di Claudio LISTANTI
La settimana che si sta concludendo è stata quella delle riaperture dei luoghi della cultura e dello spettacolo, un settore tra i più colpiti dai funesti effetti economici della pandemia.
Il Teatro dell’Opera di Roma, nella piena osservanza delle norme in vigore da lunedì 26 aprile e relative alle riaperture di diverse attività, ha organizzato, per la serata del 28 aprile, un concerto che ha segnato la ripresa dello spettacolo dal vivo con la presenza del pubblico.
L’istituzione musicale guidata da Carlo Fuortes ha voluto dare a questa serata una valenza del tutto particolare proponendo un concerto di carattere sinfonico ma dedicato ad uno dei musicisti ‘operisti’ più significativi di tutta la Storia della Musica: Giuseppe Verdi. Sul podio c’era uno dei direttori più in vista di oggi, Michele Mariotti, che ha guidato con sicurezza l’Orchestra del Teatro dell’Opera in un programma che prevedeva tre partiture di musiche per balletto contenute in opere che Verdi scrisse per Parigi: Don Carlos, il rifacimento di Macbeth e Les vêpres siciliennes.
Il pubblico ha risposto alla grande a questo concerto esaurendo in poche ore i 500 biglietti che le disposizioni anti covid hanno reso disponibili riprendendo così quel rapporto esecutori-pubblico che è uno degli elementi insostituibili dello spettacolo dal vivo, interrotto nell’ottobre dello scorso anno e che le molteplici trasmissioni in streaming, seppur lodevoli e anche opportune viste le necessità del momento, purtroppo non riescono a riprodurre.
Una serata del tutto godibile dai diversi significati non solo scaturenti dalla ripresa degli spettacoli ai quali la brillante musica per balletto è servita come elemento catalizzatore ma anche, in un certo senso, dalla rivalutazione dei balletti di Giuseppe Verdi ai quali, spesso, non è data la dovuta attenzione.
Ed è giusto che un teatro d’opera abbia fatto questa scelta, nella speranza che cessi quella specie di ostracismo che purtroppo caratterizza le rappresentazioni di opere verdiane dove è prevista la Danza, troppo spesso ostaggio di sedicenti registi ai quali si aggiunge, a volte, la complicità di direttori artistici e direttori d’orchestra. L’occasione ci è propizia per mettere in evidenza questo aspetto del teatro musicale verdiano che per essere giudicato approfonditamente si deve tener presente l’estrema cura che Verdi dedicò alla drammaturgia ed alla teatralità delle sue creazioni.
Nell’Italia dell’800 la Danza era sicuramente molto importante nel vasto panorama artistico e, per lo più, Ispirava spettacoli autonomi. Nella vicina Francia, nella quale dominava per buona parte dell’800 il cosiddetto Grand Opéra, c’era la consuetudine di inserire pagine ballettistiche nelle rappresentazioni operistiche. Una consuetudine che divenne una ‘conditio sine qua non’ per i compositori che decidevano cimentarsi nell’impresa di proporre lavori per il teatro ed il pubblico parigino, non solo quando producevano opere concepite esclusivamente per questa piazza musicale ma anche quando proponevano opere di successo del proprio repertorio che per rispettare queste regole erano costretti ad adattamenti e revisioni a volte anche radicali. Per capire la portata del fenomeno citiamo il fatto che anche Richard Wagner dovette abbandonare i dettami della sua estetica teatrale per proporre al pubblico parigino il Tannhauser.
Per quanto riguarda il nostro Giuseppe Verdi, in molte occasioni lavorò per Parigi e, quindi, dedicò una particolare attenzione al Ballo (così era chiamato questo genere di interventi) lasciandoci partiture pregevoli e di grande interesse per un contributo musicale che possiamo definire senza dubbio ‘corposo’.
Innanzi tutto ci sono le due opere scritte appositamente per Parigi, entrambe strutturate con le regole del Grand Opéra: Les vêpres siciliennes la cui prima fu 13 giugno 1855 e Don Carlos andata in scena l’11 marzo 1867. Entrambe le opere posseggono ognuna un divertissement (termine usato in Francia per questo genere di spettacolo), le cui musiche sono state eseguite nel concerto proposto dal Teatro dell’Opera di Roma.
Gli interventi ballettistici previsti sono ben collocati nell’ambito dello sviluppo teatrale. Nei Vêpres il divertissement ha come titolo Quatre Saisons ed è inserito, secondo i canoni, nel terzo atto e all’interno di una festa che si svolge nello sfarzoso salone delle feste del palazzo palermitano del governatore Monforte. Ad allietare gli ospiti c’è questo balletto che, come riportato nello spartito prevede ‘L’entrata del dio Giano che presiede all’anno. … ,con una chiave d’oro apre la terra e da vita alle stagioni’. La musica caratterizza le peculiarità delle stagioni; si inizia con l’inverno per finire con l’autunno sfociando nel brillante Galop finale.
Anche nel Don Carlos l’intervento coreutico è all’interno del terzo atto. Il titolo è La Péregrina e prevede una azione che vede un pescatore entrare in una grotta dove scopre meravigliose perle tra le quali individuare la più bella. Anche qui la musica è di grande effetto nella quale traspare una affascinante regalità che simbolicamente diviene un omaggio alla bellezza della regina.
Nell’ambito delle esecuzioni di queste due opere, procedere ad una omissione di queste due splendide pagine, si ottiene irrimediabilmente uno sbilanciamento perché Verdi calibrava sapientemente musica e azione teatrale e la mancanza di questi brani si può considerare un’amputazione che penalizza teatralmente tutto l’insieme.
Chi decide di eseguire questi due capolavori deve necessariamente salvaguardarne l’integralità. Ne Les vêpres, a dire il vero avviene abbastanza spesso; le due edizioni ascoltate negli anni al Teatro dell’Opera hanno conservato l’integralità anche se, nell’ultima recentissima, c’era qualche forzatura registica. Nel Don Carlos si entra nell’annosa problematica delle varie versioni me chi decide di mettere in scena l’edizione originale francese, proprio in omaggio alla storia e agli stilemi del Grand Opéra, deve prevedere l’esecuzione della parte danzata. Ahinoi ciò non avviene quasi mai.
Ma Verdi adattò per Parigi altre opere. La prima fu I Lombardi alla Prima Crociata che a Parigi, il 26 novembre 1847, divenne Jerusalem. Si tratta di un rifacimento piuttosto radicale dei Lombardi con il quale il musicista entrò nel teatro d’opera francese, nel cui ambiente ebbe sempre una certa considerazione. All’interno di questo rifacimento, nel terzo atto, ambientato nell’harem dove l’Emiro di Ramla tiene in ostaggio la protagonista Hélène, ci sono dei ballabili che Charles Osborn nella sua guida critica alle opere di Verdi giudica ‘piacevole e colorito balletto’ con i quali le donne dell’harem consolano Hélène. L’altra esperienza ‘parigina’ di Verdi si ha nel 1857 con, Le Trouvère, un adattamento de Il Trovatore andato in scena a Roma quattro anni prima, nel 1853. Per l’occasione inserisce, nella prima scena del terzo atto, quella che si svolge nell’accampamento del Conte di Luna, un balletto molto consistente quantitativamente, dai caratteri musicali piuttosto pregevoli con il quale riesce a dare una convincente nota di colore grazie ad un gruppo di gitani le cui danze contrastano con i toni di carattere guerresco del momento.
Nel 1865, esattamente il 19 aprile, Parigi ospita Macbeth che Verdi presentò operando un cospicuo rifacimento della prima edizione fiorentina del 1847. Tra le tante varianti inserite c’era, doverosamente, il balletto che, come da tradizione è inserito nel terzo atto nella seconda scena delle streghe. Si tratta di una musica che amplifica l’elemento fantastico che pervade tutta la scena nella quale si immagina Ecate, la dea della magia e dei sortilegi che annuncia alle streghe la venuta di Macbeth per interrogarle sul suo futuro. Le streghe iniziano una danza vorticosa e frenetica.
Anche in tarda età Verdi su cimentò con la danza, precisamente nel 1894, un anno dopo il Falstaff, la sua ultima opera e sempre a Parigi. In questo caso fu Otello ad essere arricchito con un balletto inserito sempre nel terzo atto prima dell’ingresso in scena di Lodovico e della delegazione proveniente da Venezia. È una musica che fa emergere un ‘elegante’ esotismo sonoro scaturita dalla penna di un Verdi all’apice della sua arte compositiva.
Per questo gruppo di opere composto da partiture adattate per essere presentate a Parigi non ci si può scandalizzare se vengono presentate nelle edizioni originali nelle quali il balletto non è previsto. Ma quando si decide di adottate gli spartiti ‘parigini’ togliere i balletti è un controsenso e la cosa, purtroppo, avviene anche in Francia.
Ultima osservazione è per Macbeth i cui balletti sono stati eseguiti nel concerto che stiamo recensendo. Di questa opera che Verdi adattò per la capitale francese operando diversi cambiamenti alla versione originaria del 1847, si esegue usualmente proprio questa edizione di Parigi del 1865 che prevede il divertissement che sempre (o quasi) è impietosamente tagliato. Il tutto avviene anche in grandi teatri che hanno a loro disposizione un corpo di ballo stabile, togliendo così una parte del fascino che emana questa strepitosa partitura.
Concludiamo questo piccolo excursus nella danza in Giuseppe Verdi citando le altre opere nelle quali scene di carattere ballettistico sono inserite in maniera più strutturale all’interno della partitura. Nello specifico parliamo de La Traviata con la scena della festa del secondo atto e, soprattutto, di Aida che presenta tre momenti coreutici alla fine del primo atto (Danza delle sacerdotesse nel tempio di Vulcano) e nel secondo (Danza di piccoli schiavi mori nell’appartamento di Amneris) e i Ballabili introdotti nella successiva scena del trionfo. Queste sono danze che rientrano nel tessuto connettivo dell’opera tanto è vero che all’epoca, Aida, era definita opera-ballo come dimostra la locandina relativa alla prima rappresentazione nel teatro Trieste nel 1873 (Fig. 9). Per nessun motivo, tranne qualche isolata ma spiacevole eccezione, si può pensare di eliminare questi balletti.
Ci auguriamo che questi brevi note non abbiano annoiato il nostro lettore e che servano a dimostrare il legame di Giuseppe Verdi con la Danza, un rapporto molto stretto che poteva spingere il compositore a produrre un balletto più organico e strutturato, sullo stile di quelli di Čajkovskij per intenderci che, forse, avrebbe oltremodo arricchito e stimolato produzioni importanti per questo tipo di spettacolo.
Tornando alla serata dell’Opera di Roma, possiamo senz’altro riferire che si è svolta in un clima decisamente ‘magico’ dovuto senza dubbio alla bellezza del programma eseguito che ha rafforzato lo stretto rapporto tra Verdi e la Danza ma anche alla visibile soddisfazione del pubblico tutto, che seppur numericamente limitato, ha dimostrato la ‘gioia’ del ritrovato gusto per lo spettacolo in presenza, una ‘gioia’ che ha contagiato palesemente tutti i membri dell’orchestra che con questa serata ha ritrovato il suo pubblico, indiscutibilmente uno degli elementi fondamentali per ogni tipo di esecuzione e di rappresentazione.
Diversi stati d’animo che si sono tradotti in consensi ed applausi, dell’orchestra verso il pubblico per la ritrovata partecipazione e del pubblico verso l’orchestra per una esecuzione molto vivace condotta da Michele Mariotti che ha saputo dare alla musica il necessario senso della Danza e i giusti impulsi frutto della sua provata esperienza nel campo dell’opera italiana e di quella verdiana in particolare alla quale ha fatto da perno anche la indiscutibile professionalità dell’intera Orchestra del Teatro dell’Opera.
Claudio LISTANTI Roma 2 maggio 2021