di Nica FIORI
L’impressionismo, più che un movimento artistico, rappresenta un cambiamento epocale di visione del mondo, la cui rivoluzione consiste nel sentirsi a proprio agio nel presente, senza guardare al passato, se non con una certa ironia, e rifiutando l’accademismo per ritrarre la vita quotidiana. In effetti, come affermava il critico Edmond Duranty nel 1876:
“La prima idea è stata di togliere la barriera che separa l’atelier dalla vita comune… bisognava far uscire il pittore dal suo guscio, dal suo chiostro… e ricondurlo fra gli uomini nel mondo”.
A distanza di 150 anni dalla nascita dell’Impressionismo, Roma celebra la ricorrenza con la mostra “Impressionisti. L’alba della modernità”, che si tiene nel Museo storico della Fanteria (in piazza Santa Croce in Gerusalemme) dal 30 marzo al 28 luglio 2024. L’esposizione, prodotta da Navigare srl, è stata organizzata con il supporto di un comitato scientifico composto da Gilles Chazal (ex Direttore Musée du Petit Palais, Membre École du Louvre), Vincenzo Sanfo (Curatore di mostre internazionali, esperto di Impressionismo) e Maithé Vallès-Bled (ex Direttrice Musée de Chartres e Musée Paul Valéry) e diretto da Vittorio Sgarbi.
Roma ha ospitato più volte mostre dedicate all’Impressionismo, ma questa dedicata all’alba della modernità, senza indicare nel titolo i nomi dei protagonisti di quella stagione artistica, ha un taglio diverso rispetto alle esposizioni precedenti. Le opere che vengono esposte, oltre 160 di ben 66 artisti, sono quasi tutte inedite per noi, in quanto prestate per lo più da collezionisti privati.
Possiamo ammirare dipinti a olio, acquerelli, incisioni, ceramiche, sculture, studi e disegni che con il loro piccolo formato sembrano fatti apposta per essere guardati nell’intimità di una dimora, e che permettono di ripercorrere la storia dell’Impressionismo nella sua totalità, come ha evidenziato il curatore Vincenzo Sanfo, cogliendo i fermenti della rivoluzione di grandi artisti, quali Claude Monet, Pierre Auguste Renoir, Paul Cézanne, Alfred Sisley, Berthe Morisot, Édouard Manet, Edgar Degas, Camille Pissarro, che aderirono al movimento scandito da otto mostre parigine, la prima delle quali s’inaugurò nel 1874, mentre l’ultima risale al 1886.
Oltre ad opere poco conosciute degli artisti più noti, si presentano allo sguardo del visitatore anche quelle di artisti comprimari, come Félix Bracquemond, Jean-Louis Forain, Marcellin Desboutin, Ludovic Napoléon Lepic, Firmin-Girard, Paul Lecomte, il cui dipinto a olio Bateau sur la rivière è stato scelto come immagine simbolo della mostra. Oltre alle opere d’arte, sono esposti libri, lettere, fotografie e perfino filmati d’epoca, che ritraggono celebri maestri al lavoro o a passeggio.
La mostra pone l’accento, in particolare, su un aspetto poco conosciuto della ricerca impressionista, che è quello del disegno, dell’incisione e delle tecniche di stampa, all’epoca influenzati dalla recente invenzione della fotografia.
L’altra importante novità dell’esposizione romana è che il museo ospitante, essendo un museo storico militare, è anch’esso, se non inedito, decisamente insolito per mostre d’arte e pertanto si potrebbe vedere in ciò la negazione della guerra a favore della pace e della vita, come ha auspicato Vittorio Sgarbi nel corso della presentazione:
“L’Impressionismo è una condizione dello spirito, e la scelta di portare l’arte impressionista in un museo militare significa la conquista di spazi militari. È la fine della guerra. Gli Impressionisti sono la negazione della guerra. L’idea di conquistare questi spazi con la bellezza di donne, di fiori, di colazioni, di momenti di festa, è come dire: l’umanità non può andare avanti con la guerra. I popoli hanno bisogno di pace e questa è una mostra di pace. L’idea di conquistare uno spazio di guerra come questo museo, con una mostra d’arte, è un segnale di pace”.
Lo stesso Sgarbi ha inquadrato storicamente e culturalmente la pittura impressionista, forse l’unica veramente “universale”, nel senso che tutti riescono a comprenderla e amarla, giungendo alla conclusione che:
“L’Impressionismo è la vita, la rinascita, è la capacità di rappresentare stati d’animo, un valore interiore. Lo stato d’animo di chi guarda il mondo senza la responsabilità dell’artista di far vedere qualcosa che sembri il mondo. Non è un movimento, è un passaggio storico ad un’epoca, la nostra, rappresentata dalla Francia, da Parigi, dove risiedeva lo spirito del mondo, un mondo nuovo”.
Il movimento non poteva che nascere a Parigi, dove nell’Ottocento gli artisti arrivavano da tutto il mondo, perché la capitale francese era allora la culla della vita culturale internazionale. Era lì che un giovane artista poteva ricevere una formazione, incontrare altri pittori e soprattutto ottenere il riconoscimento dei collezionisti e dei mercanti d’arte, partecipando alle grandi mostre frequentate da un pubblico interessato.
In quell’epoca di boom industriale, la città era sinonimo di modernità. Con il piano urbanistico del Barone Haussmann (prefetto del dipartimento della Senna sotto Napoleone III), Parigi ampliò le sue arterie stradali ed eleganti palazzi vennero eretti un po’ ovunque. Pensiamo poi alla nascita del cinema o alla Tour Eiffel, della quale è esposto un modello, che racconta la potenza di un mondo nuovo.
Il percorso dell’esposizione, che si sviluppa in ambienti piuttosto angusti, ma con un allestimento gradevole, è suddiviso in tre sezioni.
Nella sezione intitolata “Da Ingres a L’École de Barbizon, i fermenti dell’Impressionismo”, c’incantiamo davanti ai primi tentativi di Jean-Baptiste Camille Corot di creare un collegamento tra la fotografia e l’incisione, come pure davanti a due magnifici quadri di Gustave Courbet che raccontano il plein air e a un dipinto di Eugène Delacroix, Étude pour La mort de Sardanapale, caratterizzato dal rifiuto per la definizione dei contorni e per l’esaltazione delle ombre e delle luci. Seguono, tra le altre opere esposte, due ritratti di magistrati di Honoré Daumier e dei paesaggi di Charles-François Daubigny, Jean-Baptiste Millet e di Eugène Boudin.
La storia ci racconta che nella foresta di Barbizon, vicino al castello di Fontainebleau, le ricerche sugli effetti atmosferici effettuate da Constant Troyon e Paul Guigou aprirono la strada al paesaggio impressionista, ed è sempre a Barbizon che Monet e Fréderic Bazille sperimentarono quella pennellata frammentaria, che è alla base della resa della luce nei quadri impressionisti. Ben presto essi si unirono ad altri artisti, per esporre insieme e cercare di conquistare a poco a poco il pubblico. Ma il successo fu tutt’altro che immediato, come ha ricordato Vincenzo Sanfo:
“Quando nell’aprile del 1874 alcuni artisti, riuniti sotto l’egida della Società Anonima degli Artisti Pittori Scultori e Incisori, si riunirono per una mostra collettiva presso lo studio del fotografo Nadar in Boulevard des Capucines a Parigi, non pensavano certo di essere in procinto di creare una rivoluzione, dando vita ad un fenomeno artistico senza precedenti. In quella mostra, le opere di Pissarro, Degas, Cézanne, Sisley, Monet, Morisot, Renoir insieme a quelle di altri compagni di avventura, scioccarono il pubblico, creando sgomento e in parte orrore. Uno dei quadri esposti, ‘Impression, soleil levant’ di Monet, venne citato da Louis Leroy, critico dell’epoca che, parafrasandone il titolo, creò il termine di pittura ‘impressionista’, che restò, di lì in poi, come indicativo del loro stile e, di fatto, divenne sinonimo di un modo di dipingere”.
Nei primi anni Settanta dell’Ottocento gli impressionisti schiarirono la loro tavolozza e si concentrarono soprattutto sulla resa dei riflessi della luce all’aperto. Eliminata la prospettiva, per indicare la profondità ricorsero alla forza della pennellata e all’impiego di colori puri, come negli spettacolari paesaggi innevati di Sisley e in quelli marini di Monet, dove l’artista crea l’illusione di una corrispondenza tra lo scintillio dei tocchi di colore e il movimento dell’acqua.
Nella II sezione, intitolata “L’Impressionismo”, troviamo grandi protagonisti che ci raccontano sia la vivace vita della Ville Lumière, come per esempio Manet nell’opera Bar aux Folies-Bergère, o Renoir in La loge, sia in opere che ci parlano del loro universo intimo, fatto di ritratti di amici o di familiari, come nel caso dello stesso Manet nel Ritratto di Berthe Morisot, che era pure pittrice e sua cognata. È un ritratto che va oltre la rassomiglianza, perché l’artista coglie l’istante, o meglio l’impressione, e ne dà un’immagine diversa da quella del passato, decisamente più intima e con una nuova luce.
Le donne raffigurate da Renoir, forse il più prolifico ritrattista del movimento, trasmettono un’idea di morbida e delicata intimità femminile, dolce e al tempo stesso carnale, come in Baigneuse en dormie. Di Renoir è esposto il più grande cartone da lui realizzato a pastello nel 1913, intitolato La Saône se jetant dans les bras du Rhône (cm 149 x 122): un’allegoria dei due fiumi Saona e Rodano che si uniscono a Lione.
Altre figure femminili, che ci colpiscono per la loro grazia sensuale, sono Coquette (olio su tela) di Pierre Franc Lamy e La Chagrin (pastello, 1890) di Henry Somm.
A Degas, famoso per le sue ballerine, è dedicata un’intera sala, con alcune sculture e molte opere grafiche e fotografiche.
Tra gli artisti più noti, troviamo anche Paul Gauguin, che ha partecipato a più mostre impressioniste, pur non essendo di norma direttamente collegato all’Impressionismo, soprattutto per l’uso di colori sempre più indipendenti dal soggetto rappresentato.
Tra i pittori presi in considerazione c’è anche l’italiano Giuseppe De Nittis, che con Federico Zandomeneghi ha partecipato a mostre impressioniste.
L’ultima sezione è dedicata a “L’eredità dell’Impressionismo” e presenta, tra le altre, opere di Maurice Utrillo, Henry de Toulouse-Lautrec, Constant Permeke e Maurice de Vlaminck. L’opera che conclude il percorso è un’acquaforte del 1968 di Pablo Picasso, omaggio agli artisti Degas e Desboutin.
La mostra è consigliabile, perché riporta i visitatori all’interno del periodo impressionista, facendo rivivere quell’atmosfera unica e irripetibile della Parigi di fine Ottocento, che ha reso possibile il passaggio alla pittura moderna. Se, come diceva Paul Cézanne
“per un impressionista dipingere la natura non significa dipingere il soggetto, ma concretizzare sensazioni”,
la mostra riesce a evidenziare l’importanza della percezione sensoriale, necessaria per creare quel tipo di pittura che ancora oggi continua ad avere una grandissima presa sul pubblico.
Nica FIORI Roma 3 Aprile 2024
“Impressionisti – L’alba della modernità”
Museo storico della Fanteria, piazza Santa Croce in Gerusalemme, 9 – Roma
30 marzo – 28 luglio 2024
Orario: lunedì-venerdì ore 9:30 – 19:30; sabato, domenica e festivi ore 9:30 – 20:30.
Biglietto intero 15 euro (feriali), 13 euro (weekend).
Prevendita on-line: www.ticketone.it. Info: www.navigaresrl.com