands, has been shown to be more probably the painted once owned by Wildenstein, displayed for many years at the Metropolitan Museum of Art in New York (fig 2).
This alone does not by any means prove it is an original, but the considered choice of a well-educated and informed figure like Henry Somerset III, Duke of Beaufort, should not be undervalued. In addition it should also be reiterated that the ‘ex Beaufort’ version is the only known work to closely match description of a painting of The Lute Player by Caravaggio provided by Giovanni Baglione in his work the Vita di Michelangelo da Caravaggio: “and he also painted for the cardinal … a young man, playing the Lute, who seemed altogether alive and real with carafe of flowers full of water, in which you could see perfectly the reflection of a window and other reflections of that room inside the water, and on those flowers there was a lively dew depicted with every exquisite care. And this (the said) was the best piece that ever painted”.
While it is true that the main objection raised against the “ex Beaufort” version is the possibility that it is an ancient copy of the painting described in such detail by Baglione, the exceptional nature of the evidence surely implies an extremely deep and painstaking analysis. Indeed, Baglione’s text contains a phrase that never appears in his Vite in relation to any other painter, or even to Caravaggio himself: he reports that artist’s verdict on his own work, recalling that Caravaggio believed the Lute Player to be that best painting he had ever produced, a piece of evidence that is practically unique in the whole of Vite. Any anomalies regarding the painting highlighted by various commentators should therefore be examined in the light of this assertion.
It has, in fact, been purported, albeit informally, that the “ex Beaufort” painting is too beautiful and hedonistic to realistically be considered a Caravaggio. As a result of the extremely refined, almost ethereal painting style, without any of terrifying force which Michelangelo Merisi is often known, it was suggested that the work should be dated to as time after Caravaggio. Some have even proposed that it could be much later, precisely because of this presumed excessive refinement and beauty. But comparing the work with the “Hermitage” version (fig 3), an undisputed masterpiece, provokes extra caution, especially when one considers the current studies into Caravaggio that have seen the emergency of works much more problematic than ours, back up by unsatisfactory analysis that fails even the most basic quality requirements.
In our case, it is the high quality of the work that has been presented as an element of doubt, despite the fact that scientific analysis carried out on the painting has not highlighted anything that unequivocally contradicts dating it to Caravaggio’s time. What did Caravaggio have in mind when he said that the Lute Player was the best painting he had ever created? And why does Baglione cite the alongside an extremely accurate and glowing description, despite being Merisi’s bitter rival? Although Baglione’s biography of Caravaggio is very balanced and calm and not at all disparaging, the high praise does sound very strange in the overall context of Vite. In the other words,, Baglione clearly states that the Lute Player is an extraordinary work in the framework of Caravaggio’s art, without informing us that the master produced two version of the same subject. This remarkable praise therefore implies some exceptional intrinsic to the work itself and, unsurprisingly, this passage has been subjected to close examination by historiographers more than any other piece of Baglione’s writing, raising a series of questions regarding both the text and its substance.
When Baglione mentions the vase of flowers, is hi referring to the Player or a separate work? In a several old edition of Vite the word ‘lauto’ (lute) is replaced by ‘flauto’ (flute). Is this a printing error or something else? And what exactly does Caravaggio mean when he says that this was his best work (if, indeed, he said it all) ? And were sure that Baglione’s text does not refer to the painting now in Hermitage? One thing is certain: that “ex Beaufort” version appears to be the only version known today, apart the “Hermitage” painting, worthy of serious historiographical examination. This emerges clearly in the most in-depth research published on the subject in recent years, by Barbara Savina (Caravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento. Etgraphiae, Roma-Foligno, 2013, p. 107 ss). Both the ‘ex Wildenstein’ version appear to be of too low quality to have been produced by Caravaggio.
It is true that, according to various sources, Carlo Magnone produced a copy of the Player, and the handiwork of this renowned copyist is not easily recognizable, which must borne in mind in any research. Moreover, Baglione, who is hugely knowledgeable about the Lute Payer , mentions only a single original, which he describes with the utmost precision. Historical and archive research have, however, shown that there should be at least two versions in existence, one from Del Monte and one from Giustiniani. On this basis, it seems legitimate to embark on research that attempts to better describe a painting like the “ex Beaufort” painting, which is high quality, reliable in numerous philological aspects, expecially regarding the description of the musical instrument, and which complies technically with our most accurate scientific deductions.
Further detail, potentially valuable, is provided in the text of Bellori’ Vita, where the scolar, who must have known both Caravaggio’s work and writings produced at the time of the great master very well, provide a much more extensive and complex version of the facts than Baglione. Bellori places the Lute Player at the dawn of Merisi career and undoubtedly the most difficult time of his life, arguing the crucial importance of the painting in what could well be described as philological and philosophical terms. Nevertheless, Bellori’s key evidence is ambiguous, and leaves significant room for interpretation by modern commentators, since while on the one hand it is likely Bellori was well-informed about the comings and goings Caravaggio’s life, one the other hand he did not have a completely accurate and direct knowledge of certain fundamental works, which he nevertheless highlights as important. Here one needs to remember that, unlike the works of Mancini, Celio and indeed Baglione, Bellori belongs to a generation that essentially invented art criticism as we know it today. Bellori’s text is not an account, but rather a piece of art history, where the meaning and style of the work are the most important, enlightening facto. We therefore should not rely too much and the philological accuracy of Bellori’s information, but instead focus on the meaning of the artistic evolution of the various master he described and recounted. This is how Bellori’s text should be read, and this is the context it can still provide crucial inspiration that can help us fully understand various key moments in Caravaggio’s career.
Bellori seems to suggest that the Player came about in connection with the first major problem faced by young Merisi: he need to paint with the model, because he wasn’t able to work without one, but the fact in the early days of his stay in Rome ho could not afford one. Here is Bellori’s text :” Moving t Rome, he lived there without fixed lodging and without provisions, for models, without which he did not know how to paint, proved too costly for him, and he was not earning enough to cover his expenses. And so, under constraint of necessity, Michele went to work for Cavaliere Giuseppe d’Arpino, who set him to painting flowers and fruits, which he imitated so well that through him they attained the superior beauty that affords such delights nowadays. He painted a vase of flowers with the transparencies of the water and the glass, and with the reflections of the window of a room, and flowers sprinkled with the freshest dewdrops (fig 4); he also executed other pictures superbly with like limitation. But as was working at these things against his will and feeling great regret to see himself kept from figures, he welcomed the opportunity offered by Prospero, a painter of grotesques, and left Giuseppe’s house to vie with him for the glory of the brush”.
At this point, Bellori writes that the scholar and the dealer Prospero Orsi encouraged Caravaggio to paint works in the style of Giorgione, with “tempered dark passages”, the first example of which is the Cardsharps, purchased by the Cardinal Del Monte, who later bought other paintings from Merisi and displayed them in his home. The paintings in the new style, demanded and, indeed, almost suggested by Prospero, are “a concert of young men portrayed from life in half-land figures” (The Musicians, New York), “a woman in a blouse playing the lute with the notes before her” and “Saint Catherine on her knees leaning against the wheel” (The Thyssen painting, formerly owned by Barberini). These last two paintings, according to Bellori, have deeper colouring, “for Michel was already beginning to fortify the dark tones”, which would later become, again in Bellori’s words, “bold dark passages” in the works that immediately followed. One may ask at this juncture which painting Bellori is describing when he writes about the Carafe with Flowers, painted by Caravaggio when he joined Arpino’ s studio, and which painting he is describing when discusses the woman in a blouse playing the lute from some music. Bellori’s accuracy and his deep knowledge of Caravaggio’s works should not lead us to underestimated the fact that historian is talking about a series of still lifes, with a wonderful vase the most beautiful of the lot, and a painting of a woman playing; in other words he is describing two paintings that could both the lost, although a painting of a Lute Player is documented in the Del Monte collection, which later passed to Barberini, and the “ex Wildenstein” painting comes from Barberini’s collections.
The depiction of the Lute Player is sufficiently ambiguous to easily justify the misunderstanding of the character’s sex. One must remember that Bellori was writing art history rather than detailed chronicles, and his words should therefore be read with this in mind. What is the truth, then ? Today in the “ex Beaufort” work we have a painting that contains elements of two different works described separately by Bellori. The “ex Beaufort” painting contains a woman (there is no doubt that the figure of the young man in formulated in such as way as to strongly accentuate his androgynous nature) playing from some music, and a vase of flowers that fully matches Bellori’s descriptions of the work Caravaggio is meant to have completed immediately after starting work in Cavaliere d’Arpino’s studio. However, they should be two separate works that, coincidentally enough, Bellori states where painted immediately before and after Caravaggio’ crucial encounter with first Arpino and then, straight afterwards, Orsi. Caravaggio is impatient and, once he has met Orsi, having just finished the wonderful vase and other similar works, he leaves Arpino’s workshop to attempt to steal his glory, allying himself with Orsi who, until very recently, had been a close partner of Arpino. Orsi orders him to follow Giorgione’s style, a sure way of achievieng excellence; Giorgione was remembered as a stylish, well-educated and fascinating painter, lute player and singer. Basically, it is as if Bellori were saying that Caravaggio divides this crucial turning point into two, first completing the Carafe with Flowers and other similar works, and then appropriating Giorgione’s style and painting Cardshapers as a sort of general test and then the woman playing the lute, Musicians (fig 5) who also play and sing, and Saint Catherine of Alexandria.
It seems that Bellori wanted to suggest continuity between two different moments, which are so closely interconnected that they imply Merisi created, with the support, or indeed, the help, of Prospero Orsi, two series of works that combine to reinforce the discovery of the new Venetian style, which was judged, including Arpino himself, as the most beautiful in Italy. Caravaggio therefore, under the guidance of his great ‘manager’ Prospero Orsi (“Prospero was acclaiming Michele’s new style, increased the value of his works to his own profit among the foremost persons of the court”) transforms the annoyance bestowed upon him by Cavalier d’Arpino into a sublime strength, allowing him, almost uniquely in the entire history of Italian art, to create continuity between two apparently incompatible moments, one marked with painful difficulty and other with a glorious triumph, two moments very close in time but separated by a sort of pause, embodied by the redemptive arrival of Orsi, which allowed this situation to reach an optimal conclusion.
The Carafe with flowers Bellori describes as being painted immediately before Caravaggio met Prospero Orsi both is and is not the vase painted in the “ex Beaufort” Player . And the player in the “ex Beaufort” painting both is and is not the woman in a blouse playing the lute in the painting belonging to Cardinal Del Monte. This is clearly paradoxical, but it is supported by Bellori’s text when he says that the vase of flowers was painted together with other pictures “with like imitation”, all of which were excellent; and when, commenting on the four paintings, to which he also adds a depiction of Saint John in desert, he says that in this very early and glorious Giorgione-inspired stage, he “never brought any of his figure out into open sunlight”, highlighting to us that series was much larger than the four or five beautiful paintings described. Basically, Bellori does not mention certain works because he wants to make clear the speculative working method Caravaggio used to increase his glory immediately before and after his meeting with Orsi, his “dragoman”, as Baglione puts it, which today we could happily translate as “manager”. The “ex Beaufort£ the Lute Player is painted in a manner precisely halfway between Arpino’s and Giorgione’s styles (or at least the idea of Giorgione’s style shared by Orsi, Zuccari and other important men of the time).
The painting is gentle as soft, with a touch of hedonistic eroticism. It is very similar to the absolute masterpiece in the Hermitage, but the similarity between the two figures is slightly ambiguous, while in the “ex Wildenstein” Player is clearly taken from the “Hermitage” work, without sharing his hedonistic dimension and certainly not is eroticism. Then there is the Salini version, which is probably an ancient copy of the “Hermitage” work, and could well be Carlo Magnone’s copy described in the Barberini Inventories.
The “ex Beaufort” Player could therefore be the only work to bear witness to the moment when Merisi passed from Arpino’s workshop to being under the protection of Orsi, when Caravaggio painted wonderful depictions of flowers and fruits against his will, but found immediate success in working with a model, directing his style towards a new, unforeseen and exceptional amalgamation of the Venetian and Roman styles. The “ex Beaufort” Player certainly shows no sign of the hand of Cavalier d’Arpino, but the style in which the figure is produced is Arpino-inspired at that moment too, although he steered Caravaggio away from Arpino’s style. The painting in Hermitage, meanwhile, shows Caravaggio at the height of his naturalist powers, at the crucial moment in around 1600, when a comparison of information on his style with archive documents suggest that Merisi did everything all at once, given that all his acclaimed masterpieces seem to have come from the Contarelli chapel, and to have been painted over the course of two or three years.
At this point it is worth reiterating how the flowers in the “ex Beaufort” painting seem to pertain particulary to a forcibly Arpino-inspired Caravaggio in the phase immediately preceding the “fortification” on his dark tones, and the figure, in turn, seems to be formulated within the same field of figurative thought, perhaps by Caravaggio himself but guided by a hand that matches the style Prospero Orsi must have had in that period. Although Prospero was nicknamed “delle grottesche” or “the grotesque painter” , he also worked as figurative painter, as proven by noteworthy frescoes he painted in the Scala Santa in 1588c., at least ten years before the “ex Beaufort” Palyer was produced. The noble features of the subject of the Player, tending towards clear naturalism, are also clear in the Scala Santa, for example in the fresco of Isaac blessing Jacob where, moreover, a vase that looks like a direct ancestor of Caravaggio’s can clearly be made out. The fact that the dragoman and Merisi might have worked together on various works in the early period of their alliance is not strange; indeed it would seem to be absolutely essential. And the “ex Beaufort” Player cold bear witness to it. Arpino wanted Carvaggio to work on flowers and fruit in his workshop and Caravaggio produced various painting of this type but, strikingly, Bellori can only remember one of them.
What happened to these paintings, given that the identification of the young Caravaggio with the Master of Hartford appears misplaced? The “ex Beaufort” Player could be a painting produced under Prospero Orsi, perhaps started in Arpino’s workshop and completed following his switch to the Giorgione’s style. Naturally, the principle of quality and documentary checks apply, and the works is so fresh (to the extent that it has even been considered as an 18th-century imitation) and well-produced that it cannot be put down as a copy. Therefore, this could be the painting described by Baglione (if one accepts the passage is referring to a single work), and Bellori could be referring to it a cryptically complex way, but justifiable by the exceptional nature of the presumed story of the work itself. Whatever the solution for the issue of the provenance of the “Hermitage” and “ex Wildenstein” paintings, the fact remains that the documentary evidence points to there really being multiple versions of this Player ascribable in various ways to Caravaggio’s own hand.
The documentary question certainly cannot be said to be completely resolved. But it is increasing clear that the Player reflects a period dominated by a difficult and hostile relationship between Merisi and Arpino, mediated by crucial figures in the figurative art of an historical period centred on the Jubilee, which triggered a series of requirements and consequences, with the Player playing a pivotal role. It represents a special case in the whole parable of Caravaggioand allows a better understanding of his working methods, his shift from working in a workshop to working in a group: this is the meaning of the word “court” in the crucial passage from Bellori’s history, when he says that Orsi was “among the foremost persons of the court” , in other words Caravaggio’s circle, no longer structured around the workshop system.
In this light, the “ex Beaufort” painting bears witness to the main doctrine of the mannerist environment and its elegant, carefully chosen rationality, and how it was transforming into the strongest naturalist experience of the modern age.