da Maria Cecilia VISENTIN
Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo scritto in occasione della II domenica di Pasqua dal Cardinale Gianfranco Ravasi, giratoci da Maria Cecilia Visentin, suora, storica dell’arte e docente impegnata nel sociale. Il testo del porporato – dedicato alla figura e al tema dell’incredultià di Tommaso- coniuga il messaggio religioso con quello artistico ed assume perciò particolare rilievo. Gianfranco Ravasi è arcivescovo, biblista, teologo ed ebraista. E’ presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie.
Tommaso: l’incredulo che diventò credente
Protagonista del Vangelo letto nella liturgia di questa II domenica di Pasqua è l’apostolo Tommaso, in ara-maico Torna, reso in greco con Didimo, cioè “gemello”, divenuto celebre proprio per l’episodio della sua incredulità nei confronti del Cristo risorto, narrato appunto dal Vangelo di Giovanni (20,19-31).
Talmente celebre da vedersi attribuire una serie di scritti apocrifi, tra i quali, oltre agli Atti di Tommaso (III sec.), anche un curioso Vangelo, scritto in lingua copta, scoperto nel 1945 in Egitto e contenente 114 frasi di Gesù, alcune presenti anche nei Vangeli canonici e altre probabilmente storiche e quindi da far risalire allo stesso Gesù. Uno dei testi più popolari del Medioevo, la Legenda aurea, farà morire Tommaso martire in India, ove ancor oggi una Chiesa cattolica locale ne conserva la memoria secondo un rito proprio.
Il filo del dubbio, stando almeno al Vangelo di Giovanni (gli altri Vangeli lo segnalano solo nelle liste dei dodici apostoli), si era altre volte attorcigliato attorno al cuore di questo discepolo. Così, in occasione della scelta di Gesù di tornare in Giudea per onorare la salma dell’amico Lazzaro, scelta pericolosa sapendo l’ostilità delle autorità gerosolimitane, Tommaso aveva reagito sarcasticamente: «Andiamo anche noi a morire con lui!» (11,16). Il dubbio affiora in lui anche in quella sera carica di tensione, quando Gesù sta parlando a lungo coi suoi discepoli, dopo aver con loro celebrato l’ultima cena.
Ascoltiamo il racconto dell’evangelista Giovanni. Gesù sta dicendo: «Nella casa del Padre mio vi sono molti posti… Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via». A questo punto Tommaso lo interrompe: «Signore, non sappiamo dove vai e, allora, come possiamo conoscere la vita?».
E Gesù gli replicherà con quella bellissima autodefinizione: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (14,2-6). Ma, come si diceva, l’apice è dopo la morte di Cristo, ancora nello spazio del Cenacolo, allorché, 8 giorni dopo la Pasqua, Tommaso è invitato dal Risorto a «non essere incredulo ma credente» e a porre il suo dito sulle mani e a mettere la mano nel costato ferito di Cristo. Caravaggio in una tela del 1600-1601, conservata in Germania, a Potsdam, presso Berlino, nella Sans-Souci Bildegalerie, raffigurerà con potenza quel dito che si insinua nello squarcio del costato di Gesù. E Tommaso, finalmente, esploderà in quella stupenda e lapidaria professione di fede che, da bambini, ci si insegnava di ripetere quando il sacerdote alzava l’ostia dopo la consacrazione: «Mio Signore e mio Dio!».
In appendice vorremmo aggiungere una curiosità legata alla tradizione artistica.
Il tema dell’incredulità dell’apostolo Tommaso verrà riproposto anche nella raffigurazione dell’assunzione di Maria al cielo. Così, ad esempio, se si va a Venezia nelle Gallerie dell’Accademia e si ammira l’Assunzione della Vergine di Palma il Vecchio (1513), si vede che Maria, già assunta in cielo, riappare a Tommaso, che non era stato presente e che aveva dubitato, e gli dona la sua cintura, facendola scendere dall’alto su di lui, riunito con gli altri apostoli.
da Maria Cecilia VISENTIN 18 aprile 2021