di Rita RANDOLFI
Con il cuore gonfio di dolore mi accingo a scrivere questo contributo su Elisa Debedenetti, ma non tanto, o meglio, non solo con l’intento di ripercorrerne la pur brillantissima carriera, legata agli studi sul Settecento, un secolo a lungo “snobbato”, considerato minore, privo di interesse e che invece lei ha fatto conoscere nella sua complessità, ma parlando di Elisa come persona, per come io l’ho conosciuta.
Da questa estate stavo preparando un saggio su di lei, l’avevo intervistata, le avevo confidato di provare orgoglio per essere sua allieva. Mi sono laureata, specializzata e addottorata con lei. Sono stata cultrice della materia per la sua cattedra alla Sapienza per molti anni, ho seguito come correlatrice diverse tesi di laurea, ho tenuto lezioni per la scuola di specializzazione, tutto il mio percorso accademico è legato principalmente alla “mia” professoressa. Devo tanto ai suoi preziosi insegnamenti, ma soprattutto al suo atteggiamento nei confronti dell’arte e dei colleghi.
La sua passione, la sua tenacia erano contagiose, era sincera, diretta, un’entusiasta della ricerca che incoraggiava in tutti i modi, coinvolgendo anche i suoi studenti, i quali spinti dall’ambizione di veder pubblicati i propri studi, si lasciavano guidare e si impegnavano al massimo delle loro possibilità. Era capace di mettere insieme gruppi formidabili di studiosi accreditati e studenti per portare avanti progetti di ricerca di cui lei era la regista delicata e determinata al contempo.
Quanto lavoro dietro le quinte di ogni quaderno sul Settecento! Riunioni svolte nelle aule della Sapienza, presso la ex vetreria Sciarra, nelle sale della biblioteca di Palazzo Venezia, o a casa sua, talvolta anche d’estate, con il clima torrido di Roma. Noi cercavamo di sventolarci con quel che capitava tra le mani, e lei, imperturbabile, ascoltava tutti, accoglieva le idee che le sembravano più affascinanti, sintetizzando le linee guida che dovevano indirizzare le indagini. Quante telefonate alle ore più improbabili, quanti messaggi via mail! Era infaticabile! E quando si pensava di aver corretto e concluso un quaderno, lei già pensava al prossimo.
Era nata a Torino il 24 maggio del 1933 da due genitori che adorava Giacomo e Renata Orengo. Si era laureata a Palermo con una tesi su Marc Chagall. Ma sono state le lezioni di Giulio Carlo Argan su Canova a stregarla, insegnandole un metodo che lei definiva “filosofico” e che, unito al suo stile di scrittura semplice e complesso al contempo, ha fatto la differenza.
Nel 1973 fondò la rivista Quaderni sul Neoclassico, uscita in cinque numeri, fino al 1980, per i tipi di Bulzoni, con articoli dedicati ad una nuova percezione dell’arte europea, nel periodo che va dal Neoclassicismo alla Restaurazione.
Il ritrovamento degli inediti Taccuini di disegni di Giuseppe Valadier nella Biblioteca Nazionale di Roma, diede luogo a due pubblicazioni: Valadier diario architettonico edito nel 1979 e la mostra Valadier segno e architettura del 1985, segnando il passaggio degli interessi della professoressa nei confronti del Settecento. La rivista Quaderni sul Neoclassico cambiò titolo e veste e nel 1985 diventò Studi sul Settecento Romano, una collana edita prima da Multigrafica poi da Bonsignori e infine da Quasar.
Ogni anno usciva un volume dedicato ad un argomento specifico sviscerato sotto differenti punti di vista da numerosi studiosi italiani e stranieri. Questi quaderni ospitavano articoli di illustri studiosi accanto a quelli, altrettanto validi, perché dalla Debendedetti attentamente seguiti, visionati e revisionati di giovani studenti. Si delinearono alcuni filoni di ricerca innovativi, come quello sulle case e i palazzetti d’affitto, sulle arti durante gli anni santi settecenteschi, sugli Stati delle Anime degli anni giubilari. Più volumi furono dedicati agli scultori del secolo dei lumi, alle biografie degli architetti, ingegneri fino alla morte di Canova, ai disegni della raccolta Lanciani di palazzo Venezia. Le ricerche di ampio raggio, hanno contemplato, per la prima volta, oltre ai grandi nomi, alcuni dei quali sono stati delle vere e proprie scoperte, le maestranze, gli artigiani e tutti coloro che in qualche modo contribuirono a costruire il nuovo volto della città.
Contemporaneamente Elisa indagava e pubblicava sul collezionismo degli Albani, degli Sforza Cesarini, dei Rondinini e ancora su Canova, Valadier, Piranesi, Carlo Marchionni, del quale pubblicò insieme a Simonetta Ceccarelli le spiritose e inedite caricature
Nel frattempo la professoressa insegnava alla “Sapienza” di Roma e all’Università della Tuscia di Viterbo e diveniva membro dell’Accademia di San Luca e del Gruppo dei Romanisti, ricevendo anche una serie di riconoscimenti ed onorificenze, tra cui il premio Lumbroso nel 2005 e quella di commendatore da parte del presidente Ciampi.
Nonostante ciò è rimasta sempre una persona umile, in ascolto: non l’ho mai sentita vantarsi, piuttosto pensava a incoraggiare gli studi dei suoi allievi e ha sempre accettato con gioia di presentare i libri che intanto qualcuno di noi era riuscito a dare alle stampe oppure a scrivere recensioni.
In altre sedi illustrerò più dettagliatamente le pubblicazioni e l’attività accademica della professoressa. Avrei tanti ricordi, alcuni anche molto divertenti, da raccontare.
In questo momento vorrei sottolineare come lei sia riuscita a conciliare didattica e ricerca trovando sempre un denominatore comune e un titolo azzeccato per ogni quaderno della sua collana, trasformando le classi di studenti universitari, di cui sono onorata di aver fatto parte, in veri e propri laboratori, dove ognuno, stimolato dalle indagini e dall’esperienza degli altri, e dietro la sua guida premurosa, paziente, meticolosa cresceva intellettualmente e umanamente, provando il piacevole brivido di rendersi conto di partecipare ad un’impresa importante. Il metodo scientifico basato sulla ricerca d’archivio, ma anche sul confronto con le testimonianze scritte, le fonti, gli epistolari, le immagini, i resoconti di viaggi, ecc, ha formato generazioni di storici dell’arte e ha permesso un’indagine ad ampio spettro che principiando dal manufatto o dall’artista spaziava al contesto, alle reti di relazioni stabilitesi tra committenti, maestri, artigiani.
L’ultima volta che ci siamo incontrate, poche settimane fa a palazzo Barberini, ci siamo abbracciate e ripromesse di rivederci per un caffè. Voglio ricordarmela così, piccola di statura, ma grande nell’intelligenza e nel cuore. Non smetterò mai di dirle GRAZIE per tutto e, come concludevo sempre le mie mail a lei indirizzate, un saluto affettuoso, perché un legame di sincero affetto ha legato lei a me e a tanti suoi studenti e colleghi che oggi la piangono insieme a Marco e alla sua famiglia.
Rita RANDOLFI Roma 3 Dicembre 2024