di Carla GUIDI
Inaugurazione 8 giugno 2023 ore 18 – nella storica Galleria Lavatoio Contumaciale di Bianca e Filiberto Menna – Piazza Perin del Vaga al n.4
Durata della mostra dall’8 al 22 giugno 2023. Apertura dal lunedì al venerdì dalle ore 17,00 alle ore 20,00. Per informazioni Tel – 338 – 4681019 –mcmfra76@gmail.com
La storia della formazione dell’artista Franca Buscaglia – nata a Genova dove ha frequentato con successo il liceo artistico – prosegue a Firenze dove si diploma all’Accademia di Belle Arti con il maestro Silvio Loffredo (discepolo di Oskar Kokoschka). Proprio in questi anni, dal 1974 al 1978, forma con alcuni artisti genovesi un gruppo di ricerca e di lavoro artistico con una progettualità di sintesi possibile tra linguaggio informale e tensione figurativa. Seguirà una lunga carriera artistica personale che la porterà infine a Roma, dove oggi vive e lavora.
Significativa qui l’amicizia e la frequentazione con gli artisti Antonella Cappuccio, Giorgio Bartoli e Gianluca Berardi con i quali partecipa, per esempio, alla mostra Luci ed Ombre – a cura di Cesare Terracina – https://www.exibart.com/evento-arte/luci-ed-ombre/ dove si evidenzia proprio questo valore simbolico di confine e di dialogo tra tecniche e scelte compositive diverse, accomunate dall’idea della spiritualità della luce. Ma, a proposito di una datata polemica tra figurazione ed astrattismo, soprattutto riguardo il rapporto tra procedere creativo e le emozioni che l’espressione iconica scatenerebbe nel pubblico, ben più di un’espressione aniconica, citerei il prof Giorgio Di Genova quando scrive, a pag 206 del suo volume – La dialettica di erratiche esplorazioni sull’arte – (vol 3 Gangemi ed 2021) :
“L’opera artistica affonda sempre le sue radici nel profondo dell’io. E l’estrinsecazione della pulsione in uno specifico espressivo ha la sua ontogenesi nell’ambito di un sentimento, un’idea, una suggestione, uno stato emotivo di amore o di dolore e via dicendo. Tuttavia, perché essa assuma statuto di arte, tale pulsione deve trasformarsi in linguaggio più o meno polisenso, poiché il connotato fondamentale dell’arte è appunto la polisemia che rende esteticamente “comunicativa” un’opera anche a distanza di secoli”.
Tutto questo per mettere in risalto che la ricerca pittorica di Franca Buscaglia, partendo da una forma di figurazione drammatica, allusiva ed in parte specchio di quella tensione sociale, dagli “Anni di piombo”, passando attraverso i Movimenti della seconda ondata del Femminismo e gli anni del Berlusconismo (per esempio le opere degli anni 2002/2005 che si possono visualizzare nel Catalogo Strade Maestre) approda poi ad una pittura aniconica, ma ancora fortemente espressiva, sia nella scelta dei colori assai vivaci che nell’uso di una materia pittorica sempre più spessa e granulosa, addirittura tattile. Opere e documentazioni sul sito – https://francabuscaglia.com/ – dove troviamo indicativamente la frase emblematica di un maestro del ‘900 –
-“La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto” (Pablo Picasso)
Questa cecità, ovvero questa lungimiranza di Franca Buscaglia, a mio parere, le permette di concepire – nell’attuale repertorio di opere aniconiche come quelle esposte in questa mostra dal titolo Tempo lacerato nella storica Galleria Lavatoio Contumaciale – anche una serie di opere scultoree che rappresentano teste di donne, ibridate tra la maschera e il ritratto – quindi mancanti di porzioni cerebrali – con una benda sugli occhi o dotate di uno sguardo sgomento, perso nel vuoto.
Sono donne “senza titolo” appartenenti al significante plurale femminile, quello che resta delle battaglie degli anni ’70, senza più voce per gridare la differenza e con i segni della violazione di corpo e mente.
L’era della cosiddetta Metamorfosi digitale a seguire negli anni ’70, è stata definita Postmoderno, poi nell’attualità, questa definizione si è trasformata nel termine Ipermoderno; un superlativo più adeguato alle società economicamente e tecnologicamente sviluppate nelle quali tutto sembra essere divenuto esasperato, dalla globalizzazione dei mercati all’esperita istantaneità dei fenomeni e dell’informazione, con vulnerabilità sottomesse alla violenza dei profitti di monopoli sovranazionali. Questo nello smarrimento generale e nella rabbia che esplode in varie forme, con il conseguente guastarsi dei rapporti affettivi mai così socialmente conflittuali, infine nella regressione a forme di qualsivoglia compensazione per mantenere in una adeguata omeostasi psichica.
Zygmunt Bauman ha segnalato efficacemente la perdita di punti saldi della società nel suo insieme, poi con la diffusione delle piattaforme da Instagram a Pinterest, ai tantissimi social network specialistici, per non parlare di Tumblr e Facebook, è emerso un significativo allarme, poiché si sono scatenati, esponenzialmente, a partire dal 2012, alti tassi di depressione e numero di suicidi soprattutto tra adolescenti. Concludendo, come non citare Ulrich Beck (considerato uno dei più influenti sociologi contemporanei) con il quale dobbiamo constatare che viviamo ormai in una società del rischio, priva di sicurezze non solo nel rapporto tra scienza ed ambiente. Siamo infatti immersi in una natura così disastrata da rendere emblematica la definizione “Antropocene”, termine indicante l’epoca geologica attuale, coniato negli anni ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer, adottata nel 2000 dal Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen.
Allora per significare le opere aniconiche di Franca Buscaglia, soprattutto l’opera che dà il titolo alla mostra “Il tempo lacerato” del 2022, possiamo constatare siano l’espressione visiva di questo nostro dramma. Uno strato di juta, una delle fibre vegetali più semplici ed economiche, copre l’intera superficie del quadro ed anche la cornice, rendendo difficoltosa la visione di quello che sta dietro. Un paesaggio molto colorato si intravede appena attraverso le trasparenze della fibra e gli squarci della tessitura/ragnatela, cucita o ricucita con un ricamo che intrappola tra le sue fibre anche residui legnosi.
Di nuovo una metafora dell’altra vista ma con un chiaro riferimento alla filosofia di Schopenhauer e con valenze riferite all’attualità. Il Velo di Maya è diventato metafora di pianta infestante che copre il mondo “vero”, quello del quale non vogliamo prenderci la responsabilità, che non vogliamo ancora vedere, il mondo della biodiversità impoverita e dello squilibrio generale causato dall’opera scellerata dell’uomo.
Così il “tempo lacerato” del titolo può essere interpretato come il desiderio di fermarlo, lacerare la ragnatela e riflettere sulle possibili strade per sconfiggere il dolore e l’ignoranza dell’uomo, ovvero secondo Schopenhauer, l’arte, la pietà e l’ascesi.
In Inaltri quadri qui esposti, ma precedenti, come Abissi del 2015 o Vibrazioni del 2018, oppure Grande fuoco e l’oceano del 2022, la pittura prevale, sempre con grande corpo materico di sabbia, altri materiali granulosi e colore, esplodendo come emissioni laviche infuocate dalle profondità della terra e ricoprendo, o meglio trasbordando sull’intera cornice.
Però la morbida copertura di juta già era apparsa, ma con caratteristiche diverse in Acqua nel deserto e in Vento di terra entrambe del 2019.
In La casa comune brucia oppure L’ombelico del mondo entrambi del 2022 – dove la stoffa diventa tendina oppure ricciolo o si sfilaccia intrappolando frammenti di roccia, pietruzze colorate – la rottura del Velo è avvenuta e si contempla cosa è rimasto, quasi una contemplazione della bellezza dell’esplosione, nell’attesa di ciò che ci riserva il futuro.
Significativo il dipinto dove compare al centro del quadro e sulla stoffa grezza di juta – intersecata da fili di cucitura quasi una prospettiva lineare che delinea il paesaggio – addirittura un fiore bianco di cotone; opera nel suo complesso che Maria Carmela Notarmuzi (Funzionaria Area Tecnica – Naturalista presso Regione Lazio) ha così descritto –
Il quadro “Essenza di vita” ritrae un giglio di mare (Pancratium maritimum L) specie assai minacciata per lo sfruttamento delle coste a fini balneari, nel suo ambiente dunale mediterraneo. Il giglio di mare, adattato a vivere su sabbie molto aride e salmastre, assurge per noi a metafora di resistenza –
Anche l’opera più recente Chiedi alla luna del 2023, lascia intravvedere una possibile pacificazione, nella resilienza del rapporto dell’umanità con questa Terra, riarsa e violentata dall’opera sconsiderata dei suoi abitanti, attraverso l’intercessione del nostro satellite che regola le maree ed in fondo, anche i moti dell’animo, come ci ha insegnato Giacomo Leopardi. Infatti la luce del quadro si fa ora vellutata, poetica, passando attraverso fibre miste di iuta e lana bianca.
Carla GUIDI Roma 4 Giugno 2023 www.carlaguidi-oikoslogos.it