di Alessandra IMBELLONE
Alberto Biasi è vivo e lotta insieme a noi
Una bella mostra è offerta al pubblico romano presso l’area espositiva del Museo dell’Ara Pacis fino al 20 febbraio 2022: Alberto Biasi. Tuffo nell’arcobaleno.
Provenienti dall’archivio dell’artista, le 60 opere esposte raccontano, dagli esordi alle sperimentazioni più recenti, il percorso della ricerca di Biasi, uno dei più noti e quotati esponenti dell’arte cinetica o programmata. L’accesso è gratuito con la MIC card, che al costo di 5 euro annui dà diritto ai residenti nella Capitale all’ingresso nei musei comunali.
Il titolo, in apparenza ruffiano, prende spunto dall’installazione ambientale Light Prisms (Tuffo nell’arcobaleno) realizzata da Biasi fra 1962 e 1969, nella quale prismi ottici movimentati da motori elettrici proiettano fasci di luce colorata, ottenuti dalla scomposizione della luce bianca, sul pavimento di una stanza buia (fig. 1).
La fusione tra lo spazio dell’opera d’arte e quello dello spettatore è totale poiché la spazialità dell’ambiente è creata dalla danza dei fasci luminosi nei sette colori fondamentali. Gli Ambienti però, questo il nome dato dall’artista alle sue installazioni ambientali, sono solo una delle tipologie di opere esposte, che insieme a Trame, Torsioni, Ottico-cinetici, Politipi e Assemblaggi scandiscono le sei sezioni dell’antologica romana.
Si inizia cronologicamente con le Trame, le prime sperimentazioni della ricerca di Biasi sui fenomeni della percezione visiva. L’artista le realizza dal 1959, nello stesso anno in cui a Padova dette vita al Gruppo Enne-A dalle cui ceneri sarebbe nato l’anno successivo, con Manfredo Massironi, Ennio Chiggio, Toni Costa ed Edoardo Landi, lo storico Gruppo N. Fino al suo scioglimento nel 1965 il gruppo padovano emerse come assoluto protagonista di quell’estetica sperimentale che negli anni Sessanta offriva nuovi campi di indagine alla ricerca visiva.
“La dicitura enne distingue un gruppo di ‘disegnatori sperimentali’ uniti dall’esigenza di ricercare collettivamente”,
affermava un testo programmatico del 1961.
Opponendosi in un’ottica avanguardista alla figura dell’artista-demiurgo, i membri del Gruppo N si autodefinivano ‘operatori visivi’ e lavoravano spesso in collettivo, eseguendo opere a più mani e rifiutando il principio di autorialità. Le due mostre d’esordio del gruppo – Mostra chiusa. Nessuno è invitato a intervenire (1960) seguita nel 1961 dalla Mostra del pane – denunciavano una radicale volontà di provocazione intesa a mettere in discussione tutti i valori tradizionali del mondo dell’arte e della sua fruizione, a partire dai concetti stessi di opera d’arte e di artista. “L’informale ed ogni espressionismo sono inutili soggettivismi”, ribadiva lo stesso testo del 1961.
Nell’arte cinetica del Gruppo N lo spettatore non è più considerato un semplice contemplante, ma attore del fare artistico al pari dei progettisti dell’opera. Questo è evidente in molti lavori di Biasi, dove spesso è l’occhio dello spettatore e lo spostamento continuo del suo punto di vista a creare l’opera d’arte. Senza mai rinunciare, come sottolinea Giovanni Granzotto, curatore dell’antologica romana insieme a Dimitri Ozerkov, al legame con la natura, alla cura della composizione e alla componente estetico formale dell’opera.
Le Trame di Biasi (fig. 2) sono oggetti reticolari e permeabili formati dalla sovrapposizione di materiali della stessa tipologia, quali garze di cotone, lamiere o reti metalliche e carte forate, impilate una sull’altra e ruotate in modo di creare un gioco percettivo variabile e progressivo. Biasi racconta che l’idea gli venne giocando con le carte forate che servivano da graticci per l’allevamento dei bachi da seta:
https://www.youtube.com/watch?v=CWpn374Z3q0.
Questa breve intervista, dalla quale emerge lo stupore sincero dinanzi alla bellezza della natura e al fluire della vita in tutte le sue forme, è uno dei rari filmati che si trovano in rete di Biasi, grande e semplice tanto quanto schivo. Non produrre una nuova intervista e non trasmettere al pubblico uno o più video che mostrino l’artista nel suo operare e nella sua umanità è l’unica seria pecca che si possa attribuire alla mostra romana.
La sezione successiva alle Trame è quella delle Torsioni (fig. 3), in assoluto la tipologia di opere per la quale Biasi è universalmente conosciuto, e che sono talvolta di una bellezza ipnotica.
Le Torsioni sviluppano figure geometriche classiche, quali rombi, triangoli e quadrati, e sono realizzate con strisce in PVC (cloruro di polivinile, una delle materie plastiche più usate al mondo) bifacciali dai colori quasi sempre contrastanti, combinate in modo da creare effetti percettivi che variano a seconda dello spostamento del punto di vista dello spettatore.
Un’evoluzione delle Torsioni è costituita dai Politipi (figg. 4-6), che dal 1965 approfondiscono con forme maggiormente articolate ed evocatrici della tridimensionalità la ricerca ottico-dinamica dell’artista.
Si tratta infatti, come dichiara Biasi in un’intervista del 2016, non propriamente di arte cinetica, che è mossa da motori, bensì di arte dinamica o come diceva Argan gestaltica, riguardante i fenomeni percettivi.
“L’apparato che entra in gioco non è solo l’occhio ma il cervello. Qui il cervello crea un movimento dove in realtà un movimento non c’è. [Questa arte] eccita l’immaginazione, ma non è arte cinetica”.
Con i rilievi Ottico-cinetici (figg. 7-8) Biasi affronta il tema dell’ambiguità percettiva, creando opere di forte suggestione. A un fondo dipinto o serigrafato con un determinato motivo ottico è sovrapposto, a distanza di pochi centimetri, un secondo piano costituito di stringhe o lamelle di PVC dalle cromie contrastanti in modo da attivare particolari effetti visivi. La proliferazione d’immagini e configurazioni lineari e luminose è prodotta nell’occhio dello spettatore dalla sovrapposizione di pattern dovuta all’interferenza visiva dei due piani.
A spiegare bene questo fenomeno ottico è lo stesso Biasi in un’intervista del 2020 sul ciclo di opere Gocce intrapreso dal 1964: https://artslife.com/2021/01/29/alberto-biasi-gocce-intervista-dep-art-gallery/
Le opere più recenti sono gli Assemblaggi nati intorno al 2000, nei quali Biasi riprende la tecnica della pittura acrilica e recupera la figurazione (si parla di memoria figurale). Si tratta di lavori in cui più tele sono accostate e unite, “assemblate” tra loro e come in Papillon trovano un equilibrio nel proprio “punto di rottura” (fig. 9).
Il titolo delle opere, spesso umoristico, rimanda a una dimensione ludica che la critica riconnette fino al Dada e che trova ascendenti più prossimi in Alexander Calder (i suoi mobiles si pongono all’origine dell’arte cinetica) e Bruno Munari, gigante del novecento del quale l’artista padovano è senz’altro debitore così come lo è per affinità, tanto da omaggiarlo, all’altrettanto gigante Fontana. Nelle opere più recenti (fig. 10) Biasi mostra con pudore il suo ego di uomo e di artista e da artista ci sorride sù.
Alessandra IMBELLONE, Roma, 11 dicembre 2021