P d L
Abbiamo incontrato Philippe Casanova (Parigi, 1965) a Palazzo Barberini, a margine della presentazione di un libro su Gian Lorenzo Bernini; nè poteva essere altrimenti, considerate le predilezioni in campo pittorico che questo artista francese ma ormai italianizzato, da sempre mostra di avere, come testimonia la importante esposizione, ultima in ordine di tempo, di suoi lavori che si apre alla Galerie Mendes, a Parigi, il prossimo 11 dicembre. In tutte le sue opere Philippe Casanova ha mostrato il suo estro di autentico poeta del barocco, tra le principali occorre citare almeno le 16 vedute dipinte per gli Oratoriani di Roma, il quadro del Salone della Spinetta per la principessa Elvina Pallavicini, i lavori, oltre trenta, ambientati nella Basilica di San Pietro e dipinti in occasione dei 500 anni della costruzione, nonchè il ciclo di Santa Maria in Vallicella, in occasione del V^ centenario della scomparsa di San Filippo Neri; numerose le sue opere anche all’estero, come quelle per il Santuario di Notre Dame du Laus all’estero . Su questi lavori e sulle sue ricerche lo abbiamo incontrato in una conversazione non priva di sorprendenti affermazioni.
–Tra qualche giorno, precisamente l’11 dicembre, apre a Parigi una esposizione di tuoi dipinti dal titolo Remuer ciel et terre. Universo Barocco. Inizierei questa nostra conversazione proprio da qui: perché questo titolo, vuole dire che il tuo universo è il barocco? O ci sono altre motivazioni?
R: E’ semplice, il motivo risale ad una mostra di qualche anno fa dedicata a Borromini che si intitolava per l’appunto l’Universo barocco ed ecco che ho ripreso la definizione; a me Borromini sembra essere stato il genio essenziale del Barocco romano e quindi del barocco tout court, considerato che Roma a quel tempo era il centro internazionale delle arti, per cui quel titolo mi è rimasto inciso nella pelle, tanto che mi sono detto ‘anch’io nel mio piccolo vorrei essere un esploratore dentro l’Universo del barocco’.
–Eppure oggi il nostro incontro sta avvenendo a margine della presentazione di un libro dedicato invece a Bernini che, come si sa, con Borromini non andava affatto d’accordo.
R: Diciamo che il nome di Bernini mi richiama alla mente soprattutto la vicenda del suo viaggio in Francia che non ebbe molto successo, come è risaputo ebbe una recezione freddina da parte dei Francesi, cosa che, a mio parere, fu una grande occasione persa; oggi Parigi avrebbe potuto messere una città diversa, avere un volto differente se le autorità fossero state aperte alle idee che apparvero stravaganti ma che erano magnifiche di Gian Lorenzo Bernini.
–E se al posto di Bernini fosse stato chiamato Borromini alla corte del Re Sole? Potremmo magari supporre, in via puramente ipotetica, che avrebbe avuto un’accoglienza migliore e le cose sarebbero andate diversamente?
R: No, al contrario! Sarebbe andata sicuramente ancora peggio perché Borromini era del tutto fuori linea rispetto ai canoni ancora conformisti, diciamo così, del gusto francese, ne è testimonianza la triste colonna di Claude Perrault che ha sostituito le proposte di Bernini; quindi non è detto affatto che sarebbe andata meglio, anzi …
–Questo tuo grande amore per il Barocco come genere artistico che mostri un tutte le tue opere come nasce in realtà? Come hai avuto questa che possiamo definire illuminazione?
R: Devo riconoscere che fui letteralmente fulminato molti anni fa, in Austria, precisamente in alcune abbazie austriache; è lì che ho scoperto la meraviglia di quest’arte e ne ho scoperto la portata meravigliosa che nello stesso tempo in cui ti prende ed affascina, spinge letteralmente verso la fede in una dimensione assolutamente determinante; è stato insomma come se s’incrociassero da un lato la ricerca estetica che per me significa tendere alla rappresentazione della bellezza nel modo più ampio possibile, e dall’altro l’aspetto della trascendenza, cioè la ricerca e l’affermazione dei valori religiosi; come dice Bert Treffers una sorta di teatro della salvezza: una affermazione nella quale mi ritrovo in pieno. Non si nasce barocco, lo si diviene; è uno stato di spirito, una scelta di vita; la ricerca estetica non può prescindere, essere in qualche modo destabilizzata dagli accidenti della vita, le contradizioni dell’ essere non possono frenare l’umano anelito per l’ infinito.
–E quindi, da lì, dall’Austria l’arrivo a Roma, devo credere, a studiare dal vivo questa poetica, questa esperienza artistica? E’ così?
R: Non immediatamente, perché nel frattempo ci sono stati alcuni anni di studio in Francia, precisamente a Parigi, all’Accademia di Belle Arti, e anche parecchio tempo nel Louvre a copiare quadri seicenteschi ma certamente è vero che già avevo inalato questo ‘morbo’ dell’Italia, e per me l’Italia era Roma effettivamente, e qui ho preso gradualmente coscienza che la lingua con la quale Roma si rivolge al mondo è il barocco; e di conseguenza ho deciso di approfondire –pennello alla mano- il mio studio.
-Dunque, da un punto di vista pittorico, ci puoi dire chi ti ha affascinato di più tra gli esponenti principali dell’arte barocca? O meglio qual è l’artista che ha lavorato a Roma e che ti ha ispirato maggiormente?
R: Onestamente non sono stati tanto gli artisti operanti in quegli anni a Roma ad ‘illuminarmi’ maggiormente; certo, è del tutto evidente che ad esempio gli affreschi del Cortona della Chiesa Nuova sono una realizzazione magnifica che costituisce un esempio; però non sembri paradossale ma devo riconoscere che ho guardato maggiormente alla scuola veneziana, a Venezia.
–E’ una cosa po’ strano, perché il barocco a Venezia è collegato sostanzialmente al nome di Luca Giordano, perché nel corso del Seicento nella città lagunare operarono personalità certo di rilievo e probabilmente non valutate a dovere ma comunque difficilmente confrontabili con gli artisti che erano a Roma.
R: E’ così, ma il nome che ho mi costringe a tornare ogni tanto a Venezia; ed ogni volta che ci vado non posso fare a meno di entrare nella chiesa di San Pantalon ad ammirare per l’ennesima volta le decorazioni di Giovan Antonio Fumiani; si tratta veramente di un luogo molto importante per me, molto caro al mio cuore, una sorta di ponte lanciato tra Tintoretto e Andrea Pozzo. A Venezia poi mi trovo spesso a rivedere anche Tiepolo.
–Non lo avrei immaginato, anche perché tu vivi stabilmente a Roma ormai da tempo con la tua famiglia e sostanzialmente operi qui.
R: Certo, Roma, con Borromini, Bernini e tutti gli altri, è comunque il centro di ispirazione per me pur non trascurando altre realtà; spesso vado a dipingere a Parigi dove ho un certo numero di commissioni ma ci vado con lo sguardo ormai trasformato da oltre venti anni di vita ed attività italiana e romana.
-E questa mostra che inauguri a Parigi tra qualche giorno come è nata?
R: Philippe Esteves Mendes che espone le mie opere lo conosco da alcuni anni, è un giovane gallerista che straborda di idee, venne a trovarmi in Italia perché era interessato, dato che nella sua attività ha sempre avuto un occhio di riguardo per questo filone del barocco romano; quindi un artista francese d’oggi, appassionato del barocco romano non poteva lasciarlo indifferente ed ha trovato naturale che ci fosse spazio per lui –cioè per me- nella sua galleria.
–Con quali opere ti presenti in questa esposizione?
R: La maggior parte dei quadri sono lavori rimani, opere realizzate alla Chiesa Nuova, alla Chiesa del Gesù, oppure a Palazzo Farnese o a Villa Medici; altri lavori sono stati realizzati invece a Parigi; si tratta per lo più di interni –a mio parere i più affascinanti- che ho trovato a Parigi, nei quali ho avuto la possibilità di entrare, come ambasciate, musei, sede di rappresentanza o luoghi privati; infine lo stesso Palais de l’ Elysée.
–Il barocco, come sai, presenta una tipologia di lavori spesse volte incentrati su tematiche religiose dato che il tema della Roma Triumphans –affrontato da vari pontefici- si doveva svolgere soprattutto tramite opere d’arte e di architettura; però gli artisti e i committenti non rifuggivano certo anche da opere di carattere profano, anzi, con straordinari capolavori di carattere mitologico, allegorico, storico, e così via; ti chiedo: tu questi temi li affronti o li hai affrontati nei tuoi dipinti?
R: Certamente anche l’arte non religiosa rientra nel mio repertorio. Io cerco di fare come Bernini che passava con naturalezza e grazia dal repertorio sacro a quello profano, il che non significa che mescolasse i due piani, semplicemente che l’uno non escludeva l’altro.
–Una domanda che molto spesso mi sono fatto di fronte ai tuoi lavori è come è possibile che ormai alla fine del secondo decennio del XXI secolo, mentre vanno per la maggiore autori ed opere di carattere soprattutto concettuale, con lavori ed istallazioni di ardua definizione che però molto spesso raggiungono cifre astronomiche sul mercato, ci sia un artista contemporaneo che tralascia completamente questi generi ed invece si muova sul terreno del barocco. Non lo trovi anche tu un po’ strano?
R: Si sarà pure strano però voglio chiarire che non sono stato mai attratto dal contemporaneo e non è per lui che ho voluto essere pittore e nonostante lui ora cerco di andare in fondo alle mie convinzioni artistiche tramite ricerche e studi, vale a dire senza muovermi –come posso dire?- in fotocopia cioè nel senso di una riproduzione passiva nei confronti del passato; effettivamente trovo molto pertinente quello che scrissero di me tempo fa, cioè che i miei quadri esprimono la modernità del passato; questa definizione mi pare azzeccata dal momento che il mio passatismo –se vogliamo dire così- non significa affatto nostalgia, malinconia, ma al contrario slancio, ricerca in avanti, espressione di libertà creativa, mentre trovo che l’arte contemporanea risenta di eccesso di dogmatismo. D’ altra parte, la questione del bello è il vero tabù dell’ arte contemporanea.
–Ti sei mai confrontato con la scultura?
R: Si, ma è vero che l’ho fatto poco solo a livello di modelli, tipo bozzetti, ma la ragione è che mi manca il tempo per affrontare bene come si deve questa pratica.
–La esposizione che inauguri tra qualche giorno è un momento importante di riscontro verso il pubblico della tua attività, una tappa, un passaggio; la domanda è quale sarà la prossima tappa, cos’altro ti proponi e quali prospettive pensi si possano aprire dopo questa mostra parigina?
R: Posso solo dirti per adesso che la prospettiva resta quella di realizzare opere per le chiese come del resto ho già fatto per la Vallicella, nel corridoio borrominiano, oppure in Francia in un santuario mariano, però ora il vero grande sogno consiste nel fatto che vorrei fare un salto di qualità ed impegnarmi in un’opera monumentale, molto più grande ed ambiziosa di quanto non abbia realizzato finora, e che sarebbe un prolungamento del mio lavoro sugli interni barocchi; insomma, sogno di dipingere un interno barocco ma stavolta in vera grandezza, cioè lavorare ad un progetto di una volta dipinta.
–Parrebbe assai più che un sogno quello che stai descrivendo e che ti affascina così tanto, ma ti chiedo: ti senti davvero pronto per una sfida del genere?
R: Che ti devo dire? Non mi sento pronto ma sento di dover farlo.
–Un’ultima domanda: oggi progetti affreschi barocchi, fai esposizioni in cui appaiono dipinti a temi sacri e di interni di cultura barocca, e dunque dal punto di vista meramente commerciale, diciamo proprio del mercato, trovi soddisfacente quello che fai? Cioè per essere più espliciti, in termini brutalmente economici dipingere alla maniera barocca oggi è soddisfacente?
R: Personalmente non posso lamentarmi sotto questo aspetto; c’è solo una cosa che rimpiango, cioè la mancanza di tempo, è questo il mio cruccio principale, vado troppo a rilento e non riesco a soddisfare tutte le richieste; per il resto no, sono soddisfatto.
–E’ strano! Sai che un grande pittore barocco come Luca Giordano, al contrario, veniva chiamato Luca fa presto per la grande velocità nel produrre dipinti.
R: Che dirti? Lo so bene ma vorrà dire che a me mi chiameranno ‘Casanova va lento’ … Prima di chiudere la conversazione però mi sento di dover ringraziare l’ Alma Città di Roma dove ho molti amici che mi seguono e mi apprezzano e soprattutto un pensiero particolare lo rivolgo a san Filippo Neri, il più barocco dei santi e dei religiosi perché univa una sacralità di stampo molto popolare ad una sorta di gioiosa teatralità; sono stato e sarò sempre molto attratto da questa personalità molto amata dai romani e non solo; poi certo sono grato a Bernini a Borromini e così via; come non esserlo?
P d L Roma 7 dicembre 2018