di Giulio de MARTINO
Un «oceano senza sponde» (Ocean without a Shore).
Con questa immagine dell’infinito in cui nuotano gli esseri umani, Bill Viola (New York, 1951) accolse e affascinò la mente dei visitatori alla 52° Biennale di Venezia (2007). La temporalità estetica di Bill Viola, dilatata fino ad incontrare la nostra mente e il nostro spazio, è in questi giorni sperimentabile nella mostra che si visita a Palazzo Bonaparte a Roma. Si intitola: Icons of Light. Il progetto espositivo – curato dalla moglie dell’artista Kira Perov – prevede la visione, nella forma della video-arte, di 10 lavori tratti da alcuni dei principali cicli figurativi di Bill Viola. Sono opere che esplorano ed infrangono la dicotomia vita/morte e che attraversano nei due sensi il diaframma culturale tra oriente e occidente.
Nel panorama accidentato e multiverso dell’arte contemporanea, Bill Viola si è conquistato una collocazione di rilievo. Con opere di complessa stratificazione linguistica – citazionismo post-modernista dell’arte rinascimentale, performance, ripresa e post-produzione video, installazione – ha miscelato il desiderio di appagamento estetico dell’odierno pubblico dell’arte con segnali virtuali che attraversano il mosaico del «sistema globalizzato» della comunicazione. Lo fa grazie a quello spirito di ricerca e di innovazione – ma anche di indipendenza e di autenticità – tipico degli artisti americani.
Se l’arte moderna è sorta dalla separazione delle tecniche delle Muse dalla devozione e dalla mitologia religiosa, l’arte contemporanea riconduce l’arte alla sua dimensione sacrale. Si addentra nel vuoto che si è annidato nello spazio interiore dello spettatore/visitatore. Viola invita a stabilire nella fruizione – con sforzo e ascesi – una profonda connessione visiva e spirituale con l’opera d’arte. Si produce così una dimensione estetica che ricorda la meditazione attraverso cui si svolgono le pratiche filosofiche orientali.
La critica, per definire la specifica lingua artistica di Viola, si è orientata a seguire due coordinate: la «video-arte» e l’«arte come tradizione». Viola ha studiato sia l’arte rinascimentale italiana, sia le tecniche di meditazione orientali. Dal 1974 al 1976 ha lavorato a Firenze – come direttore tecnico presso la casa di produzione “Video art/tapes/22” – ed ha soggiornato in Giappone (1980-1981) nell’ambito della “Japan/US creative arts fellowship” approfondendo le tecnologie del video, le filosofie orientali e studiando con Daien Tanaka, pittore e monaco zen.
Due video della mostra romana: The Reflecting Pool e The Greeting rappresentano bene la doppia referenza dell’arte di Bill Viola. Entrambi fanno riferimento a celebri opere provenienti dalla «storia delle arti visive». Si tratta dell’affresco funerario de “La tomba del tuffatore” (Paestum, 480-470 a.C.) (Fig. 5) e della “Visitazione” (Carmignano, 1528) di Jacopo da Pontormo (1494 –1557) (Fig. 6). I video riproducono con un lentissimo tableau vivant la scena del dipinto originario.
Sono proiettati nel buio assoluto delle ampie stanze di Palazzo Bonaparte ed estendono le poche decine di secondi della performance in un filmato espanso fino alla durata di 7/10 minuti.
La video-arte, come specifico linguaggio visivo, consente a Bill Viola di infrangere l’unità mimetica del tempo dell’azione e del tempo della visione proprie della pittura e della fotografia e di cancellare la sincronicità dell’immagine televisiva. Il tempo della fruizione si espande nella misura in cui il video consente l’interpolazione di infiniti fotogrammi tra il principio e la fine dell’azione. Il tempo di fruizione risulta disarticolato rispetto al tempo diegetico. In tal modo il visitatore viene spinto ad una prolungata estesi all’interno della propria interiorità decentrata.
Punto di partenza dell’azione è un dipinto che proviene dalla tradizione dell’arte occidentale e che funge da archetipo nascosto. Ad esempio, il tema delle «Tre età dell’uomo» – raffigurato in molti dipinti rinascimentali – diventa in Study for the Path (2002) un archetipo esistenziale. Il prolungato tempo fruitivo assorbe il tempo di vita messo a disposizione dal visitatore. Vede esseri umani che passano l’uno accanto all’altro, ognuno trasportato dal suo distinto tempo di vita, ma vanno tutti verso il medesimo destino. L’azione dei perfomer, la ripresa attraverso la telecamera e la postproduzione, dilatano il tempo originario e ne proiettano il significato simbolico in una dimensione atemporale e asincronica.
Il buio in cui si è immersi, la lentezza dei video – riproduzioni o predelle delle azioni cristallizzate nel dipinto citato, ma assente – trasformano la fruizione in una meditazione. L’abbandono di pennelli, colori, tele, spazi, la loro sostituzione con l’immagine riprodotta e dilatata elettronicamente, consente lo smarcamento rispetto alle tecniche visuali di riproduzione di massa (foto, cinema, tv). Il visitatore cerca di cogliere il significato dell’azione che si sviluppa solennemente e impercettibilmente sotto i suoi occhi, ma resta ingabbiato in un intervallo che diventa l’attesa sempre rinviata di un compimento.
Oggetto di molte raffigurazioni di Bill Viola è il rapporto fra l’uomo e l’acqua.
L’acqua rappresenta l’elemento fluido in cui si dipana l’esistenza umana. In essa il protagonista della performance si trova tuffato, adagiato e sospeso, affidato ad un movimento discensionale e ascensionale che lo sovrasta. La mistica discensionale di tipo orientale integra la dinamica metafisica di tipo ascensionale proposta dal cristianesimo. Il sogno – nella serie dei “Water Portraits” intitolata: Dreamers – rappresenta l’abbandono dell’uomo al movimento inesorabile della vita.
Nelle icone video il tempo dell’esistenza – con le sue frettolosità, le sue aspettative e i suoi progetti – viene disattivato e il rapporto fra presente e futuro risulta capovolto. Il visitatore è spinto nella solitudine fruitiva dal buio e dal silenzio della sala. Ogni forma di sincronizzazione si dissolve e il tempo della performance viene espanso nella dilatazione dell’immagine. Si dimenticano l’immagine ambientata della pittura classica e i progetti visivi di tipo minimal o analitico tesi alla spazializzazione dell’opera perché la fruizione si capovolge nella iconizzazione delle figure. Tra dinamismo e immobilità si insinua un terzo stadio: l’estasi.
La serie video dei Martyrs (Earth, Air, Fire, Water), (2015) – proiettati su 4 monitors, a colori, con un loop di 7 minuti – costituisce una istallazione originariamente esposta da Bill Viola nella Cattedrale di St. Paul e poi donata alla “Tate Gallery” di Londra. Il martire cristiano, esposto alla violenza dei quattro elementi della natura, assume un contegno di rassegnazione, di adattamento e di accettazione della pena. Essa è vissuta da lui come un percorso di purificazione e di transizione verso la beatitudine. Una estetica positiva si fonde così con una filosofia negativa dell’esistenza umana.
Giulio de MARTINO Roma 13 Marzo 2022
BILL VIOLA. Icons of light
Spazio Generali Valore Cultura. Palazzo Bonaparte, Piazza Venezia 5, Roma fino al 26 giugno 2022
a cura di Kira Perov, prodotta e organizzata da Arthemisia, collaborazione del “Bill Viola Studio”.